giovedì 25 ottobre 2018

L'albero delle streghe - Demoni e sangue

"Rogo vos, oportet credatis,
sunt mulieres plussciae, sunt Nocturnae,
et quod sursum est, deorsum faciunt."
(Satyricon, LXIII, 9)

È da molto che percorriamo insieme questo cammino attraverso le tenebre. Abbiamo visto e chiamato per nome le cose spaventose che dimorano dall'altra parte dello specchio, abbiamo superato lo specchio per avventurarci nel loro mondo e abbiamo portato la sua aria caliginosa nel nostro.
Mai, però, ci siamo soffermati sul come le abbiamo conosciute, su chi abbia aperto la porta, su chi ci sia ad operare dalla nostra parte della realtà perché le cose che vengono dall'altra riescano a stabilire un contatto. Ed è giunto il tempo di distogliere lo sguardo da quello che abbiamo davanti, per guardarci intorno e scoprire chi sta in piedi ai nostri lati.
Si approssima Samhain, l'inizio della stagione del freddo e del buio, si approssima la notte in cui il varco si apre. La notte di Halloween passerà sulle nostre teste come uno spettro volante, come una cometa, rischiarando per un istante, solo per quell'istante, il tratto di cielo di cui al buio non riuscivamo a carpire i segreti. La luna piena splende chiara questa sera.
Dobbiamo parlare di streghe.
"Streghe e incantesimi" di Salvator Rosa, 1646 circa.
Amici miei, questa non sarà facile. Ho una certa soggezione nello scrivere questo post, perché si tratta di uno degli argomenti più vasti tra quelli che toccano il nostro campo, e fino a sì e no un paio di anni fa l'avevo sempre accuratamente evitato, proprio perché ha molti più contatti con la realtà, in un gran numero di ambiti, dalla storia alla psicologia, alla sociologia, alla sessualità, di quanti ne abbiano i topic cui mi sono sempre interessato. Inoltre, avendo cognizione di come esso sia stato affrontato un'infinità di volte da un'infinità di studiosi, nel corso di tantissimo tempo, ho preferito volgermi verso campi meno battuti. Come vedremo insieme, parlare di streghe, salvo che per alcune accezioni del termine, e per alcune figure che esamineremo nella prima parte del post, non significa parlare di mostri. Parlare di streghe è soprattutto parlare di persone.
Eppure, com'è vero che non è possibile parlare dei mostri senza parlare dell'uomo, il nostro percorso sarebbe estremamente mutilo se non comprendesse la stregoneria, intimamente connessa a molte delle cose di cui abbiamo parlato e in grado di metterle in connessione tra di loro.
Come appena detto, questo è un campo in cui molti sono già passati, e difficilmente scriverò qui qualcosa che non è già stato scritto; partirò, anche questa volta, dall'inizio, o da quello che gli si avvicina di più, per arrivare non so dove, ma vicino a noi.

"Streghe" di Francisco Goya.
Strega ha un'accezione abbastanza precisa nella nostra lingua. Dire questa parola fa pensare in primo luogo a una donna che utilizza la magia, e poi all'idea che questa donna sia vecchia, in condizioni fisiche di avanzato decadimento ed estremamente repellenti. La finzione popolare del nostro tempo ci ha abituati all'idea che la strega possa essere anche giovane e bella, ma è altrettanto vero che in altre epoche storiche qualunque donna poteva essere ritenuta una strega.
Possono gli uomini essere streghe? Possono essere stregoni, fintanto che il secondo termine vale come corrispettivo maschile del primo, possono usare la magia e fare le stesse cose che fanno le streghe. Ma non saranno percepiti nello stesso modo, non avranno lo stesso impatto sulla nostra cultura che hanno le streghe, e questo perché le streghe sono figlie di una forma culturale atavica per il nostro mondo, o almeno per la cultura occidentale (e diverse altre, a quanto ne so), ovvero il dualismo irriducibile in cui sono ripartiti tutti gli elementi della realtà, in una costruzione per la quale la donna, la terra, la magia e la luna sono tutte strettamente intrecciate tra loro. In più, il lungo processo che ha visto, su un'originaria civiltà matriarcale ben radicata nei territori europei, il prevalere di nuovi popoli migratori provenienti dall'Asia, patriarcali, di cui serbano traccia i miti e l'archeologia: questi hanno imbrigliato e ridimensionato tutto quel potere che vedevano nel femmineo, un potere enorme e unico, quello della generazione, subordinandolo alla propria forza e alle proprie necessità, dando vita, probabilmente, a una stigmatizzazione, quella da cui derivano gli abusi della società patriarcale, il problema della donna nella storia, fino ad arrivare al sessismo.
In tutto questo, le streghe. Inevitabilmente donne, frutto di questo processo storico, superstiti di quel mondo arcaico dove operavano misteri che sfuggivano all'ordine sapientemente impostato dagli uomini, continuano a vivere bene laddove quel legame con la natura ed il passato non è stato stroncato del tutto. Ma quando il divenire della società e dell'ordine diviene rigoroso, per loro non c'è più spazio. Gli stregoni saranno visti con paura, ma si ricorrerà a loro e alla loro scienza, perché in quanto uomini vivono almeno in parte nel mondo della luce, mentre le streghe sono sia donne che praticanti della via oscura, e questo le tiene completamente avvolte nell'ombra. Con conseguenze di cui vedremo la drammaticità.

"Il sabba delle streghe" di Francisco Goya, 1821-1823.

Le streghe sono coloro che praticano un'arte chiamata stregoneria. Parliamo di che cos'è.
La magia è sempre esistita. È una diramazione naturale della spiritualità dell'uomo, della sua facoltà linguistica e dunque poetica, della sua connessione originaria con la natura. Non possiamo pretendere di dare un inizio alla magia, e nemmeno alla stregoneria, per il semplice fatto che sono sempre esistite, in forme di cui ci è rimasto qualcosa e in altre di cui non ci è rimasto niente.
Lamashtu.
I popoli del Vicino Oriente, con i quali si iniziano spesso i discorsi storici universali, hanno una tradizione magica straordinaria, che conosciamo grazie a testi e numerosi manufatti. Grazie a questi apprendiamo che i Sumeri, i Babilonesi e gli Assiri possedevano un ricco e complesso sistema demonologico, e che credevano che nel cosmo, oltre agli uomini, alle bestie e agli dèi, vivessero diverse altre classi di entità, per lo più spirituali, alcune più vicine agli dèi, altre del mondo degli uomini, altre ancora provenienti dal mondo dei morti, con naturalmente tante vie di mezzo. Si credeva che molte di queste fossero pericolose, e pertanto furono messi a punto dei sistemi per difendersi; ma si credeva anche che fosse possibile, per gli uomini, ricorrere all'aiuto di alcune entità per scopi di ogni genere, sia giusti che ingiusti. Humbaba, il mostro affrontato da Gilgamesh nella sua epopea, era raffigurato come amuleto come protezione contro i demoni minori, mentre Pazuzu, re dei demoni dell'aria e signore delle pestilenze, la cui statua compare ne "L'esorcista", pur essendo una potenza nefasta veniva invocato attraverso i suoi simulacri e i suoi amuleti per tenere a bada i demoni più potenti, e soprattutto contro Lamashtu, sua sposa demoniaca che presenta molti attributi comuni ai numerosi mostri che incarneranno il tipo della strega in altre civiltà.
Lamashtu, della stessa stirpe degli dèi più grandi, figlia del dio del cielo Anu, era il terrore delle notti e delle madri. Viaggiava lesta nelle tenebre per far abortire la donne in attesa, rapire i bambini nella culla, strapparli alle madri mentre li allattavano, oppure nutrirsi di loro rodendone le ossa e bevendone il sangue. Era raffigurata, come i demoni, con aspetto ibrido, testa di leonessa, denti e orecchie di asino, dita e unghie molto lunghe, zampe di uccello con artigli acuminati, spesso a cavallo di un asino e con dei serpenti in mano, mentre allatta un maiale e un cane; ma nelle tavolette il suo nome era accompagnato dai simboli cuneiformi che ne indicavano lo stato divino.
Nell'invocare Pazuzu contro di lei, bisognava recitare una formula simile a questa:
Placca metallica che raffigura Lamashtu.
La figura che la regge e di cui vediamo la testa
e le mani è Pazuzu.

"Grande è la figlia del Cielo che tortura i bambini
La sua mano è una rete, il suo abbraccio è morte
Lei è crudele, furiosa, rabbiosa, predatrice
Una corritrice, una ladra è la figlia del Cielo
Lei tocca i ventri delle donne in travaglio
Lei scaglia fuori il bambino della donna incinta
La figlia del Cielo è una con gli Dei, suoi fratelli

Con nessun figlio suo.
La sua testa è una testa di leone
Il suo corpo è un corpo di asino
Lei ruggisce come un leone
Lei ulula costantemente come un demone-cane.
"
(Traduzione dall'inglese da http://www.ancientneareast.net/mesopotamian-religion/lamastu-lamashtu/)

Nel codice di Hammurabi, che si ritiene risalire al 1754 a.C., sono presenti delle leggi in merito all'uso della magia contro le altre persone:

"Se un uomo ha lanciato una maledizione su un altro uomo e non è giustificato, colui che lanciato la maledizione sarà messo a morte."

"Se un uomo ha gettato un incantesimo su un altro uomo e non è giustificato, colui sul quale l'incantesimo è stato lanciato dovrà recarsi al fiume sacro; nel fiume sacrò egli si immergerà. Se il fiume lo sopraffa ed egli annega, l'uomo che ha gettato l'incantesimo su di lui prenderà possesso della sua casa. Se il fiume sacro lo dichiara innocente ed egli rimane incolume, l'uomo che ha lanciato l'incantesimo sarà messo a morte. Colui che è stato immerso nel fiume prenderà possesso della casa di colui che ha lanciato l'incantesimo su di lui."
(Traduzione dall'inglese da: https://www.bible-history.com/isbe/W/WITCH;+WITCHCRAFT/)

Rappresentazione moderna di Lamashtu.
Un'altra testimonianza interessante, accadica, è quella dei Maqlû, che significa "bruciante". Si tratta di rituali anti-stregoneria, sviluppatisi nel corso di molto tempo e la cui forma più matura ci è pervenuta in otto tavolette che comprendono quasi un centinaio di formule e delle indicazioni su come svolgere il rituale.

Nell'antico Egitto, considerato, del resto, patria dell'alchimia e delle scienze occulte, la magia era trattata con lo stesso rigore matematico con cui si affrontavano l'astronomia e la medicina. I sacerdoti, gli incantatori, tutti gli utilizzatori di magia erano molto ben considerati, e la loro scienza estremamente preziosa. Del resto, ogni giorno i sacerdoti di Ra svolgevano il rituale con cui aiutare il dio del sole, e Set che viaggiava con lui, nell'infinita lotta contro Apophis, il serpente del caos che aggrediva la sua barca quando di notte percorreva i fiumi infernali. L'anima, secondo gli antichi Egizi, è costituita da numerose parti, e alcune di esse hanno una funzione esclusivamente magica, mentre il nome, donato dal dio Ptah, dà vita alla persona e ne permette il legame con la magia.

Bibliografia

Filagrossi, Christian, Il libro delle creature fantastiche, Armenia, Milano 2002.
Bailey, Michael D., Historical Dictionary of Witchcraft, The Scarecrow Press, Oxford 2003.

giovedì 18 ottobre 2018

La sala degli antieroi - Quando l'anima diventa il mostro

«È qualcosa di così antico che non puoi immaginare.
Risale a prima di Caino e Abele, a prima di questa terra...[...]
Perché ci sono stati altri come me.
Ce ne saranno ancora.
Il cui odio non si placa.
Che non possono perdonare.
Anche se significa la dannazione.»

(Ghost Rider: Pista di Lacrime #6)

In questa nera notte di ottobre, facciamo vela verso regioni buie e difficili da affrontare, le plaghe più intime dell'animo umano, per parlare di alcune cose spaventose nate dai suoi recessi inesplorati e dalle malattie non curate.
Non è uno di quei fenomeni che interessano tutti, che accadono e che noti accadere, anche se c'è stato un momento in cui andava proprio così.
In questo periodo, però, il cinema ha sfornato il suo nuovo adattamento di Venom, per la prima volta come protagonista, e si appresta ad una nuova versione di Hellboy. Mentre da qualche parte, in studi misteriosi, forse neanche su questo stesso piano materiale, Todd McFarlane, insieme a qualche collaboratore ultraterreno, fa i suoi piani per il nuovo adattamento di Spawn. Insomma, tutti e tre li abbiamo già visti, ma sono partiti alla riscossa e sembrano portare con sé la fiaccola di una nuova speranza, per loro e per quelli come loro.
Anche se il risultato di Venom non è il più adatto alla loro causa.

Questa storia non è cominciata con me. C'è sempre stata.
Ma per raccontarla ho bisogno di partire da come è cominciata per me.



In effetti, non lo ricordo bene, perché i primi ricordi sono degli albori, dei primordi, si confondono con i sogni e con le memorie perdute. Ma, come per molte delle cose più importanti, è cominciata con la paura.
In parte è cominciata quand'ero bambino e mi emozionavo ben più nel vedere Digimon con le sembianze di dinosauri cyborg o di enormi insetti antropomorfi, mascelle protuse e vene pulsanti, combattere contro esseri crudeli con grande dimostrazione di eroismo, che nel vedere cavalieri in armatura, eroi belli e buoni, fare la stessa cosa con eroismo non minore.
Quelli erano i primi mostri, probabilmente; tra i primi che ricordo, che a differenza di altri ho portato con me sino ad oggi. Della loro importanza ho già parlato. Li ho richiamati perché con loro ho scoperto questa cosa estremamente semplice: un mostro può essere buono. Da cui deriva la scoperta che un mostro può essere un eroe. Per arrivare alla constatazione che qualcuno può essere un eroe anche senza essere buono, e che questo vale per gli uomini come per i mostri, dovremo procedere più lentamente.

