giovedì 21 gennaio 2016

Viaggi nell'Erebo: cinque album Metal del 2015

Il 2015 mi ha visto leggermente più attento, rispetto al passato, alle nuove uscite in ambito musicale. Soprattutto, anche un poco più attento alle nuove uscite Underground, poiché l'esperienza mi insegna che, spesso, quello che cerco e non trovo nei lavori di band o artisti famosi, lo trovo in formazioni meno affermate ma ugualmente valide, e a volte di più.
È bene precisare che il campo è circoscritto esclusivamente al Metal, e ad alcuni sottogeneri più che ad altri.
Ciò detto, non ho per nulla ascoltato una buona parte degli album pubblicati lo scorso anno, ce ne sono molti che devo ancora recuperare e altri che necessitano di essere riascoltati.
Ho comunque selezionato cinque album tra quelli che mi sono piaciuti di più, per condividere il mio parere e gli stati d'animo che mi hanno trasmesso. Ci sono state tante altre uscite meritevoli, basti pensare a quante delle maggiori band Funeral Doom hanno pubblicato un nuovo full-lenght; forse dedicherò uno spazio anche a quei lavori, ma intanto cominciamo con questi.
Per ogni album linkerò una canzone, in modo da poter seguire meglio.
Lychgate - An Antidote for the Glass Pill
I Lychgate sono i più sconosciuti fra questi nomi, anche perché sono la band più recente. Non si tratta però di esordienti: la Black Metal band inglese è composta da musicisti anche di una certa esperienza, a cominciare dal cantante Greg Chandler, voce degli Esoteric, una delle band Funeral Doom Metal più originali del panorama mondiale e attiva dal 1993. La mente del gruppo però è il pluristrumentista Vortigern (non è accattivante l'idea di un metaller inglese che scelga come nome d'arte Vortigern?), che si occupa delle chitarre, delle tastiere e, soprattutto, dell'organo. L'organo è probabilmente lo strumento dominante nelle composizioni dei Lychgate, una presenza maestosa ma sinistra, un nucleo che emana tenebra intorno al quale si intessono le composizioni degli altri strumenti; ne deriva un Black Metal funerario e solenne, veloce, perché il Black dev'essere veloce, ma con qualcosa del Funeral Doom..diciamo, non certo Doom, ma molto Funeral. Oltre a una ricchezza di sperimentazioni e idee per le quali andrebbe classificato come Avantgarde.
An Antidote for the Glass Pill ruota intorno a un tema molto interessante, perché davvero inquietante: il panopticon, un modello di carcere immaginario progettato nel 1791 dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham, strutturato in maniera tale da disporre le celle in modo che un unico osservatore  possa controllare tuttu i detenuti, senza che essi abbiano la possibilità di sapere in quale momento li stia guardando. Ciò dovrebbe indurli a comportarsi in maniera corretta e responsabile...ma come si vive sapendo che, qualunque cosa facciamo, qualcuno ci osserva?
In An Antidote for the Glass Pill il mondo intero è una prigione, nel quale il singolo è controllato e ogni sua iniziativa annullata. Letter XIX, uno dei momenti più alti dell'album, prima con la sua sinistra e fatalistica introduzione affidata all'organo e poi con una sfuriata Black Metal opprimente e malata, condensa tale metafora nei versi "Through the eyes of insanity, you'll see the world for what it is: A prison! An invisible net, a wolf's trap set long ago". L'altra canzone che preferisco, Deus Te Videt, equipara lo sguardo di questo carceriere invisibile allo sguardo di Dio, uno sguardo che coglie tutto e instaura un senso di impotenza e persecuzione nel carcerato, sul quale grava il senso di colpa, e che intanto inizia a sentire voci provenire da fuori, all'incombere della follia. Questo insano "diario" si conclude con le amare riflessioni di The Pinnacle Known To Sysyphus, un riferimento ad un mito greco, quello di Sisifo costretto a spingere un masso fino alla sommità di un colle per poi vederlo tornare indietro, che a me può solo fare tanto piacere: "We are trapped at the summit/ We cannot fly/ We can only fall".
Il viaggio di quest'album è un viaggio psicologico, in senso discendente, e più si scende più le turbe mentali divengono gravi, la follia aumenta, cresce l'ossessione, il ticchettio dell'orologio, la chiave che non gira più. Tre degli album di cui parlo sono una discesa nell'abisso, e questo è l'abisso della follia. Il più spaventoso.
Ascolto consigliato: Deus Te Videt