Parlavo di paura. Da piccolo, mi capitava talvolta, quando vedevo la TV, di spaventarmi delle cose che vedevo, per varie ragioni non tutte accessibili alla ragione degli adulti, e di spegnere subito il televisore come reazione disperata (ma immediata ed efficace).
La maggior parte di questi episodi non la ricordo, ed è uno solo quello che ricordo bene: si trattava del cartone animato di Spider-Man, probabilmente della sigla, un cartone dalle atmosfere oscure che ho imparato ad apprezzare più tardi e che mi hanno sempre dato, di Spidey, l'idea di un eroe positivo e luminoso, sia pure con le sue ombre, che affronta situazioni al limite dell'orrore, superandolo spesso; ora, stavo guardando quella sigla bel bello quando, a un certo punto, appare un'immagine da incubo, che mi fa spegnere immediatamente: una figura nera, con un sorriso diabolico costellato di denti a punta e una lunga lingua a strisciarle intorno.
Beh, venitemi a dire che è rassicurante.
Quello fu il mio primo contatto con Venom. Di acqua sotto i ponti ne è passata.
E se seguite questa nave di unghie di morto da un po', ricorderete di un mio aneddoto simile, anche se meno intenso, per Ghost Rider: anche lui lo incontrai da piccolo, in un episodio dell'incredibile Hulk, e provai smarrimento e inquietudine.
In effetti, mentre la scoperta che Venom era un nemico dell'Uomo Ragno dava un senso a una parte della cosa, Ghost non aveva che iniziato a stupirmi, perché quando sentii di nuovo parlare di lui fu perché stava uscendo il suo film, e mi domandavo perché stessero facendo un film su un cattivo, dato che ero convinto che non fosse altro che questo; al massimo, dato che nelle storie di Hulk non lo vidi più, ma fece un'altra comparsa nel cartone dei Fantastici 4, ipotizzavo fosse una sorta di jolly, un uomo nero che spuntava ogni tanto giusto per fare un po' di paura (una cosa di cui ogni storia non potrebbe che beneficiare), ma di certo non mi sembrava possibile che fosse l'eroe.
E questo perché, anche nonostante i Digimon, ero in certa misura ancora relegato alle demarcazioni tradizionali, al binomio bianco e nero, per cui, se da una parte simboli neutri come, beh, i dinosauri cui i Digimon assomigliavano, potevano rappresentare qualunque cosa, un simbolo più forte come un teschio, o un ghigno pieno di denti, non poteva che significare male.
D'altra parte, avevo dieci anni e ci poteva pure stare.

Nella delicata fase del passaggio all'adolescenza, molte di queste cose mi si sono semplicemente sfaldate addosso, e parallelamente ho iniziato ad avere sempre più interesse per l'orrore, il macabro, le storie a tema demoni. Ecco così che, al posto della paura di Ghost Rider, che se n'era andata semplicemente col tempo, è subentrato l'interesse verso di lui, il fascino per quel film, per l'atmosfera di male che sembrava pervadere le sue immagini in rete, culminato nell'acquisto, credo proprio il giorno che ho compiuto quindici anni, l'età in cui ho vissuto il fenomeno che racconterò in questo post, del primo fumetto su di lui.
Ora, è stato lì che è iniziato quello di cui parleremo oggi, per me. Il percorso di Venom lo vedremo più approfonditamente in un'altra occasione, ma nel suo caso mi è sempre rimasta, contenuta nell'inconscio, una sottile inquietudine, poiché lui incarna una sorta di principio per la paura e deve farne per forza. Pure, anche lui è divenuto abituale, parte di questa cosa.
E soprattutto, c'era un altro personaggio, che andavo scoprendo gradualmente e si stava configurando come, passatemi il termine, mito personale, figura che a livello tanto concettuale, quanto poetico, estetico, e tanto altro, diveniva importante per me, qualcosa in cui andare e in cui stare, qualcosa cui somigliare, qualcosa che fosse bello e intimo: il Corvo di Brandon Lee.

Ma per il mondo, com'è iniziato?
Alcuni dicono che il primo antieroe della letteratura sia stato il Tersite dell'Iliade. Ho da ridire su questo, ma d'altra parte, è proprio la parola antieroe ad essere problematica.
Sulla Treccani è scritto:

The Punisher disegnato da Marco Checchetto.
antieròe s. m. [comp. di anti-1 e eroe]. – Personaggio che, polemicamente o no, mostra qualità del tutto opposte a quelle considerate tipiche e tradizionali dell’eroe.

In questo senso, anche un personaggio insignificante ai fini della narrazione può essere chiamato in questo modo, poiché la parola, in origine, vuole designare appunto colui che non è un eroe.
Certo, anche definire un eroe non è una cosa facile. E non possiamo prescindere da questo per portare avanti il discorso.
Originariamente, l'eroe sta totalmente al di sopra dell'uomo. Svolge una funzione nel mito, gli sono dovuti elementi naturali, pratiche rituali, scoperte culturali, e l'origine delle progeniture degli uomini. È attraverso un percorso durato secoli, se non millenni, che le forme più antiche dei miti sono mutate insieme a coloro che li raccontavano, e gli eroi hanno assunto una dimensione più definita e più vicina a quella dei mortali, mantenendo pur sempre la propria eccellenza. Da qui, il concetto ha sempre continuato a indicare il campione di una storia, che porta avanti il processo di quello che, anche se la sua portata non investe più l'intero cosmo, e neppure una nazione o anche solo una piccola tribù, è pur sempre un mýthos, un racconto.
In modo collaterale, più che altro nel linguaggio moderno, con quella che potremmo quasi definire una risemantizzazione, la parola "eroe" assume un altro significato, cui siamo più avvezzi, non so se rispetto a quello narrativo, ma sicuramente rispetto all'originaria funzione mitologica: quello di un essere umano che ha in sé una quantità superiore agli altri di almeno una qualità che la convenzione sociale trova positiva. È un eroe un uomo straordinariamente generoso, straordinariamente coraggioso, straordinariamente incline al sacrificio. E lo diciamo perché, derivazione del mondo classico, ma anche requisito che risponde a un'esigenza universale, l'eroe della narrazione, dell'epica, del romanzo, è positivo. Kalòs kai agathòs. Nobile, di sangue prima e di indole poi, nel momento in cui, durante il divenire storico, la validità assolutamente positiva del primo viene messa in discussione. Trionfale, altruista, al servizio della patria e dei valori tradizionali, quando per la società le cose più importanti divengono queste altre, e sempre a disposizione per seminare morte e distruzione in remoti angoli del mondo in modo che nel suo paese, di cui non stiamo qui a fare il nome, regni sempre la pace, insieme, naturalmente, alla democrazia.
Potremmo dunque dire anche che c'è una valenza profondamente civile, nel concetto di eroe. Quello di civiltà è un concetto molto più arbitrario di quello di eroe, soprattutto in esempi come gli ultimi elencati, ma ha senso concludere che, oggi, laddove c'è un eroe, c'è dietro di lui una civiltà che egli rappresenta, serve, protegge, e magari diffonde.

Achille contro Memnone.

Rispetto alla sua natura più antica, questo discorso è alquanto aberrante. L'eroe, come mitema puro, è una forza incontrollabile e inarrestabile, che impone il suo volere e la sua forma a una materia informe e incontrollata, e che lo fa con la forza, che in questi primordi della narrazione ha una distinzione poco netta tra fisicità e abilità magica. Forza che si traduce spesso in violenza.
In società arcaiche dove la distinzione tra singole volontà ha molta meno pregnanza rispetto alla volontà comune, dove tutti sono immagine del progenitore che è uno, l'eroe rappresenta un'unica volontà che trionfa su tutte le altre. E che non può essere tenuta a freno.
"Ercole separante i monti Calpe e Abila", Francisco de Zurbarán, 1634.
Stadi successivi del mito mostrano proprio questo: un tentativo di controllo dell'eroe attraverso l'imposizione di prove, missioni, doveri e divieti, dai quali egli esce trionfante, spinto da una fame ciclopica di carne, carnalità e gloria. È il rapporto contrastato tra le nuove forme di civiltà, basate su leggi e vincoli che permettono una vita più serena a un maggior numero di esseri umani, e quei resti d'un passato brutale che ai vincoli non ci stanno: Eracle con Euristeo, Perseo con Polidette, Sigurðr con i Nibelunghi, si ha sempre un regnante che tenta di indirizzare quella potenza da cui si sente minacciato verso la morte, non riuscendoci.
Alla fine, però, la storia segue il suo corso ed arride al progresso: il mondo nuovo uccide il vecchio, e riesce a vincolarlo. Tutti gli eroi, in qualche modo, muoiono, abbandonando questa terra.
Si ha ancora, sempre nel linguaggio della narrativa, l'eroe come protagonista non necessariamente di una trama, ma di un percorso, di un filo della trama, colui che sta perseguendo una causa o vivendone l'assenza, eroe di sé stesso e del proprio microcosmo.

Rispetto ad ognuno di questi significati, come si può configurare un antieroe?
Le mitologie comparate mostrano come ricorra spesso, accanto all'eroe culturale e al dio ordinatore della realtà, un personaggio in parte complementare e in parte contrapposto, di natura estremamente complessa, quello che si usa indicare come trickster, e che nel contrastare spesso l'azione della sua controparte finisce spesso col prendere parte nella creazione. Gli elementi negativi della realtà, o quelli che sono il doppio di qualcos'altro (e spesso le due definizioni si equivalgono) sono frutto delle azioni di questo personaggio. Le qualità da cui è connotato più frequentemente sono l'indole giocosa, l'inclinazione ai vizi e ai comportamenti reprobi, e, spesso, la pratica di quelle azioni e quei costumi che la comunità umana condanna.
Con gli eroi epici, luminosi e valorosi, contrastano personaggi sgradevoli, vili, deboli, il cui campione è quel Tersite dell'Iliade che molti considerano il prototipo dell'antieroe. Accanto a cavalieri di nobile sentimento vi saranno baroni senza onore, cavalieri erranti che hanno voltato le spalle ai loro giuramenti. Appare chiaro sin da ora che parliamo di personaggi che il più delle volte svolgono la funzione di antagonisti degli eroi, sostenendo una causa opposta alla loro e intralciandoli nel raggiungimento dei loro obiettivi. Ed è proprio qui che risiede una delle chiavi del discorso, e uno dei quesiti che, probabilmente, resteranno aperti fino alla fine del post: dove e come succede che un personaggio "antieroico", anziché essere il cattivo, diviene un antieroe?
Tutto dipende da rispetto a cosa stiamo valutando il personaggio, rispetto a che cosa è "anti".
Loki, dio trickster, da un manoscritto medievale.
Semplicisticamente potremmo tracciare una prima distinzione in base a se questo personaggio è l'avversario dell'eroe, o se invece non lo è e si limita a mantenere una posizione neutrale rispetto alla contesa tra l'eroe e il suo antagonista, se non addirittura ad aiutare il primo. Con una casistica sterminata di cui tenere conto.
Ma se invece consideriamo da quali sentimenti sono mossi i personaggi, il fatto che ad aiutare l'eroe sia un individuo vile e spregevole, che agisce in questa direzione unicamente perché confida in un tornaconto personale, non renderà quest'ultimo migliore dell'antagonista dell'eroe, che potrebbe piuttosto essere una figura molto più positiva. E da questo punto di vista, non è detto che "l'eroe" sia anche "il buono".

Focalizziamoci su questo: non è errato affermare che oggi, molto spesso, la parola antieroe viene adoperata in riferimento a quelle narrazioni i cui protagonisti hanno qualità completamente o in gran parte proprie di quelli che usualmente sono i cattivi, o villain.
(Mi soffermerei ad osservare come la parola "cattivo", il cui significato corrisponde perfettamente ad esigenza come la nostra, sia oggi usata raramente e sostituita con l'inglesismo "villain" per il semplice fatto che è "scaduta" a parola del linguaggio per l'infanzia. Ma non è questo l'argomento del post.)
Abbiamo detto che qualunque cosa non sia pertinente a un eroe è antieroica almeno a livello di nome (purché il contesto sia tale da metterla in relazione al concetto di eroismo: se vediamo in giro una vecchietta che per attraversare la strada chiede l'aiuto a qualcuno, non dovrebbe passarci per la testa di definire "antieroica" la sua richiesta, men che meno la fragilità delle sue condizioni fisiche; sarebbe più giusto se ci soffermassimo sul fatto che la vecchietta sta compiendo un'azione difficile nonostante le difficoltà che implica, "eroicamente"...e anche qui, staremmo svalutando il concetto di eroismo adattandolo a delle azioni compiute per necessità e percepite come assolutamente normali per l'agente che le compie e la comunità in cui rientra). Come può succedere che un personaggio moralmente negativo svolga, per cause moralmente negative, azioni che sono positive e che producono un effetto concreto positivo, può anche accadere che un personaggio positivo svolga, a fin di bene, azioni che la comunità condanna, e può anche accadere che lo faccia perché, almeno per un singolo momento nel corso della narrazione, il suo scopo è cambiato, o ancora meglio perché sta vivendo un periodo in cui il suo stato mentale e morale è differente rispetto a quello precedente, e magari anche al successivo: più la narrazione si evolve, più diviene raffinata, più aspetti della realtà incorpora in sé, e la realtà è che l'uomo non è un tipo fisso, un carattere costante che si può contenere in una definizione, fosse anche lunghissima e piena di dettagli.
L'episodio di Tersite nell'Iliade.
Il tipo fisso appartiene al linguaggio del mito, che procede per figure e per azioni volte a rappresentare un ordine che rispecchi le funzioni del cosmo, colte nella loro ripetizione e nella regolarità di cui gli uomini hanno bisogno per affermare dei concetti. Ma gli uomini, pur contenuti in questi schemi, li superano nell'esperienza concreta della loro vita, e nelle infinite possibilità che comporta.
Così, può accadere anche che un personaggio abbia una moralità non bassa e gretta, ma improntata ad idee che molti condannano e che lui, invece, non condanna, che agisca secondo quei principi e che le sue azioni producano esiti negativi per alcuni, positivi per altri.

Permettiamoci adesso di indicare una definizione che designi un tipo di personaggio, a prescindere dal suo ruolo e dalla sua frequenza in una storia, e basata invece sulle sue peculiari caratteristiche.
Antieroe, in quest'ottica, è il personaggio che segue un obiettivo altro da sé, un obiettivo che almeno in parte corrisponde a ciò che la comunità ritiene buono, e per raggiungerlo compie anche azioni che questa condanna.
Superman #14 dal 1942, un simbolo della
Golden Age e di una vecchia concezione
del supereroe eroe.
Un personaggio così ha un potenziale distruttivo da tenere in alta considerazione, perché non solo sfugge alle bipartizioni, a quell'atavica tendenza della cultura occidentale a distinguere tutto in buono e cattivo, e anche alla domanda di fondo cui quella tendenza dà risposta, "Mi conviene o non mi conviene?", ma è anche in grado di sovvertire quel sistema, e di portare alla luce quanto sia complessa la realtà, e quanto esso non la rispecchi. Contemporaneamente, è pericoloso per noi, ogni volta che nel misurarci con lui, e nel desiderio di identificarci, di fare nostro in qualche modo quel personaggio, dobbiamo fare i conti con la sua totalità, e non possiamo escludere da lui le parti peggiori, poiché è fatto di quelle tanto quanto di quelle che ci sembrano migliori, e che non potrebbero sussistere senza le altre.
Così, nel momento in cui l'eroe della modernità è schierato dalla parte dell'osservanza delle leggi, dell'integrità della coscienza, dell'abnegazione, del sacrificio, e di tutte quelle belle cose che le sue storie fanno sembrare così a portata di mano, l'antieroe, sia nel caso provi a seguirle che invece nel caso in cui imbocchi un'altra strada, si trova a dover affrontare limiti, ostacoli e difficoltà che spesso derivano dalle sue proprie inclinazioni e dal problema della propria identità, simili a quelli che molti di noi incontrano nel corso della propria vita. Spesso il problema dell'antieroe è semplicemente essere se stesso, e non essere fatto per rigare dritto.
Altre volte, l'antieroe agisce per rifiuto di quella società e di quella forma di civiltà, perché ne vede i limiti o perché ha cognizione di essere in grado di superarli. Operano allora personaggi individualisti, anarchici, votati alla propria libertà o alla causa cui tengono di più, ma non per questo indifferenti al loro prossimo, e nemmeno al male.
E così, nell'esprimere questa forza individuale, questa volontà soggettiva incontrollabile, questa marcia inarrestabile mossa dal proprio Io, l'antieroe, paradossalmente, finisce per essere spesso più simile all'eroe primordiale del mito e dell'èpos di quanto non facciano gli eroi propriamente detti.

Sia chiaro che alcuni punti del discorso valgono più per un momento storico diverso dal nostro. L'ambito in cui voglio operare in questo post è soprattutto quello fumettistico, anche se il discorso svolto finora era generale, dunque iniziamo a inquadrare le premesse nell'ambito particolare.
I fumetti di oggigiorno mostrano i supereroi alle prese con situazioni con le quali non capitava di vederli misurarsi fino a qualche decennio fa, frutto delle progressiva presa di coscienza del medium fumettistico. Se originariamente i supereroi erano semplici sagome luminose al servizio dei valori nazionali e della gioia dei più piccoli, nel corso della Golden Age si è acquisita sempre più consapevolezza dell'innovazione artistica ed espressiva che il fumetto significava e le loro caratteristiche sono andate arricchendosi, fino alla Silver Age, convenzionalmente dagli anni 50 al 1971, dove il percorso prosegue ancora e soprattutto, con la Marvel, nasce il concetto di "supereroi con superproblemi", che conduce ad un'analisi umana e a problematiche maggiori, che nei decenni successivi hanno acquisito ulteriori strati di oscurità, volta per volta, parallelamente alle crisi culturali e sociali della nostra epoca. Essere Spider-Man, o Daredevil, non è mai stata una barzelletta, ma leggendo una storia di oggi tocchiamo quanto duro sia per Peter Parker e Matt Murdock il solo svegliarsi la mattina e realizzare quante preoccupazioni, quante responsabilità e quanti pericoli abbiano davanti a sé, oltre a tutto il dolore che hanno dietro. I supereroi positivi sono sempre più umani, va detto.
Ma anche così, solo a volte riescono ad affacciarsi su quel male che nelle vite degli antieroi è praticamente una costante. In più, gli antieroi lo affrontavano anche in tempi meno malvagi.

È significativo che la cosiddetta Bronze Age, che vede l'inserimento di tematiche più adulte nel mondo dei comics, e che dura fino agli anni 80, quando ha inizio la Modern Age, inizi nel 1972, perché proprio quell'anno, libera finalmente dai freni della censura che avevano impedito, fino a quel momento, le serie horror così praticate negli anni 60, Marvel lanci diversi personaggi potentemente antieroici e di ispirazioni horror, quali Dracula (nella serie "Tomb of Dracula"), il licantropo Jack Russell ("Werewolf by Night") e il Ghost Rider. Questi tre personaggi in particolare, cui si uniranno in seguito una mummia, un mostro della palude, l'immancabile mostro di Frankenstein e diversi altri comprimari, formeranno nel 1976 la "Legione dei Mostri", una squadra a tema horror che in qualche modo è riuscita a far parlare di sé fino a non tanti anni fa, riformandosi periodicamente grazie ai vari Blade, Morbius, Uomo Cosa.
La Legione dei Mostri.
Per la prima volta, il ruolo del protagonista passa a creature mostruose. Sì, Hulk esiste da molto più tempo, ed è un mostro a tutti gli effetti, ma è avvolto da una luce differente, anche perché, malgrado l'aspetto -che è verde, grosso, ma non esattamente raccapricciante-, ha un animo molto più puro di quello degli uomini. Con questi personaggi si mette invece in scena il dramma di carnefici, mostri la cui esistenza attenta alla vita umana, perché il vampiro e il licantropo, che lo vogliano o meno, dovranno nutrirsi della gente. Per quel che riguarda Ghost, tratterò il discorso a parte.
Negli anni successivi compaiono personaggi horror anche in casa DC, e probabilmente ne nascono altri presso altre case editrici. Ed arriviamo agli anni 90, il vero momento di gloria per gli antieroi, e in particolare, per quelli mostruosi, che divengono una realtà così vasta da poter costituire quasi un genere a sé. O almeno, così sono sembrati a me quando ho iniziato a scoprirli.

Scena di "The crow", 1994.
I miei 15 anni, iniziati con quel primo volume di Ghost Rider (100% Marvel #98 - Ghost Rider: L'ultima battaglia, 2010), che considero ancora oggi una sorta di seconda nascita -sebbene per molte altre ragioni che solo le mie letture- sono avanzati così, un viaggio nelle tenebre dell'anima di esseri non più umani che strisciavano sulle mie pareti e si intrecciavano con le ombre dei miei cambiamenti adolescenziali. A poco a poco recuperavo a ritroso la più recente run di Ghost, familiarizzavo con Venom e i simbionti, e provavo grande simpatia per Deadpool, anche se quest'ultimo non l'ho mai veramente seguito. Vidi Hellboy (2004), non ricordo quando avevo visto anche Solomon Kane (2009). E fu sempre quell'anno (che buffo, non avevo collegato le cose) che dopo tanto tempo passato riguardando in continuazione singole clip su YouTube vidi per la prima volta "Il corvo" nella sua interezza. Da allora lo rivedo ogni anno.
Ancora, dopo averne letto e visto materiale in rete per un po' di tempo, riuscii a cominciare a giocare a Devil May Cry grazie alla provvidenziale uscita della versione rimasterizzata per le nuove console ("Devil May Cry: HD Collection" 2012, non esattamente provvidenziale nel momento in cui era intesa anche come apripista per il reboot), e avrete cognizione dai post della pagina Facebook di quanto quella serie mi abbia fatto ammalare.
Intanto aveva catturato la mia attenzione un altro, videogioco con un protagonista criminale che usava poteri sovrannaturali, oscuri, per i propri delitti e per le proprie cause personali, e me lo procurai, forse proprio l'anno in cui uscì il suo seguito, che acquistai uno o due anni dopo. Scoprii in questo modo "The Darkness" (2007) e "The Darkness II" (2012), tratti da uno dei fumetti più rappresentativi di questo universo. Aggiungiamo, dato che la lista è ancora lunga, che nel 2012 giocavo anche a Prototype (2009), rigiocavo a Darksiders, e che forse l'anno dopo giocai a "Castlevania: Lords of Shadow" (2010 entrambi). TUTTI giochi che avevano un antieroe dalla loro. Devil May Cry in realtà è un'eccezione, ma spiegherò tra poco come rientri nel discorso.
E sempre quell'anno (forse vi ho confusi, stiamo parlando di un lasso di tempo che va da metà 2011 a metà 2012), un pomeriggio durante il quale, guardando video su quei personaggi, ne ho beccato uno con una serie di immagini di Ghost Rider e Venom, in mezzo ai quali faceva capolino un personaggio che a volte pensavo fosse Ghost, per via delle catene, delle borchie e dell'attitudine demoniaca, e altre volte Venom, dato che indossava un costume estremamente simile, ho scoperto la quintessenza di questo discorso, il portabandiera di questa scuola, il grande Spawn. Verso la fine di questo Anno 0 ho iniziato a leggere i suoi fumetti. Arrivati al momento in cui ho iniziato a leggere The Darkness, e a quando ho finalmente letto "Il corvo" di James O'Barr, segnando il percorso iniziato con il film, possiamo dire concluso il nostro incredibile tour.

Vi chiedo scusa per il poco interessante viaggio nei ricordi e nel consumismo (giusto per una questione di forma, perché, sapete, il blog è mio), ma non vi è altro modo in cui avrei voluto introdurre i protagonisti di questo post, che deriva dal fatto che ognuno di loro è importante per me, e alcuni lo sono particolarmente.
Ora, per riprendere il discorso storico, bisogna partire dal fatto che The Crow, Hellboy, The Darkness, Spawn, anche Deadpool, sono tutti personaggi nati negli anni 90, e che è sempre in quegli anni che Venom diventa per la prima volta protagonista di serie intestate a lui e Ghost Rider, dopo che la sua serie era finita all'inizio del decennio precedente, ritorna con una nuova run dove ottiene quegli attributi di ispirazione metallara con cui è rimasto più impresso nella cultura pop. Insomma, hanno tutti una matrice comune. Erano anni in cui i vari medium dell'arte sembravano aver avuto tutti rapporti con diavoli e forze occulte, perché partorivano figli oscuri e inquietanti; erano gli anni dei generi estremi del Metal, della seconda ondata del Black, e in sostanza di molta della mia musica preferita. Non posso condurre questa panoramica a lungo perché ne ho solo una visione parziale, ma mentre scoprivo queste cose pensavo spesso a quanto sarebbe potuto essere emozionante vivere la mia adolescenza in quegli anni e vivere la nascita di queste cose.
Ora, ricordo di aver letto di un giornalista che disse, molto emblematicamente, di come quegli anni videro il momento in cui Superman moriva (1992) mentre Venom otteneva la sua serie (1993), cioè di come l'interesse per gli antieroi crescesse anche ottenebrando quello per gli eroi "puliti".
Io li ho raccolti in seguito, come avete visto, per giunta in un periodo in cui molti di loro, anzi, quasi tutti, erano fermi. Da allora, The Darkness è andato avanti per un po' fino a concludersi nel 2014, e finora sembra definitivamente, Ghost continua a fare capatine qua e là e a non essere impiegato bene dagli autori Marvel, Spawn è sempre in corso e ultimamente se la passa bene anche il linguacciuto simbionte, mentre gli altri restano fermi.
Veniamo adesso, finalmente, alle presentazioni.

Ghost Rider

«Anche adesso, dopo tanti anni, mi ritrovo a cercare risposte quando si tratta di paradiso e inferno. Guardo ancora gli occhi dei morti. La sola differenza è che oggi...anche i morti guardano me.»
(Ghost Rider - Dall'inferno al paradiso, Jason Aaron)

Da "Shadowland - Ghost Rider", Clayton Crain.
Di lui abbiamo già parlato due volte.
Ogni volta che compare da qualche parte, viene raccontata da capo la sua storia, la stessa storia all'infinito, come se fosse uno sconosciuto e occorresse spiegarlo. Ma qui non lo è, e non la ripeterò.
Ghost Rider, vero nome Johnny Blaze, il mio preferito della lista di oggi, anticipa tutti gli altri personaggi, in quanto si manifesta sulla terra nel 1972, creato dallo scrittore Gary Friedrich (recentemente scomparso e cui ho reso omaggio in pagina, un pensiero va a lui anche qui in questo post), il disegnatore Mike Ploog e il supervisore editoriale Roy Thomas, e nonostante le sue sorti alterne è ancora in sella. I suoi poteri hanno subito una serie infinita di cambiamenti della storia in merito alla fonte: prima viene maledetto da Satana, poi Satana diviene il più ricorrente Mefisto, poi viene aggiunto che la maledizione ha comportato l'essere legato al demone Zarathos, poi si passa ad una maledizione familiare, poi allo spirito della vendetta, cioè un'entità del paradiso.
Ghost è immediatamente segnalato dal suo teschio avvolto dalla fiamme, e iconograficamente è sempre legato a un mezzo di trasporto o una cavalcatura. A volte viene mostrato tutto il suo corpo in fiamme, mentre altre volte si tratta solo della testa. Suo attributo, da un certo momento in poi, sono le catene, che crea a suo piacimento in lunghezza e quantità virtualmente infinite. Definito forte quanto Thor nella sua incarnazione all'interno dell'universo Marvel Ultimate (che risulta forte quanto tutte le sue altre versioni), Ghost controlla il fuoco infernale: in teoria si tratta di un fuoco che brucia l'anima delle sue vittime, ma con il quale riesce a fare altrettanto con la loro carne e con la materia inanimata; al contempo, lo stesso fuoco ha risparmia to altre volte gli innocenti e gli oggetti sacri. Possiamo concludere che il fuoco bruci e non bruci ciò che lui desidera, o almeno ciò che desiderano i suoi sceneggiatori. È arrivato a scatenarlo come esplosione (in grado di coprire l'intera area di Manhattan) e pioggia infuocata di biblica suggestione. Adopera inoltre lo Sguardo di Penitenza, con il quale infligge alle vittime tutta la sofferenza che queste hanno inflitto agli altri.
Ghost per me rappresenta tutto il senso del mio discorso nella sua forma più bella. È un uomo imperfetto che ha sbagliato diverse volte, e che si trova legato a un'entità mistica, antica e potente, che lo trasforma in un mostro, e questo è mostro in tutti i sensi possibili: perché è prodigioso, con un aspetto che sfida tutto ciò che concepiamo del mondo; perché è divino, rappresenta forze più grandi di quelle umane e in alcune serie incarna l'ira di Dio, una concezione sacra della vendetta; perché fa paura, la sua apparizione è un prodigium sconcertante; perché mostra, cioè col suo aspetto porta il messaggio da cui deriva la sua esistenza, e cioè la condanna del peccato e dello stringere patti con il diavolo, la collera divina appena menzionata, l'esistenza di piani e realtà altre e superiori alla nostra. In più, Ghost Rider può vantare ascendenze mitologiche molto antiche e molto diffuse, come la leggenda dei cavalieri fantasma del Far West, ghost riders che inseguono mandrie di mucche nel cielo come punizione per i loro peccati, che a sua volta deriva da...ebbene, dalla Caccia selvaggia di cui tanto abbiamo parlato e cui tanto mi sono affezionato in questi anni. Oltre che dalla figura del cavaliere senza testa, i vari spettri a cavallo medioevali, la leggenda di Faust, e infiniti altri motivi della cultura europea. Quanti altri eroi Marvel possono vantare altrettanto?