Swallow the Sun - Songs from the North

Gli Swallow the Sun occupano un posto particolare fra le mie preferenze, perché suonano una combinazione che contiene quasi tutto quello che desidero ascoltare: comunemente detti maestri del Death-Doom finlandese, essi creano melodie che alternano momenti di riflessione a sfuriate Melodeath, ora in brani lirici e intimi, ora in pièces lunghe ed epiche.
Sfidando la logica di mercato, sfida ancora più solenne e rischiosa, dato che parliamo di una band Metal, gli Swallow hanno pubblicato in una volta tre album in uno, un'opera organica che si evolve attraverso tre macrosequenze di generi diversi fra loro. Era molto rischioso, date anche le aspettative create da una sfida del genere, eppure gli Swallow sono riusciti anche in questo, condensando in più di due ore di musica quel "Gloom, Beauty and Despair" che dà il titolo a una loro canzone.
Songs from the North I è un classico album in stile Swallow, Death-Doom che propende più per il secondo genere, lirico e visionario. Il legame che unisce le tracce, come nella maggior parte degli album, è l'amore sofferto e il male che esso genera nel cuore del sofferente, che lo corrompe e lo trasforma sempre di più in un essere oscuro che prova vergogna per se stesso, e un sentimento, nei confronti dell'amata, ai limiti dell'odi et amo. Uno dei motivi per cui amo questa band è il cantante, Mikko Kotamaki, in grado di ottenere il massimo sia cantando in growl, sia in scream, che con la sua voce pulita carica di emotività; ora, combinando nel modo migliore i tre stili, dà la giusta enfasi a tutte le parti dei testi , rendendoli personali e permettendo all'ascoltatore di essere quanto più vicino possibile ai sentimenti messi in musica.
Il secondo atto è una novità, poiché è un album quasi interamente acustico e privo di distorsioni vocali. Songs from the North II è realmente dedicato al nord, alla fredda terra finnica nella quale ritrovare la pace e un senso di appartenenza. È un momento di ristoro dopo la sofferenza e la rabbia provate nella prima parte, e se vogliamo una pausa prima del terzo atto. La voce di Mikko qui diviene rilassante e calda, ma parte della sua buona riuscita l'album la deve alla strumentale "66°55'N,28°40'E", che ci permette di sentire davvero il freddo e la sua poesia. È meraviglioso il modo in cui si assiste al climax dell'inverno, che diviene sempre più intenso e poi declina verso la bella stagione, con la musica che diviene più calda.
Infine arriva Songs from the North III, e mette subito in chiaro di che genere si tratta: gli Swallow si sono messi alla prova col Funeral Doom; hanno estremizzato la componente oscura e malata che giaceva sul fondo, che si percepiva in alcune canzoni, e hanno scavato una strada che procede inesorabile verso il basso, senza speranza. Certo è che non è un Funeral da confrontare con le numerose uscite dello stesso genere nel 2015; è piuttosto una sperimentazione tendente a tale genere, in cui alle parti più pesanti si alternano stacchi acustici che accentuano la dimensione sofferta e personale, enfatizzando le strofe. Fino all'atto conclusivo, The Clouds Prepare For Battle, l'ultima tessera di una storia unitaria con numerosi collegamenti interni.
Gli album possono essere ascoltati separatamente, ma ascoltarli di seguito è un'esperienza che va fatta, perché è un viaggio ricco e congegnato in maniera artisticamente felicissima. Un'idea di quelle che comportano uno sforzo e un rischio per essere messe in atto, ma che funzionano. Compierla è un viaggio dalle tenebre alla luce all'abisso ancora più oscuro, ma per capirla davvero non si può fare altro se non compierla.
Ascolti consigliati: uno ad album: 10 Silver Bullets, Heart Of A Cold White Land, The Gathering Of Black Moths