Spawn

«Chi sei?»
«Uno che vi ama.»
(Spawn #28, Todd McFarlane)

Cover art di Spawn #119, di Greg Capullo.
Spawn, come anche Hellboy, è l'Anticristo del suo universo.
Parliamo dell'universo Image Comics, di una casa editoriale fondata nel 1992 da autori Marvel e DC in esodo, desiderosi di creare un'alternativa con la quale dare spazio alle proprie idee. Una delle loro guide era Todd McFarlane, già parte del team che aveva inventato Venom (del quale anzi ha rivendicato più volte la paternità), che divenuto presidente diede inizio alla serie più duratura del mondo degli antieroi, e scelse per lei, e per il suo protagonista, un nome semplice, essenziale, Spawn, cioè "progenie". Quella era la sua creatura, quello era ciò che aveva fatto a immagine e somiglianza di sé stesso. Le diede un costume simbiontico simile a quello del suo figlio conteso, la ricoprì di catene e di borchie come si usava tanto a quei tempi, tempi in cui anche lui aveva disegnato Ghost Rider e gli era piaciuto quel tipo di accessori, la avvolse in un lungo mantello rosso scenografico, con il quale ottenere sulla tavola effetti simili a quelli che realizzava disegnando Spider-Man e incorniciando le pagine con litri e litri di ragnatela, e la gettò in un universo oscuro e ingiusto perché si facesse strada, come stavano facendo quegli artisti.
Spawn, in vita il colonnello Al Simmons (mi passano brividi mentre scrivo il suo nome, non lo facevo da tanto tempo), si trova in mezzo alla millenaria guerra tra inferno e paradiso perché, alla sua morte, trovatosi all'inferno per le numerose vite che orrendamente stroncato lavorando come sicario al servizio del governo, accetta, proprio come Ghost, un patto col diavolo, che qui, in un inferno ispirato a quello di un interessante poeta emergente di qualche tempo fa, si chiama Malebolgia. Il patto consiste nel poter tornare sulla Terra, o meglio, nel poter tornare dalla moglie, Wanda, poiché sarà solo per lei che Al accetterà il patto, a condizione di comandare l'esercito infernale il giorno dell'Armageddon.
Non è l'accettare il patto faustiano ad accomunare Ghost e Spawn, quanto piuttosto l'accettarlo per amore di qualcuno (se avete presente, Johnny vende l'anima per salvare il padre adottivo dal cancro). Perché vedete, un patto col diavolo viene stretto, solitamente, per ambizione, avidità, significa raggiungere comodamente risultati che richiedono grandi sacrifici, anzi, significa superare i confini dell'uomo, per giungere in possesso di ciò che umano non è. Una via percorsa dai crudeli e dagli egoisti. I patti col diavolo di Johnny e Al hanno qualcosa di storto, e loro diventano creature anomale, e questo accade proprio perché alla base del loro patteggiamento c'era l'amore. Al era un assassino, uno dei peggiori, ed era anche profondamente legato ai suoi amici e infinitamente innamorato di Wanda. Sebbene più volte, nella lunga storia editoriale del personaggio, siano state aggiunte varianti e rivelate verità nascoste.
Se il patto di Johnny diventa una fregatura perché il padre adottivo, di fatto guarito dal cancro, muore in un incidente con la moto, quello di Al lo era in partenza: si risveglia cinque anni dopo essere morto, quando Wanda si è risposata con il migliore amico di lui e ha avuto una bambina, mentre il suo corpo è diventato un orrenda forma antropomorfa putrefatta all'interno di un costume vivente fatto di una sostanza infernale, chiamata necroplasma.
Ha inizio così la tragica odissea di Spawn. Solo e senza dimora, la trova nella città dei topi, la parte più remota dei bassifondi di New York, in mezzo ai barboni, agli emarginati e ai senzatetto che lo accolgono come uno di loro, sia pure non tutti con lo stesso entusiasmo, per via delle ingiustizie e delle privazioni che la vita ha inferto loro, e che rende Spawn molto meno mostruoso nel momento in cui hanno tutti qualcosa in comune. Solitario, col cuore spezzato, i ricordi annebbiati e un corpo che non riconosce, Spawn è prima di tutto una creatura sofferente, calata a forza in una trama più grande di cui non gli importa nulla, soggetto a un male esistenziale che né uomini, né angeli, né demoni hanno conosciuto prima di lui, poiché è solo a lui che è capitato.
Il costume e il mantello di necroplasma possono assumere qualunque aspetto, la forza e la velocità di Spawn sono di tutto rispetto, e soprattutto possiede poteri magici virtualmente illimitati: di solito lo vediamo lanciare i suoi iconici raggi verdi come arma di offesa, ma può trasformarsi in altre persone, in altri esseri, manipolare l'energia e la materia e persino resuscitare i morti. Può usare il fuoco infernale come Ghost Rider, e come Dracula, ha un legame con le creature oscure: tutti gli animali notturni, le creature saprofaghe e le forme di vita semplicemente disgustose seguono la sua volontà, e attraverso di esse Spawn può rigenerare le sue forze. Ecco perché usa riempire di vermi i luoghi in cui dimora. A questo si aggiungono le capacità acquisite in vita come soldato, che costituiscono in realtà la scelta principale di Spawn, molto spesso rappresentato armato di un vasto arsenale di bocche da fuoco, poiché usare i poteri infernali consuma una riserva non infinita, segnalata da un contatore che ricorre spesso alla fine delle sue storie: quando il contatore raggiunge lo zero, Spawn deve tornare all'inferno e attendere lì di ricaricare i suoi poteri prima di poter tornare sulla terra.

The Darkness

«Forse è meglio se state giù. Il mio arcinemico sta per diventare pezzetti volanti di arcinemico.»
(The Darkness #88, di Phil Hester)

L'iconica cover del primo numero di
The Darkness, di Marc Silvestri.
The Darkness, Jackie Estacado, è il meglio che questa galleria abbia da offrire. Il suo potere è il più oscuro, le sue storie le più brutali ed estreme, lui stesso è il peggiore essere umano di cui parleremo qui, ed è anche il più carismatico. Quello che mi è sempre rimasto più impresso nelle sue storie non è l'orrore, o i risvolti di trama, ma il vivere tutto quello che accade attraverso il punto di vista di Jackie, che ha un carattere complesso, un'altalenante sensibilità in aperto contrasto con la sua attività di sicario e la mancanza di scrupoli con cui si rapporta a chiunque abbia davanti -si potrebbe semplificare dicendo che le cose le nota, gli scrupoli gli saltano in mente, ma li ignora agevolmente-, e una piacevole ironia.
Darkness nasce nel 1996 sulle pagine di Witchblade, prima di ricevere una propria testata, sulla quale i due personaggi sono sempre rimasti legati. Il loro è un altro universo ancora, parte di quello Image, la quale è formata da diversi team minori che dipendono dai vertici ma mantengono un ampio margine di indipendenza, e la Top Cow, quando ha lanciato Witchblade, nel 1995, ha elaborato un sempre più complesso filone fantasy, originale e differente dalle ambientazioni più frequenti nei fumetti di allora. Witchblade, la lama stregata, è un artefatto che si lega a un possessore, sempre una donna, attraverso cui mantiene l'equilibrio tra le forze sovrannaturali del suo universo, e in particolare tra le entità della luce e dell'oscurità. Questa, Darkness appunto, compare ben presto come nemico e poi come ambiguo comprimario di Witchblade, fino a quando il suo apprezzamento si traduce in una serie curata dai suoi creatori, gli scrittori Garth Ennis e David Wohl e l'artista Marc Silvestri, fondatore della Top Cow. Si tratta di un'entità di cui non troveremmo un equivalente da nessun'altra parte, con un ruolo particolare in un cosmo particolare.
La Tenebra, spesso localizzata così in italiano -semplice e di effetto, l'ho sempre apprezzato-, è l'oscurità primigenia, ricondotta nel fumetto al passo biblico
"In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. 
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre..." (Genesi 1, 1-4)
 Solo che all'oscurità, questo cambiamento di stato, non piacque. La rese rancorosa, di un rancore che sarebbe rimasto eterno, come del resto atemporale era stato il suo stato prima che fosse la luce. La Tenebra si impiantò in una stirpe di uomini, condannandola a un destino inesorabile: essa sarebbe vissuta all'interno del suo ospite, usandolo come tramite per poter continuare a esistere e diffondere il caos nella creazione, sopravvivendo attraverso la sua discendenza spostandosi da lui nel momento in cui avesse generato un figlio, al termine dell'atto sessuale. Lo spostamento avrebbe sempre ucciso l'ospite precedente, e assicurato alla Tenebra di esistere in eterno, sempre e soltanto all'interno di un uomo. Starete pensando che sarebbe bastato che l'ospite non avesse figli per fermare il tutto, o morisse prima, ma...davvero un'entità che esiste da prima del mondo non sia in grado di provvedere a sé stessa? Anche perché, come dice enfaticamente nel videogioco, «L'ospite non può morire», e qualunque danno egli possa subire, la Tenebra lo riparerà, resuscitandolo sempre.
Alla Tenebra si contrappone l'Angelus, la luce, che viaggia di erede in erede in ospiti sempre e solo di sesso femminile. Da un patto stipulato tanto tempo fa tra le due potenze è nato Witchblade.
Jackie, discendente dei portatori della tenebra, orfano di padre come tutti loro, è cresciuto in un orfanotrofio dal quale l'ha tirato fuori Frankie Franchetti, un potente boss della mafia di New York, "zio" di Jackie, che lo tira su in modo da farne una perfetta macchina per uccidere. Cosa che riesce dannatamente bene. La notte del suo ventunesimo compleanno, che da sempre è il momento in cui la Tenebra si risveglia, la vita di Jackie cambia decisamente in peggio, trasformandosi in una caotica serie di avventure che mescolano il noir, l'orrore lovecraftiano e gli scontri tra angeli e demoni.
La Tenebra concede poteri infiniti con un unico limite, la luce, sotto la quale le sue creazioni si dissolvono. Al buio, Jackie può evocare interi eserciti di mostri di ogni genere, tra cui spiccano gli iconici darkling e le minacciose teste di serpente rese ancora più iconiche dal videogioco, e ricoprirsi nella sua armatura verde, con cui incassa senza battere ciglio qualunque colpo. Proietta colpi di ogni genere di energia, ed è in grado, con l'esercizio, di creare esseri viventi e decidere come farli.

Il Corvo

«Sono colui che dissolve il terrore di essere un uomo per innalzarmi sopra i morti. Sono la morfina per una gamba di legno.»
("Il Corvo - Libro cinque: Morte", di James O'Barr)

Una delle cover di James O'Barr.
Il notturno melancolico dell'uomo che torna in vita dalla morte per vendicare il crudele assassinio di sé e della donna che ama, figlio del dolore vissuto da James O'Barr, è cantato a memoria in tutto il mondo grazie al "film maledetto" di Alex Proyas.
"The Crow" viene pubblicato fra il 1988 e il 1989, segnando una tappa importante per la storia del fumetto indipendente, prima su Caliber Press e poi diverse altre case editrici, in varie riedizioni. L'ultima è la Gallery, da cui deriva la "Edizione definitiva" italiana, pubblicata da Edizioni BD, dove O'Barr ha aggiunto alcune tavole che non aveva potuto stampare o realizzare la prima volta, e alcune scene che aveva preferito tenere per sé.
Il corvo, che nel fumetto si firma in più di un caso con questo nome, incarnando un po' di più il tipo del supereroe, spezza le caratteristiche ricorrenti che abbiamo osservato nei primi tre antieroi, ma lo colloco qui, nella lista, per l'importanza che ha per me (ancora oggi è il mio fumetto preferito); il Corvo, dicevo, ha una componente sovrannaturale molto vaga e molto poco dettagliata, che rende un autentico mistero il modo, e anche il tempo, della sua temporanea resurrezione, che nel fumetto non viene nemmeno mostrata. Sappiamo solo che, dopo un anno dalla morte, Eric -Eric e basta, Draven è un'aggiunta del film scelta per il suono quasi identico a "the raven"- è riapparso, si è vestito e truccato nel modo in cui lo vediamo, e si è messo sulle tracce dei suoi aguzzini, i cui nomi O'Barr ha tratto dalle firme di autentici malviventi che figuravano, tra tante altre, sui muri di Detroit, dove è ambientata la storia: Tin Tin, Top Dollar, Tom Tom, Funboy e T-Bird, il capo della gang. Eric è forte ed estremamente agile, capacità che allena sottoponendo il suo fisico a molto esercizio durante tutta la storia, ed è invulnerabile. Le sue ferite si rimarginano rapidamente, ma porta addosso i segni della sua morte, e del colpo di pistola che gli ha rotto l'iride dell'occhio sinistro e aperto uno squarcio lungo il volto di cui è rimasta la cicatrice. Il suo corpo è nello stato in cui lo hanno seppellito.
La sua mente, invece, è messa molto peggio: qualunque cosa ci fosse dall'altra parte, lui è stato lì, l'ha sperimentata, ed è tornato. Ha sperimentato la morte e parla come uno che ha sperimentato la morte, inoltre ha sperimentato il dolore, il lutto, la fine delle speranze, la distruzione di tutto ciò che vedeva davanti a sé, le lunghe ore della sua agonia, e poiché amava veramente, ha sperimentato il dolore e il lutto che provava lui e quelli che ha provato Shelly, che prima e dopo la morte è stata violentata da tutti e cinque i criminali.
Viaggia di notte per la città come un angelo della misericordia, mandato per compiere una vendetta che ogni atto, ogni parola, ogni macchia di inchiostro rivelano essere giusta, e nel non dire nulla su tutto quello che c'è dietro, O'Barr ci presenta un'essenza intrinseca del fumetto che risuona nella nostra anima come: "Verità!".



Questi antieroi sono accomunati da tante cose. Estremamente violenti, quasi tutti uccidono i loro avversari e alcuni li mangiano anche, non hanno la coscienza esattamente pulita e visivamente comunicano bene la loro pericolosità, quando non fanno direttamente paura; hanno attributi ricorrenti come le catene e le sopravvesti lunghe e/o in pelle, i loro colori principali sono il nero e il rosso.
Buona parte di loro ha attinenza con il concetto di inferno, nella sua concezione cristiana, legata al fuoco e ai demoni (Ghost, Spawn, Hellboy) oppure sono non morti (Il corvo). Tutti hanno un alone di religiosità, qualcosa di sacro o contro il sacro.
I loro poteri variano, ma tutti hanno qualità fisiche superiori all'umano, e con l'eccezione di Hellboy sono invulnerabili. Molti sono immortali. Ghost, Spawn e Darkness sono tra i personaggi più potenti dei rispettivi universi, capaci di scatenare armi di distruzione di massa, quasi impossibili da uccidere e in grado di tornare indietro qualora ciò avvenga, cosa cui non sono molto propensi ma che è successa.
The Darkness, Ghost Rider e Spawn insieme
nelle loro incarnazioni western.
C'è poi un punto, ed è a questo che punta tutto il nostro discorso, questo che fa da ponte tra la storia di oggi e la nostra infinita ballata sui mostri, che è il motivo per cui li ho apprezzati così tanto, sono stati così importanti, e hanno in comune tutto quello che abbiamo visto: questi antieroi mostruosi hanno in sé due identità diverse, che consistono in due entità e anime diverse, delle quali una è umana e l'altra non lo è. Se la doppia identità è costitutiva per il concetto stesso di supereroe e una delle basi del genere supereroistico, qui assume un'accezione che oserei definire ancora più letterale e tragica. Ad avere i poteri è la seconda anima, che ha bisogno della prima per esistere, perché i mostri vengono da un altro mondo, e non possono restare a lungo nel nostro se non glielo permettiamo. Come per i vampiri, che non possono entrare nelle case se non vengono invitati dall'interno. Entrano grazie a un momento di debolezza, una decisione sbagliata, e da quel momento in poi non se ne possono andare. Ogni tanto gli editori li separano e passano il mostro di personaggio in personaggio come fosse una semplice calzamaglia, ma prima o poi torna indietro, e questo allontanamento è una forzatura, perché, nella realtà, il tuo mostro non se ne va mai da te.
Tra le due anime si crea sempre un dissidio, uno scontro, perché hanno obiettivi differenti, e l'anima del mostro cerca tutto ciò che l'anima dell'uomo non osa desiderare. Si crea una convivenza difficile, una vera maledizione, e finisce che a volte vince una, e altre volte vince l'altra.
Una scena di Venom
Questa interazione permette una straordinaria ampiezza di possibilità narrative e drammatiche, la ricchezza di avere due protagonisti in uno, probabilmente non abbastanza sfruttata. In Spawn, per esempio, il costume vivente prende parola in alcune delle storie più recenti, ma è un semplice strumento nelle prime, mentre in The Darkness la Tenebra è una voce costante durante ambedue i videogiochi, aiutante e oggetto magico dell'eroe e contemporaneamente suo antagonista, per dirla con Propp, mentre solo in alcune storie dell'originale fumettistico possiamo leggere che cosa dice o notiamo perlomeno che possiede una propria individualità.
Venom è il migliore esponente di questo motivo, dato che le particolari caratteristiche psicologiche del simbionte sono sempre state chiaramente distinte da quelle dell'ospite: tra i due c'è un rapporto interessante, poiché il simbionte, a modo suo, ama Eddie Brock, il quale si lega sempre più profondamente a lui anche perché senza non gli resterebbe nulla, e ognuno dei due ha dimostrato di essere disposto a dare la vita per l'altro; al contempo, il simbionte è naturalmente votato alla violenza, spesso anche per fame, mentre Eddie è diviso tra scrupoli etici, nonché religiosi, il suo desiderio di proteggere gli innocenti, e la sua inclinazione a fare del male in risposta a quello che ha ricevuto nella sua vita, il tutto aggravato dalla sua salute mentale non perfetta, e dal fatto che nel simbionte è sempre forte l'amore-odio morboso verso Spider-Man.

L'evoluzione di Ghost Rider è per me ancora più interessante, perché mostra diverse sfaccettature che il rapporto tra le due anime può assumere, e in senso lato presenta diverse accezioni di antieroe.
Nelle prime storie, scritte da Gary Friedrich, Johnny Blaze è un uomo maledetto che cerca di salvare la propria anima da Satana, che non può prenderla direttamente da lui in quanto impedito dall'amore puro della sua ragazza, Roxanne Simpson, un efficacissimo deterrente per il diavolo, che tenta di togliere di mezzo quest'ultima, puntualmente salvata dall'eroe. Essere Ghost Rider è una maledizione, una trasformazione involontaria e dolorosa che avviene ogni notte e dalla quale Johnny spera di salvarsi, e quei poteri gli servono unicamente per difendersi.
Con il tempo, Ghost assume sempre più la connotazione del supereroe, affrontando demoni dell'inferno e supercriminali comuni anche ad altri personaggi Marvel, pur mantenendo sempre, oltre al carattere ribelle e alla scarsa osservanza delle autorità, un approccio più violento e con meno rimorsi, dovuto anche al destino funesto che incombe su di lui e dal quale cerca disperatamente di affrancarsi. Queste qualità vanno crescendo nel tempo, e a poco a poco viene a crearsi una profonda differenza tra Johnny Blaze, uomo che ama, protegge chi gli è caro, aiuta chi ne ha bisogno, e Ghost Rider, il mostro infernale, che non riconosce niente e nessuno e massacra chiunque gli si pari davanti. Si ha allora un vero dualismo, una coesistenza di personalità diverse, e non esattamente concordi, delle quali Ghost rappresenta il lato oscuro di Johnny. Qui è l'immagine fondante di questo motivo antieroico.
Ancora, più o meno in concomitanza con l'entrata nella serie di Michael Fleisher, anch'egli scomparso quest'anno e cui rivolgiamo un pensiero affettuoso, alla connotazione dell'entità sovrannaturale di Ghost si aggiunge l'attributo della vendetta, di cui diviene tramite ed esecutore.
Intanto, anche le origini vengono riviste, e da Satana il diavolo del patto diviene Mefisto.
La svolta più significativa è alla fine della serie, scritta da DeMatteis e Budiansky, quando viene rivelato che l'alter ego di Johnny Blaze si chiama Zarathos ed è un demone con una lunga storia, che verrà anche ampliata nelle successive serie, legato a Johnny dal patto stipulato con Mefisto. Se da una parte quel dualismo tra Johnny e lato oscuro di Johnny si perde, in favore pur sempre di quello tra Johnny e Zarathos, si vede qui un altro modello di eroe, quello dell'uomo che convive con il mostro, più simile a Venom e Darkness rispetto alle situazioni precedenti.
Nella seconda serie di Ghost Rider, il cui protagonista è Danny Ketch, il nuovo eroe deriva da un medaglione cui è legata una nuova entità spirituale, con cui si fonde nel nuovo Ghost Rider. L'entità ha perso la memoria, ma è molto diversa da Zarathos, poiché è spinta a proteggere gli innocenti e castigare i colpevoli da un sentimento giusto e caritatevole nei confronti dei primi, e che riecheggia di toni veterotestamentari per quanto riguarda i secondi. Un uomo e un mostro buono, dunque, che nel corso dei vari cambiamenti degli autori di Ghost si rivelerà essere un uomo del XVII secolo di nome Noble Kale, condannato a causa di un patto demoniaco stretto da suo padre a diventare Ghost Rider.
Ricapitolando, un uomo maledetto con poteri oscuri, un supereroe con poteri oscuri, un antieroe doppio con una parte umana e un misterioso lato oscuro dotato di poteri, un antieroe doppio con una parte umana e un entità sovrannaturale. Molti personaggi di questo tipo potrebbero essere smistati in queste definizioni.

Un altro interessante spunto che accomuna gli antieroi mostruosi è la tendenza all'antropofagia, in senso spesso letterale e altre volte figurato, presente nelle storie di molti di loro.
La campagna pubblicitaria del film di Venom ha molto insistito su come la mostruosa creatura usi divorare gli esseri umani e quanto profondamente Venom sia differenziato dagli altri supereroi dallo strappare a morsi le teste dei suoi nemici. Nel film lo abbiamo visto mettere in atto queste pratiche, e questo risponde fedelmente a tendenze che Venom ha sempre avuto nei suoi fumetti. Parte delle caratteristiche che creano intorno a lui un'aura di orrore e paura irrazionale, potremmo vederla come manifestazione di fobie dell'uomo e delle spinte verso l'esterno della sua parte più oscura e bestiale. Potremmo dire altrettanto anche riguardo gli esempi che seguono.
Chi ha visto il film "Ghost Rider - Spirito di Vendetta" (2012) ricorderà che lì Ghost usava il suo sguardo per divorare le anime delle vittime nel vero senso della parola, provocando poi la combustione esplosiva dei corpi una volta terminato (scelta che non ho gradito). Da strumento di giustizia, lo sguardo diveniva così un mezzo impiegato a beneficio esclusivo dello spirito della vendetta. Una cosa del genere è accaduta anche nel recente fumetto "Damnation - Ghost Rider: Johnny Blaze" (2018), forse ispirata proprio dal film. Al di là di questo, Ghost non ha mai divorato nulla dei suoi avversari; pure, il demone Zarathos, fonte dei suoi poteri per una certa durata della storia, è qualificato proprio come divoratore di anime. Potrebbero comunque esserci altri casi in cui, nei fumetti, si sia nutrito di anime, in numeri che non ho letto.
I giocatori dei due The Darkness ricorderanno come in entrambi una delle azioni più importanti fosse divorare i cuori dei nemici dopo averli uccisi, attraverso le due teste demoniache di Jackie. Nel fumetto, dove la Tenebra si manifesta in svariate forme, virtualmente ciascuna di queste può mangiare le persone e non vede l'ora di farlo. L'eroe in sé non lo fa, il suo potere lo fa eccome.
Quanto a Spawn, egli è in grado di assorbire forza dagli esseri viventi attraverso i suoi emissari, gli animali notturni o sotterranei. In una scena molto potente, dopo un lungo combattimento con un angelo, sconfitto e riverso al suolo, mentre Spawn rimane fermo a riprendersi un numero notevole di serpenti, lupi, felini, con anche un orso nel gruppo, circondano l'angelo e lo consumano in pochi secondi, lasciando soltanto lo scheletro. Ciò che hanno assorbito viene istantaneamente trasferito in Spawn, come energia.
Ci sono anche Prototype e personaggi Marvel come Werewolf by Night e Dracula. Il primo, simile a Venom, ha un virus che si nutre di esseri viventi e che assorbe completamente un'infinità di prede durante il gioco, mentre per gli altri due, essendo un licantropo e un vampiro, non occorrerà spendere troppe parole.

Concludo osservando come sembri che nel dare sfogo all'ombra dell'uomo e alla sua oscurità interiore, gli autori portino questi personaggi ad agire non solo in contrasto con le nostre leggi o la nostra etica, ma anche con quegli ambiti di cui dovremmo essere sicuri, e che pertanto non affrontiamo. Cioè i tabù. Il cannibalismo è uno dei più forti, un elemento fondante degli stadi più antichi della nostra civiltà -benché praticato presso molte altre ancora oggi-, qualcosa che ci disturba molto profondamente. Tanto maggiore diviene allora la distanza tra un io e l'altro, tra l'eroe e il mostro che sono la stessa persona, da portarci a ritenere ciascuno altro dall'altro. Ma non lo sono, si corrispondono, e come tutte le altre cose che quella seconda identità possiede e che non ci piacciono, anche questa è una realtà che, nelle regioni più inesplorate dell'anima, possiede anche la prima.

«Ma la cosa buffa, sapete qual è? Mi senti, là in fondo? No, perché è divertente. La cosa buffa è che...che sono un eroe.»
(The Darkness Preview, Garth Ennis)

giovedì 4 ottobre 2018

Ginnungagap - Il racconto della notte dei tempi


Heil og sæl, viaggiatore venuto dal mare! Velkominn! Come stai? Hversu ferr? Spero che il mare non sia stato stato troppo duro con te. Con noi qui non fa distinzione, ci solleva e ci spezza come fuscelli. Ma noi siamo abituati, conosciamo le sue regole e non ci aspettiamo misericordia da lui. Solo, potrebbe usarne un pochino con i forestieri. Qual è il tuo nome?
Lo so, lo so, sei in viaggio e non puoi trattenerti a lungo a parlare. Sei in viaggio per una cosa più grande di te, non è vero? Tu hai incrociato lo sguardo con l'assoluto e adesso lo vuoi raggiungere...e già, te lo vedo negli occhi. Ma...oh no, tranquillo, non voglio farmi i fatti tuoi. Ho solo...capito. Non per vantarmi, ma sono bravo a capire le cose. Hai comunque bisogno di fermarti un momento, se non altro perché i tuoi vestiti sono fradici, le tue spalle tremano e alla tua barca non farebbe male una sistemata. Sei fortunato, casa mia è a due passi da qui. La pesca per ora non è male, e preparo una birra discreta. Più che discreta, invero, ma un uomo non dovrebbe mai sbilanciarsi troppo né sulla propria fortuna né sulle proprie doti, non so se concordi.
Eccoci qua. Qui c'è il tavolo...prendi quella sedia e accostala...lascia tutte le tue cose da quella parte...e vediamo. A proposito, il mio nome è Sváfnir. Vivo qui da tanto tempo, e da quando mia moglie è morta di febbre, non ho molto con me, se non il mare e i ricordi. Ho smesso da un pezzo di chiedermi quale dei due sia il più crudele e quale invece il più dolce. Tu accomodati che a mettere in tavola ci penso io. Ah, un momento solo, passami quel pezzo di legno. Bene, questo va qua, ora accendiamo un bel fuoco qui sotto, eh sì, dovrai dirmi se questa non è una gran bella zuppa di pesce...
Eppure, c'è una terza cosa che dà sollievo a questa vecchiaia. Ha solo il problema di necessitare che ci sia qualcuno insieme a me, perché farla da solo non avrebbe senso. Vuoi sapere di cosa parlo? Aspetta che metto in tavola e te lo dico. Lì c'è la birra, serviti pure.
Eccoci qua, buon appetito. Parlavo delle storie. C'è un'usanza, qui, che si tramanda da tanto, tantissimo tempo. I più remoti dei nostri antenati vivevano le cose in modo diverso rispetto a noi, e attraverso gli anni, man mano che accadevano cose che noi non sappiamo come siano andate, hanno iniziato a raccontare di eventi e di prodigi straordinari, sia prima che dopo la nascita di questo mondo. Ma non sono solo favole, bada, perché loro ne facevano un bene prezioso. C'è potere in quelle storie, che tu ci creda o no. Un potere che non avrebbero se non fossero vere almeno in parte. Prima erano un veicolo di incantesimi e formule magiche, e man mano sorse un'arte del raccontare, e vi erano uomini molto esperti in quell'arte che viaggiavano per farsi sentire da una parte all'altra di questo mondo, o almeno di quella parte in cui queste storie piacevano; perché, vedi, quasi tutti conoscevano tutte queste storie, e nonostante ciò volevano sentirle, si radunavano, banchettavano, pagavano quegli esperti per sentirle.
Ora io, in quell'arte, diciamo che non sono né più né meno bravo che in quella del preparare la birra...e il fatto che tu ne abbia bevuta così tanta in così poco tempo mi porta a pensare che non ti farò annoiare. E nemmeno ti chiederò qualcosa in cambio, sia perché sono un pescatore e non faccio il mestiere dello scaldo, e sia perché sei mio ospite, e qui da noi teniamo in grande conto gli ospiti.
Dunque, come cominciare? Da dove, soprattutto?
Meglio cominciare dall'inizio.


Secondo te, prima di tuo padre, di suo padre, degli antenati più vecchi che tu possa concepire...cosa c'è? Cosa c'è stato? Altri uomini? Un fluire infinito di uomini che va a ritroso senza fine nel passato? Oppure un singolo uomo da cui son venuti gli altri? Ma cosa ci sarebbe prima di quel singolo uomo? Gli dèi, certo. E prima di loro, cosa pensi che ci fosse? Un dio da cui son venuti tutti? E da dove è venuto lui? Spegni quella candela. Vedi niente? Bene.
Noi crediamo che all'inizio di tutto non ci fosse nulla. O meglio, quasi. Se non ci fosse stato nulla, non sarebbe mai successo nulla. C'era buio però, niente luce, e non c'era niente.

«Vasa sandr né sær,    né svalar unnir;           Non c'era sabbia né mare,    né gelide onde;
jǫrð fansk æva    né upphiminn;                       terra non si distingueva,    né cielo in alto;
gap vas ginnunga,    en gras hvergi.»              un baratro informe c'era    ed erba in nessun luogo.

(Völuspá 3)

C'erano solo due cose, ed erano l'una il contrario dell'altra. Una stava da una parte, a nord di questo niente, del baratro informe, e l'altra a sud. Una era energia fredda, una diminuzione di quel niente, una galassia polare. Niflheimr, che significa mondo delle nebbie. Noi crediamo che sia da lì che vengono molte delle cose strane che temiamo di più. Dall'altra parte rispetto a Niflheimr stava, e sta ancora, un infinito cuore di stella, l'anima ardente dell'universo, un mondo interamente di fuoco. Múspellsheimr, lo chiamiamo, non per quello che è o per quello che è stato, ma per quello che sarà: il mondo dell'incendio di tutte le cose. Da quel mondo ha avuto inizio tutto, e da quello verrà la fine.
Niflheimr è gelo, venti glaciali, nebbie...acqua, insomma. Un mondo da cui sarebbe potuta venir fuori l'acqua, ma che, da solo, sarebbe sempre rimasto ghiaccio. Così come Múspellsheimr, da solo, non sarebbe mai stato altro che tanto fuoco, luce per nessuno, calore per nessuno. Entrambi, vita per nessuno.



In un momento del tempo -chissà quando, se entrambi i mondi esistevano fin da sempre-, il calore di Múspellsheimr raggiunse i ghiacci di Niflheimr, e ne fuse una parte. Nell'universo ci fu acqua per la prima volta. Nacque la sorgente di Hvergelmir, il calderone rimbombante, agitata dal moto di queste grandi masse d'acqua che s'accalcano con cosmica violenza. Da Hvergelmir scaturirono gli Élivagar, i fiumi dalle onde ghiacciate. Undici erano gli Élivagar, sebbene i nomi che gli uomini hanno dato loro siano molti di più. Fiumi velenosi, impossibili da attraversare per chi non è un dio, che scorrono attraverso tutto l'universo, e attraverso le loro correnti regolano lo stato di tutte le dimensioni.

Questi fiumi, scorrendo sul Ginnungagap, che in quanto nulla non era né ricolmo ma neanche vuoto, andarono sempre più lontano dalla loro sorgente, e i loro vapori, gelando, divennero brina, che si accumulò in strati sul Ginungagap. A poco a poco, tutto ne fu ricoperto. E mentre nelle vicinanze di Niflheimr tutto era freddo e oscuro, più si andava vicini a Múspellsheimr e più aumentava il calore e il clima diventava mite.
E finalmente, in questo protocosmo, tra le due forze opposte e in virtù di entrambe, nel momento in cui il calore iniziò a sciogliere la brina, accadde un nuovo miracolo: nacque il primo essere vivente.
Un essere assolutamente oltre qualsiasi nostra possibilità di comprensione. Il suo nome era Ymir. Lo chiamiamo gigante, e di questi mostri fu invero il progenitore...ma era molto al di là anche di questa definizione. Vuoi sapere perché si parla di lui con questo nome? Perché fu il primo abbia mai emesso parola. Ymir può significare "colui che mormora", oppure "colui che urla", ma in entrambi i casi, si distingue da tutto ciò che è stato prima di lui perché ha parlato. E in questo, ancor più che nell'essere vivo, sta il suo avere cambiato l'universo, che dopo un infinito silenzio avvolto dalle tenebre, e dopo i frastuoni cosmici del ghiaccio e del fuoco, udì con lui, per la prima volta, una voce.
Ymir, in quanto vivo, aveva bisogno di nutrirsi. Dopo di lui, il secondo essere a nascere, emergendo dalla brina che disgelava, fu la grande vacca Auðhumla, che lo nutrì con il suo latte. Quel latte, continuando a scorrere attraverso l'universo, formò altri quattro fiumi.
Ti domanderai di cosa la vacca, che necessitava a sua volta di nutrimento, si alimentasse. I savi hanno detto che essa leccò il ghiaccio dalle rocce brinate intorno a sé, e il sale che esse contenevano. Rivelando, così, che sotto il ghiaccio si trovava un altro essere vivente: alla fine del primo giorno, ne vennero fuori i capelli; alla fine del secondo giorno, ne venne fuori la testa; alla fine del terzo giorno, la figura completa. Questi era Búri, il cui nome vuol dire "generato", ed è da lui che discesero gli dèi e gli uomini. Ti domanderai in che modo egli fosse nato, o se non preesistesse a Ymir e fosse sempre stato sotto quel ghiaccio. Se ci pensi, nacque nello stesso modo in cui erano già nate tutte le altre cose, dal contatto tra il freddo e il caldo, le rocce brinate e la lingua di Auðhumla. Sempre due cose, inevitabilmente, due poli opposti e complementari, come vedi.
Búri generò da solo Borr: egli sarebbe stato il primo di tutti ad avere dei figli unendosi ad un altro essere, poiché il suo nome significa che egli è colui che perfora.

Mentre questo secondo ceppo di discendenza iniziava a ramificarsi, anche Ymir, il primo nato, diede origine ad altri da sé, pur simili a sé: e si racconta che, mentre dormiva, abbia sudato copiosamente, sicché sotto le sue mani nacquero un gigante, da una parte, e una gigantessa dall'altra; poi, sempre mentre dormiva, i suoi piedi entrarono in contatto, e quella potenza generatrice diede vita a un nuovo gigante, dal quale sarebbe discesa la razza di quelli che chiamiamo jötnar, i giganti della brina: il suo nome era Þrúðgelmir, e possedeva sei teste. E benché dovesse essere certamente un mostro incommensurabile, pensa quanto ben più mostruoso doveva essere il suo genitore, più simile alla materia cosmica che alle creature di questo mondo. Il primo figlio di Þrúðgelmir si chiamava Bergelmir. In seguito, la stirpe divenne sempre più numerosa, creature immani, crudeli come le acque velenose da cui era nato il protogono, che di tutti loro era il più crudele. Egli era chiamato, tra di loro, anche Aurgelmir, ma è conosciuto nei canti dei poeti anche come Brimir e come Bláinn. Spero tu abbia fatto caso a come, anche qui, egli abbia operato il processo generativo attraverso il contatto tra il freddo e il caldo, come questi figli siano nati dalle gocce del suo sudore, non dissimili da quelle degli Élivagar, da cui era nato lui.


Ora, per tanti lunghi inverni il cosmo rimase in questo stato, teatro dei hrímþursar -anche così sono chiamati i giganti del ghiaccio-, un luogo di caos e di follia. Fino al momento in cui Borr, figlio di Búri, della stirpe degli dèi, si unì ad una gigantessa di nome Bestla, figlia di Bölþorn. Chissà perché accadde. Il dio aveva bisogno di una creatura altra da sé per generare dei figli...o forse aveva bisogno di amare? Che ne dici, poteva già esistere, l'amore, prima ancora che esistesse il mondo? O forse esisteva già ancora prima di Ymir, uno spirito invisibile in attesa che la terra e gli elementi nascessero? Fu forse lui ad accendere i fuochi di Múspellsheimr in un eone di cui nessuno ha mai menzionato il nome? E del resto, chi mai potrebbe menzionare, o misurare, un tempo così lontano?
E io trovo che, perché nascesse qualcosa di nuovo, in grado di cambiare lo stato in cui versava l'universo primordiale, era necessaria l'unione di un gigante e di un dio, del potere generatore del caos e di un principio ordinatore in grado di comprenderlo.
Solo da un incontro tra forze così grande, solo da un miracolo così inaudito in quel momento, solo da stirpi così grandi, sarebbe potuto nascere il protagonista di tutto quello che sarebbe stato da quel momento in poi, colui che avrebbe dato inizio a tutte le storie, colui che le avrebbe impresse nel tessuto di tutte le cose e le avrebbe raccontate. Colui che, non per nulla, chiamiamo "Padre di Tutto".
Egli, come hai compreso, è Óðinn, figlio di Borr, figlio di Búri, figlio di nessuno.
Odino ebbe due fratelli, Vili e Vé, "volontà" e "santità". La forza dei figli di Borr non si era mai vista in tutto l'universo, ed essi avevano uno spirito di fuoco indomabile. Non potevano tollerare dei limiti. Così, quando furono grandi abbastanza, i tre fratelli unirono le forze e attaccarono Ymir, stritolandone e straziandone le membra infinite. Ymir fu smembrato, le sue parti sparse per l'etere, e il potenziale tenuto dentro la sua forma si riversò all'esterno.
Il mondo nacque così. Dal corpo di Ymir.
Le sue membra vennero poste in mezzo al Ginnungagap, tra il freddo e il caldo, tra il sotto e il sopra. Un mondo di mezzo.
La sua carne divenne la terra.
Le sue ossa divennero le montagne.
Pietre e sassi nacquero dai suoi denti, e dai pezzi di osso che si erano frantumati nella lotta.
Il cranio di Ymir venne sollevato in alto, al di sopra delle terra, e con questo gli dèi fecero il cielo.
Il sangue del suo corpo eruppe e dilagò nel cosmo, e tutti i giganti, le mostruose creature ancestrali, annegarono in questa alluvione. Furono solo due jötnar, Bergelmir e sua moglie, che si trovavano su un alto mulino, a salvarsi: da loro sarebbero discesi i nuovi giganti.
Odino, Vili e Vé arginarono le acque in un cerchio intorno al cosmo, che divenne l'oceano, Úthaf. L'oceano è il nostro confine e l'anello tra il misurabile per noi e quello che non lo è, poiché oltre stanno le remote profondità dell'universo, il Niflheimr, il Múspellsheimr, e molte altre cose.
Dal sangue di Ymir vennero i laghi ed i fiumi, mentre dal suo cervello, che i tre dèi posero in cielo, provengono tutte le nubi: Ymir, nato dall'acqua velenosa degli Élivagar, aveva in sé tutta questa protoacqua, un elemento caotico, misterioso, ma anche vitale. Non dimenticare mai, tu che l'hai provata, la natura perigliosa del mare.

È frequente, nelle culture germaniche, l'allitterazione nei nomi dei parenti.
Il nome di Óðinn, come ci ricordano la sua forma tedesca Wotan e quella anglosassone Wōden, deriva dal protogermanico *Wōdanaz, dalla parola *wōþuz che significa furore ed ispirazione profetica (ambito su cui torneremo più avanti). Dunque il nome di Odino, inizialmente, conteneva lo stesso suono dei nomi Vili e Vé. Questi ultimi, che compaiono solo nel mito della creazione, sono ritenuti da alcuni epiteti di altri dèi. Vedremo più avanti, a proposito del mito della creazione dell'uomo, a quali essi possano essere sovrapposti.


Al centro del mondo, i figli di Borr posero un recinto, che composero con le sopracciglia di Ymir. Sai perché? Quel recinto lo chiamarono Miðgarðr, che significa "terra di mezzo". Era il nostro mondo, amico mio; gli dèi lo recintarono per proteggerlo dall'oscurità che rimaneva al di fuori. Oltre l'oceano, infatti, si trovava e si trova ancora Útgarðr, un luogo misterioso e al di fuori della loro giurisdizione: fu là che Bergelmir si rifugiò, lì che nacquero i nuovi giganti. È ancora terra del caos, quella. Non si può impedire al caos di perdurare, di continuare a fremere oltre i recinti, oltre i confini, oltre le leggi. Finché entrambi permangono, possono generare.
Per sé stessi, invece, i figli di Borr scelsero il punto centrale del campo recintato, e vi edificarono, sopra una rocca, il luogo più bello di tutto l'universo. Posero mura e difese, torri altissime, e all'interno innalzarono una città splendida, scintillante come i fuochi di Múspell, fatta di oro e di argento dai riflessi di stelle, e la chiamarono Ásgarðr, terra degli dèi. Per millenni abbiamo sognato Ásgarðr, ancor più perché ad alcuni dei mortali può toccare l'immenso privilegio di vederla. Ma stiamo anticipando i tempi, dato che i mortali, nel nostro racconto, non esistono ancora.

Scrutando il cielo, i tre dèi videro un baluginare di luci, scintille del Múspellsheimr sparse per il Ginnungahiminn, che come puoi indovinare è il cielo abissale, il cielo dell’inizio dei tempi che ricopre il Ginnungagap. Stabilirono così delle leggi e dei corsi per ognuna di esse, e quelle luci sono gli astri del nostro firmamento. Prova a figurarti tu, col tuo senno, il rigore di pensiero di questi dei, che decretarono un ordine perfetto per tutte quelle stelle. Quell’ordine, specchio della loro mente, segnò un altro avvenimento straordinario, il computo del tempo, che era sempre esistito, come sanno i saggi:

«Ár vas alda,                 In principio era il tempo,
þars Ymir byggði»        lì Ymir dimorava
(Völuspá 3)

ma che fino a quel momento non aveva avuto nome o significato. Così il senso del tempo è la mente degli dei, e tutto quanto ciò che conosci non segue criterio più vincolante di questo.
«Sól varp sunnan,
sinni mána,
hendi enni hægri
of himinjǫður;
sól þat né vissi,
hvar hon sali átti;
stjǫrnur þat né vissu,
hvar þær staði áttu;
máni þat né vissi,
hvat hann megins átti.
Con forza da sud il sole,
compagno della luna,
stese la mano destra
verso l'orlo del cielo.
Il sole non sapeva
dov'era la sua casa;
le stelle non sapevano
di avere una dimora;
la luna non sapeva
qual era il suo potere.
Þá gengu regin ǫll
á rǫkstóla,
ginnheilǫg goð,
ok gættusk of þat:
Nótt ok niðjum
nǫfn of gáfu,
morgin hétu
ok miðjan dag,
undorn ok aptan,
árum at telja.»
Andarono allora tutti i potenti
ai seggi del giudizio,
gli altissimi dèi,
e tennero consiglio:
alla notte e alle fasi lunari
nome imposero;
al mattino dettero un nome
e al mezzogiorno,
al pomeriggio e alla sera
per contare gli anni.

(Völuspá 5-6)

Nótt
Una storia a parte ebbero il sole e la luna, e anche il giorno e la notte non erano sempre esistiti.
Molte delle forze più pure della natura sono giganti, o figli di dèi e giganti insieme.
La notte, la grande madre di tanti elementi, noi la chiamiamo Nótt. Bella e scura come le profondità dello spazio, è figlia di un gigante che si chiamava Nörfi, e si è sposata tre volte con tre dei antichissimi, le cui storie sono andate perse nel corso delle ere. Il primo era Naglfari, il cui nome significa “navigatore su una nave di unghie”, e il figlio che Nótt ebbe da lui, Auðr, era uno degli elementi primordiali, lo spazio.
Secondo fu Annarr, e tale è proprio il significato del suo nome; da questa unione nacque Jörðr, la dea della terra, e fu dunque molto importante: perché se il mondo poggiava ora su rocce e fango, non ne nasceva ancora nulla, e tutto era ancora soltanto un infinito cadavere smembrato. Jörðr diede vita alla terra, la rese fertile e soprattutto la rese forte, ed è un nome che devi ricordare, il suo, poiché sarebbe stata proprio lei, in seguito, la madre del nostro dio più amato, il grande Þórr.
Terza fu l’unione con Dellingr, l’alba, luminoso tanto quanto Nótt era oscura, e il suo frutto fu Dagr, il giorno. Non stupirti che il giorno sia figlio della notte, poiché tu stesso puoi vedere nel cielo come sempre la luce emerga dal grembo delle tenebre.
Odino decretò che i due percorressero il cielo girando intorno alla terra, in modo che nel mondo notte e giorno si avvicendassero, e donò loro due cavalli. Mira, come anche il giorno e la notte riflettano quel gioco di fuoco e di ghiaccio da cui ha avuto inizio ogni cosa: a Nótt venne dato Hrímfaxi, che significa “criniera brinata”, mentre a Dagr Skinfaxi, “criniera lucente”. Durante il passaggio di Hrímfaxi, la sua bava gocciola sulla terra e diviene rugiada sulle foglie e sull’erba, mentre Skinfaxi rischiara il cielo diurno con il bagliore della sua criniera. 
Dagr
Questa luce non era però il sole. Ecco come vennero creati i due astri sovrani.
Gli dèi costruirono due grandi carri in cui contenere due più chiare scintille del Múspellsheimr; poiché, tra le divinità minori, vi era un uomo di nome Mundilfǿri, che aveva un figlio di nome Máni e una figlia di nome Sól, i quali erano belli come se fossero venuti anch’essi da Múspell, e poiché il padre si vantava oltremisura di questa sua fortuna, i sovrani del cielo vollero a un tempo punire lui e omaggiare quella bellezza. Máni fu così costretto a salire sul carro della luna, e Sól su quello del sole. Poiché quest’ultimo è molto più ardente della luna, il carro è trainato da due cavalli, Árvakr e Alsviðr, “che si sveglia presto” e “tutto ardente”, sulle cui spalle gli dèi hanno posto dei mantici che li raffreddano nel corso del tragitto, e vi sono anche delle rune sulle orecchie del primo e sugli zoccoli del secondo. Inoltre, davanti al sole essi posero lo scudo Svalinn, “che rinfresca”, in modo da attenuare il calore che altrimenti avvamperebbe le terre e i mari, e brucerebbe i viventi.
Qualche tempo dopo che furono posti in cielo, inoltre, Máni scorse sulla terra, una sera, due ragazzi di nome Bil e Hjúk, figli di Viðfinnr, che si allontanavano da un pozzo chiamato Byrgir, e decise di prenderli sul suo carro perché lo aiutassero a regolare le fasi lunari. Sono quei due giovani i segni che vedi sulla luna, quando rivela tutto il suo volto a noi che stiamo qua giù. Anzi, ora ti faccio vedere, accompagnami fuori. Stanotte il cielo è tranquillo. Li vedi? Quello è Bil, quell’altro è Hjúk.
Torniamo dentro, c’è ancora dell’altro, e mi sembri interessato a sentirlo.

Nella mitologia greca, Nyx, la notte, si unisce -nel racconto esiodeo- a Erebo, l'oscurità infera, per dare vita a Etere ed Emera, la luce e il giorno. In entrambi i sistemi, dunque, la luce e il giorno sono distinti e discendono, almeno nel caso del secondo, dalla notte.
Interessante osservare -senza voler forzare alcuna interpretazione- come il nome del primo marito di Nótt, Naglfari, rimandi chiaramente a Naglfar, il nome della nave dei morti su cui, come scritto nella Völuspá, le forze del caos attaccheranno Ásgarðr durante il Ragnarök, in un modo che ci riporta forse alla mente il fatto che Caronte, nocchiero degli inferi e di per sé figura "minore" rispetto ai principi cosmici finora elencati, sia definito figlio di Erebo, risultando così vicino, genealogicamente, a questi principi.
Sorge, insomma, la curiosità su se, in uno stadio molto remoto del racconto mitico, non esistesse una figura divina legata contemporaneamente alla navigazione e al mondo dei morti, o se questa sia una semplice coincidenza legata a un nome che in realtà significa tutt'altro.


Gli altri elementi appartengono ai giganti. Gli dèi del fuoco, del mare e del vento sono i figli di Fornjótr, il gigante antico, che si dice governasse la terra dei Finni.
Ægir, il maggiore, è il dio del mare, cui ti consiglio di raccomandarti nei prossimi viaggi che farai. Regna su tutti i mari, e possiede un maestoso palazzo negli abissi, dove la sua sposa, Rán, dea degli annegati, conduce tutti coloro che cattura nella sua rete dopo averli trovati dispersi in mezzo alle acque. A differenza dei suoi fratelli, è rinomato fra i signori di Ásgarðr, che si riuniscono in consesso nel suo palazzo per bere la sua prodigiosa birra. La mia al confronto è meno che sputo, ahimè!
Logi è il dio del fuoco, nel suo aspetto più puro e selvaggio. È il fuoco divoratore, l’incendio che consuma qualsiasi cosa. Pensa che il dio Loki, la cui voracità è rinomata, gareggiò contro di lui in una sfida che avrebbe vinto chi primo fra i due, posti alle due estremità di una lunga tavola imbandita di carne, fosse arrivato per primo al centro, e che perse, poiché se ambo gli dèi arrivarono al centro nello stesso momento, Logi aveva divorato non solo la carne, ma anche le ossa, i piatti e la tavola stessa! Un ospite così è meglio che stia nel camino, converrai, se gli va bene anche il legno.
Il terzo figlio è Kári, il vento, ma ne parliamo soprattutto per via dei suoi discendenti, divinità del ghiaccio e della neve. Il vento, infatti, chiunque sia minimamente addentro alle cose antiche saprà dirti che deriva dal battito delle ali di Hræsvelgr, la grande aquila divina, che in verità è anch’essa un gigante con tali sembianze.
“Hræsvelgr heitir,
er sitr á himins enda,
jǫtunn í arnar ham;
af hans vængjom
kvæða vind koma
alla menn yfir”.
“Hræsvelgr si chiama
chi siede alla fine del cielo,
jǫtunn in forma d'aquila:
dalle sue ali,
dicono, giunga il vento
sopra tutti gli uomini”.
(Vafþruðnismál 37)
Figlio di Kári è Frosti, detto anche Jökull, il dio del ghiaccio e del gelo, in cui le caratteristiche dei giganti sono più accentuate. Figlio del gelo è neve, Snær, e i suoi figli sono tutti elementi invernali: Þorri è la seconda metà dell’inverno, Fönn è il nevischio, Mjöll è la neve fresca e Drífa, l’unica femmina, è la tormenta. E ora sai come si chiamano in poesia tutte queste cose che fanno tribolare gli uomini nei mesi più duri.
Riguardo alle stagioni, esse sono così diverse per via dei loro genitori: il padre dell’inverno, Vetr, era un gigante arcigno e rigido, di nome Vindsvalr, che crebbe il figlio in accordo alla sua freddezza; del pari, il padre di Sumar, l’estate, era un gigante estremamente cordiale e piacevole, Svásuðr, che infuse il proprio temperamente anche a Sumar. E quanto meglio sarebbe stato se i due padri si fossero conosciuti e Svásuðr avesse elargito qualche consiglio a Vindsvalr? Non trovi? Ma così, non avremmo avuto la differenza tra le due stagioni. Perché nell’alternarsi di freddo e caldo nel corso dell’anno è ripetuto il codice universale di cui ti ho parlato. Apprezza, e benedici, se ci riesci, la ruota dell’anno!

I lettori più addentro alla mitologia greca avranno notato come molti principi primigeni siano giganti che hanno figli con gli dei, loro nemici, analogamente a quanto fanno i Titani con gli Olimpici. Dal nome di Ægir, dio del mare, deriverebbe per alcuni proprio la parola usata comunemente nella lingua norrena per indicare il mare, ægir, proprio come avvenuto nella lingua greca a partire dal nome del titano Oceano.

Ora, la carne di Ymir, dopo la sua morte, era andata in putrefazione, e poco alla volta ne erano emersi vermi. Vermi diversi da quelli cui io e te siamo abituati, chiaramente, vermi di natura superiore. Gli dèi vollero donare a queste creature un aspetto e delle facoltà umane, e questi vermi divennero la stirpe dei dvergar, i Nani. Nonostante questi doni, i nani sono rimasti creature sotterranee, più vicine al mondo dei morti che a quello dei vivi. Dimorano sottoterra, come saprai, ed è per questo che conoscono intimamente la struttura dei metalli e sono i migliori nel lavorarli; potremmo dire che, come i metalli sono ciò che resta delle ossa e delle viscere di un grande gigante morto, sia più che comprensibile che dei mangia-cadaveri abbiano una particolare sintonia con loro.
E non figurarteli come creature minute, poiché grande è la loro forza: quattro di loro vennero scelti per sorreggere i quattro angoli su cui poggia il cranio di Ymir, cioè gli angoli del cielo, e i loro nomi Norðri, Suðri, Austri e Vestri. Così chiamiamo i punti cardinali.
Misterioso è invece il modo in cui nacquero gli álfar, cioè gli Elfi, e la loro stessa natura è sfuggente: simili agli dèi ma al contempo diversi, meno potenti ma luminosi e bellissimi, hanno una dimora tutta per sé, il mondo di Alfheimr. Ma alcuni di loro sono di tutt’altra natura, sotterranei e neri come pozzi senza fondo, e vivono a Svartalfheimr, il mondo degli elfi neri.
I tre dèi, dopo tutti questi avvenimenti, presero a percorrere la via di casa attraverso il mondo che avevano da poco creato, sempre insieme, e si imbatterono in due tronchi d'albero vuoti. Uno era Askr, il frassino, e l'altro Embla, l'olmo. Affascinati, donarono agli alberi beni di ogni genere, gioielli, stoffe, e in ultimo i tre doni fondamentali: Odino donò loro il respiro, Vili la ragione e il movimento, e Vé il fuoco interiore, cioè la forma e la parola, ed i sensi. Fu in quel modo che i due alberi divennero il primo uomo e la prima donna, per il valore dei doni ricevuti. Askr ed Embla furono i genitori di tutta l'umanità, e a loro gli dèi donarono Miðgarðr, dove viviamo ancora oggi.
Siamo nati dagli alberi, mio caro ascoltatore, e siamo venuti dalla stessa fonte della legna che usiamo per accendere il fuoco. I doni degli dei ci hanno resi superbi, lo dice anche Odino:
«Váðir mínar
gaf ek velli at
tveim trémǫnnum;
rekkar þat þóttuz
er þeir rift hǫfðu:
neis er nǫkkvinn halur.«
«Le mie vesti
diedi nei campi
a due uomini di legno.
Grand'uomini si credettero
come ebbero gli abiti:
nudo, chiunque è affranto.»
(Hávamál, 49)
ma questo non ci deve far dimenticare che facciamo parte dello stesso mondo di quella legna e di quel fuoco. Non dimenticare mai che sei un uomo.

La Völuspá nomina invece una diversa triade divina all'origine della creazione dell'uomo, costituita da Odino, Hœnir e Lóðurr, che donarono il respiro il primo, la coscienza il secondo, il calore vitale e il colorito il terzo.  Nel racconto di Snorri, dove l'antropogonia è a opera dei figli di Borr, i loro doni sono il respiro e la vita, la ragione e il movimento, la forma, la parola, l'udito e la vista. I doni indicati nel presente racconto sono un tentativo di assimilare le due serie diverse.
Ulteriore elemento di indagine lo fornisce il Réginsmál, la cui versione è riportata anche nella Völsunga Saga, a proposito della storia "dell'oro del Reno": all'origine della maledizione che costerà la vita di Sigurðr, dell'uccisione di Ótr, è il passaggio di una triade di dèi, costituita da Odino, Hœnir e Loki. In realtà, l'identificazione di Lóðurr, figura che compare solo in questo mito, col ben più ricorrente Loki, una delle divinità più importanti del pantheon norreno, è argomento dibattuto e che presenta diverse obiezioni, ma anche ragioni per essere sostenuto.
Il presente autore non possiede chiaramente i titoli e le competenze per entrare nel merito delle questioni dei filologi e degli studiosi del mito, ma a beneficio dei lettori vuole osservare come Loki, dio legato al fuoco (dunque anche al calore vitale), forse anche etimologicamente, trickster capace di assumere tanto ruoli negativi quanto ruoli positivi, e partecipe in ciò di un riflesso nel pantheon di aspetti propri della natura dell'uomo, ha buone ragioni per essere considerato partecipe della creazione dell'uomo.

Miðgarðr sono tutte le terre che conosci, e quelle che non conosci ancora, ma che potresti vedere se navigassi a lungo in qualunque direzione. È ovunque tu possa arrivare. L’unico suo limite è che non è infinito, non si estende a oltranza attraverso il cosmo, poiché oltre l’oceano è limitato dal cerchio del Miðgarðsormr. Eppure, è solo un mondo, e non l’unico.
Ti rivelo una formula di saggezza:
“Níu mank heima,
níu íviði,
mjǫtvið mæran
fyr mold neðan”
“Nove mondi ricordo
nove sostegni
e l'albero misuratore, eccelso,
che penetra la terra.”
Oggi, nell’universo vi sono nove mondi, e come l’albero misuratore regge e fa da arbitro a tutto il resto, così questa scienza è l’asse di tutte le altre. È un bene prezioso.
Quali sono questi nove mondi?
Uno è Miðgarðr, ed è il nostro. Tuttto ciò che conosci del mondo vale solo qui.
Eccelso rispetto a noi è Ásgarðr, il mondo degli Æsir, dove Odino osserva tutto ciò che avviene in tutti gli altri mondi e ne è signore. L’oro e l’argento che hai mai veduto, il suolo su cui hai camminato, e qualunque cibo o bevanda tu abbia mai conosciuto, non sono della stessa materia di cui sono fatte queste cose ad Ásgarðr.
In mezzo c’è Álfheimr, il mondo degli elfi della luce, che per distinguere dai fratelli tenebrosi sono anche chiamati Ljósálfar. Forse si trova nei cieli che stanno tra i mondi, e che forse sono più di uno.
Da qualche parte nei recessi del cosmo sta invece Svartálfheimr, il mondo degli elfi neri, che chiamiamo døkkálfar, elfi oscuri. Un luogo sotterraneo anche senza avere della terra su di sé, buio, oscuro, sinistro, di cui non si sa nulla.
Il mondo posto più in basso, tra le radici dell’albero, è Hel, il mondo dei morti.
A nord del cosmo, come sai, c’è il Niflheimr, il mondo del freddo, della nebbia e del buio.
A sud c’è il Múspellsheimr, il mondo del caldo, del fuoco e della luce.
E poi ci sono i mondi dimorati dai pari degli Æsir. Oltre l’oceano c’è Útgarðr, la dimensione del caos, ed è lì che dimorano i giganti, nel loro mondo di Jötunheimr, anch’esso un mondo di ghiaccio. Ma se Niflheimr è un luogo oscuro e nebbioso, una forza primordiale, Jötunheimr è l’espressione di una natura evoluta e completamente pura, dove gli elementi caotici sono liberi di scatenarsi. Vi dimorano gli jötnar e altri generi di giganti, e i troll, i lupi giganti, i draghi e qualunque mostro di cui tu abbia udito parlare nelle leggende.
Da qualche parte, forse nel cielo, si trovano le paludi di Vanaheimr, dove un tempo vivevano prosperamente i Vanir. Questa è una storia sanguinosa e infelice.
I Vanir erano un’altra stirpe di dèi, proprio come gli Æsir. Non si sa né come nacquero, né come fosse il loro mondo inizialmente, solo il fatto che vivevano in armonia con la natura, e che se gli Æsir sono dèi di civiltà, arte, cultura e guerra, i Vanir sono divinità di campi, coltivazioni, piante ed alberi. Di queste cose non si racconta più come vennero all’esistenza.
Tutto questo perché con loro gli Æsir combatterono la prima e più grande guerra della storia. Gli uomini esistevano già, e quel tempo è stato tramandato soltanto come follia di ombre, pioggia di sangue, terrore nel cuore, assedio di incubi. Neanche si sa perché sia scoppiata quella guerra. Ma se almeno in parte gli uomini e gli dèi hanno una natura simile, puoi ben comprendere come la guerra, tra due popoli simili e posti nello stesso spazio, fosse inevitabile.
La guerra si concluse con una tregua, ma gli Æsir fecero prigionieri molti dei Vanir, e si unirono in matrimonio con loro proprio come fecero coi giganti.
Così, dei numi che più veneriamo, alcuni sono Vanir.

Non dedico qui spazio, lungo e che non permetterebbe di pervenire a soluzione alcuna, alla questione in merito all'identificazione degli elfi oscuri con i nani, dovuta ad alcuni passi dei testi eddici. Basterà dire che la maggior parte degli studiosi che si sono dedicati all'argomento concorda nel ritenerla corretta.

Il primo fra gli æsir è Odino, che oltre ad essere sovrano e Padre di Tutto è dio, potremmo dire, di ciò che è divino. È complicato da spiegare. Vi è un dio della guerra, ma Odino è dio della furia che ti raggiunge l'anima durante la battaglia; vi è un dio della poesia, ma Odino è dio dell'ispirazione e delle profezie; vi sono dei della morte, ma Odino è dio del mistero e del significato, della morte.
Odino prese in sposa Frigg, figlia di Fyörgin, una delle asinne, regina di Ásgarðr. Ma si unì anche a Jörðr, come ti dicevo, ed è da quella unione che nacque Þórr, il grande dio del tuono. Lui rappresenta ciò che noi uomini in queste terre sentiamo di più, la vita piena, il desiderio dell’avventura, dell’eccitazione della lotta, del piacere del convivio, del cibo e delle bevande -aspetta, te ne prendo dell’altra- e la sua arma, il martello Mjöllnir, è uno dei simboli che ci sono più cari.
Sua moglie Sif è la più bella tra le dee, e i suoi capelli d'oro sono frutto dell'arte dei nani. 
Figlio di Odino e Frigg era Baldr, il dio della luce e della giovinezza. Sua moglie era la dea Nanna, e loro figlio era Forseti. La storia di come sia stato il primo dio a morire, non ho il cuore di raccontartela questa sera. I due sposi adesso dimorano nel mondo dei morti, e Forseti ne è il giudice. Figlio di Odino e di Frigg è anche Höðr, il cieco, un dio molto forte di cui forse sapremmo di più se non avesse preso parte a quella vicenda, dopo la quale gli dèi non hanno mai voluto che di lui si parlasse ancora.
Týr, figlio di Odino, è uno degli dèi più importanti, poiché è il dio della guerra e significa saggezza e giudizio, ciò che fa differenza tra una furia cieca destinata alla disfatta e il trionfo dei soldati. È indubbiamente il più coraggioso degli dèi, poiché l'unico a non temere Fenrir, il mostro più spaventoso che esista.
Figli di Odino sono poi Viðarr, il dio silenzioso e Váli, che nacque subito dopo la morte di Baldr per poterla vendicare un giorno, fino al quale non si laverà e non si pettinerà, tale è l'urgenza del suo destino.
Poi c'è Bragi, il dio della poesia, cioè del talento nell'uso delle parole e delle kenningar, dell'arte scaldica.
Heimdallr è il guardiano dell'ordine, perché dalla rocca di Himinbjörg, dove dimora, sorveglia il confine del mondo dei giganti, pronto a dare l'allarme allorché essi minaccino di varcarlo. Dai suoi tre figli discendono tre stirpi di uomini, e per questo lo consideriamo un dio a noi più vicino.
Ullr, un altro dio della luce, è di origini ignote, ma si dice figlio delle nozze di Sif che precedettero quelle con Þórr.
Sága, una delle asinne, dimora in un grande palazzo in Ásgarðr, chiamato Søkkvabekkr, dove ogni giorno beve insieme ad Odino. Seguono Eir, la loro guaritrice, e Gefjun, protettrice delle vergini.
Poi vi sono le tre dee ancelle di Frigg: Fulla, custode dello scrigno di Frigg e sua confidente, Gná, che si occupa delle sue faccende domestiche grazie anche al suo cavallo magico Hófvarpnir, e Hlín, che Frigg ha incaricato di consolare e proteggere gli uomini.
Vi sono molte dee dell'amore, Sjöfn, dea dell'amore che lega i parenti, Lofn, che permette gli amori proibiti, Vár, dea dei patti d'amore, che fa giustizia di coloro che li infrangono.
Vör è una dea di cui è rinomata la saggezza, e lo stesso avviene per Snotra.
Quanto a Syn, è la dea che custodisce le entrate e le porte, sia concrete che astratte, poiché respinge tanto gli intrusi dalle case quanto le accuse false nei processi di giustizia.
La dea I­ðunn è di estrema importanza per gli Æsir, poiché è una della della fertilità che coltiva le mele di cui gli dèi si nutrono per rimanere per sempre giovani.

Dei Vanir, sono Njörðr e i suoi figli, Freyr e Freyja, ad essere i più insigni tra i signori di Ásgarðr. Sono dèi potenti che ci sono molto vicini.
Njörðr, come Ægir, è un nume marittimo, dio dei venti e dei naviganti, e come lui, dimora in un proprio palazzo, chiamato Nóatún, posto non sul fondo dell'oceano ma in cielo.
È un antico costume dei Vanir il matrimonio tra fratello e sorella, che gli Æsir hanno vietato in Ásgarðr, ed è dalla propria sorella che Njörðr ha avuto Freyr e Freyja. Sua seconda sposa è Skaði.
Freyr è il dio che preghiamo perché renda fertile la terra, perché faccia piovere e per essere protetti. Possedeva un'ottima spada che ha dato via per poter sposare Gerðr, di cui era innamorato. Suoi sono il migliore dei cinghiali, Gullinbursti, che cavalca in battaglia, e la migliore delle navi, Skiðblaðnir, che ha il vento a favore ovunque vada e può essere ripiegata su se stessa, tanto finemente è stata assemblata, per essere trasportata come una borsa.
Freyja è la dea della bellezza e dell'amore, della passione, del sesso e della seduzione. Le sue lacrime si trasformano in oro, e ne produce in gran quantità allora che il suo sposo, Óðr, è assente.

Ultimo viene Loki. Sempre lo nominiamo per ultimo, poiché se da lui è venuto del bene, immenso è stato anche il male.

Il pantheon norreno è stato soggetto a profonde innovazioni nel tempo, che meritano di essere indagate in un lavoro espressamente dedicato.
Qui mi sono rifatto principalmente al catalogo dei quattordici asi e delle quattordici asinne fatto da Snorri nel Gylfaginning, cui ho aggiunto gli dèi assenti.
I quattordici asi di Snorri sono Odino, Þórr, Baldr, Njörðr, Freyr, Týr, Bragi, Heimdallr, Höðr, Viðarr, Váli, Ullr, Forseti e Loki.
Le quattordici asinne sono Frigg, Sága, Eir, Gefjun, Fulla, Freyja, Sjöfn, Lofn, Vár, Vör, Syn, Hlín, Snotra e Gná.
Molti studiosi sono dell'idea che, in un periodo più antico rispetto a quello cui risalgono i carmi eddici, e molto più antico di quello in cui essi vengono messi per iscritto e in cui opera Snorri, gli dèi principali fossero, insieme a Þórr, Týr e Ullr. Mentre Týr ha mantenuto un posto di rilievo nella cultura norrena, di Ullr, un antico dio della luce forse da contrapporre al più oscuro Odino, è rimasto ben poco, e la sua discendenza da Sif è molto probabilmente frutto di un più tardo tentativo di legare tra loro i diversi dèi.
Vi sono anche diverse teorie in merito al fatto che lo stesso Odino sia stato aggiunto alla mitologia in un secondo momento, e che progressivamente abbia acquisito una crescente importanza.

Le mele di Iðunn sono a tutti gli effetti il corrispettivo norreno dell'ambrosia greca. Un elemento del genere ricorre in molti altri sistemi mitologici.

Questi sono gli dei che dimorano ad Ásgarðr e ai quali noi rivolgiamo le nostre preghiere.
Ma non ci sono solo loro.
Tra il loro mondo e il nostro viaggiano le Valkirjur, dee guerriere emissarie di Odino, che scelgono i caduti in battaglia perché accedano al Valhöll.
E poi ci sono le Nornir. Le norne. Le dee del destino. Sono tante, delle stirpi degli Æsir, dei Vanir e degli Elfi, ma ve ne sono tre, più potenti, che dimorano presso la fonte di Mimir e conoscono tutto il percorso del tempo. Sono Skuld, la colpa, Verðandi, il divenire, e Urðr, il destino, che si dice sia la più anziana. Sono il passato, il presente e il futuro. Rispetta il destino, poiché sta al di sopra di tutti gli dei, Odino incluso.

Postfazione

In questo post -non mi piace svelare quello che c'è dietro le mie creazioni, ma neanche voglio creare fraintendimenti quando si tratta di diffondere informazioni- , che come avrete letto contiene un racconto originale di alcuni miti cosmogonici della cultura scandinava, ho armonizzato diversi contenuti che, nella forma in cui ci sono pervenuti, si contraddicono, sono incompatibili, pieni di lacune e di misteri. La nostra conoscenza di queste storie è vincolata dalle poche fonti che ce le raccontano, ed è ben noto a chiunque vi si cimenti come molti degli interrogativi che le riguardano siano insolubili. Ora, a differenza di altri post, questo è più simile a un esercizio letterario che a un saggio divulgativo, e ho lasciato da parte certi vincoli comportati da un approccio maggiormente scientifico, ai fini dell'espressione, della poièsis, e di tutto ciò che comporta la scrittura creativa. Se dunque ho evitato di inventare episodi mitologici assenti nelle fonti, fossero anche dettagli, limitandomi a selezionare solo alcune delle versioni discordi e ad omettere gli elementi contraddittori, non consiglio di ricorrere a questo post come ad una fonte di studio della materia in oggetto. Peraltro, sfido chiunque a dire che non si tratti di una buona fonte di conoscenza della materia stessa.
Per approfondire scientificamente l'argomento, vi rimando ai testi elencati nella bibliografia.

Bibliografia

Isnardi, Gianna Chiesa, "I miti nordici", Longanesi 1991, Milano
Scardigli, Piergiuseppe, a cura di, "Il canzoniere eddico", Garzanti 2004, Milano
Sturluson, Snorri, "Edda", a cura di Gianna Chiesa Isnardi, Garzanti 2015, Milano

Molte idee ed interpretazioni, nonché tutti i brani in lingua norrena, derivano in larga misura dal sito:

"Bifröst - Viaggio nel Paese dei Miti e delle Leggende" https://bifrost.it/