Skepticism - Ordeal

Questo è stato un anno Funeral Doom. Lo è stato perché davvero tanti dei principali esponenti di questo genere hanno prodotto qualcosa, ma soprattutto perché ha visto il risveglio degli Skepticism.
Il genere delle canzoni opprimenti lunghe dai dieci minuti ai venti, della voce abissale, della sofferenza e della fatalità è nato in Finlandia con i Thergothon nel 1991 e questo non si discute, ma è grazie ai primi lavori dei connazionali Skepticism due anni dopo, che il genere ha assunto la sua forma più comune e apprezzata, o che apprezzo io, con l'aggiunta delle tastiere e una vena di malinconia in più, rispetto a quello che con i Thergothon era "semplicemente" il maglio possente del buio cosmico.
Gli Skepticism hanno innalzato dei monumenti, ma non li sentivamo più dal 2008. Hanno deciso di rimettersi in gioco, e sapevano quanti rischi e quante responsabilità ciò comportasse, per un complesso del loro calibro. Per questo si sono affidati all'Ordalia, la prova che avrebbe decretato il loro successo o il loro fallimento, sancito dal giudizio divino (tale era infatti l'ordalia nel Medieovo). L'ordalia è stata suonare un album di un'ora e diciassette minuti, con brani inediti, in sede live a Turku, in Finlandia.
Ordeal è una marcia; sembra ripetitivo, dato che due canzoni di quest'album contengono questa parola, ma è proprio l'idea che trasmette: una marcia solenne, nobile, che avanza su cadenze pesanti mentre le tastiere sono i suoi vessilli svolazzanti. Una delle cose che più amo di questo genere è la sua fedeltà al nome di Doom, "destino": la musica trasmette un senso di ineluttabilità, il peso del fato contro il quale è inutile lottare. Anche nei suoi momenti più trionfali, Ordeal è malinconico, ascoltarlo è come vivere una sconfitta avvenuta ancora prima che avesse inizio la battaglia. You, la prima traccia, è un pensiero rivolto a qualcuno, come un ricordo lontano, visto attraverso la nebbia dell'amarezza; Momentary, la canzone più bella, un'estasi musicale come ne ricordo poche, ruota intorno al ripetersi di una frase musicale in cui le tastiere creano un tessuto inafferrabile, un senso di tensione tragica e fatale, un levarsi intervallato da una discesa; The Departure esprime rancore; The March Incomplete procede il cammino inesorabile; The Road è un brano intimo, sentito, struggente, forse il secondo brano più bello; fino a The Closing Music, l'atto che intende mettere fine all'agonia.
Come si conclude l'ordalia? Con due brani storici di un gruppo storico: Pouring dall'album di debutto Stormcrowfleet, e The March and the Stream da Lead & Aether: con il drammatico, amaro ripetersi del motivo portante, gli Skepticism procedono verso la fine della loro marcia (è opportuno ricordare che la canzone venne composta per la perdita di una persona cara).
Alla fine dell'album è come se calasse un grande sipario, e per quanto triste e senza conforto, quel mondo così trionfale ci manca, perché ci riempiva di grandezza, senza la quale ci sentiamo piccoli. In quel momento capiamo che l'ordalia è riuscita, il giudizio divino è favorevole, acclamato a furor di popolo: gli Skepticism sono ancora i re del Funeral.
Ascolto consigliato: Momentary

Midnight Odyssey - Shards Of Silver Fade

La sera del 31 dicembre stavo scrivendo le mie considerazioni sull'anno che volgeva al termine, e volevo ascoltare qualcosa del 2015 che non avessi ancora ascoltato. Possibilmente, qualcosa di Atmospheric Black Metal, che è da un po' di tempo -più che altro nelle sue accezioni epiche o medievaleggianti- il mio genere preferito. E mi è venuto in mente che più o meno in estate era uscito un nuovo lavoro di Midnight Odyssey, progetto dell'australiano Dis Pater, vero nome Tony Parker, di cui avevo già apprezzato molto i lavori precedenti.
È stato un ascolto casuale, ma potrebbe essere l'album più bello che ho ascoltato quest'anno: si tratta di un viaggio astrale di quasi due ore e mezza, con brani che oscillano fra i 14 e i 22 minuti di lunghezza, e che sull'album sono divisi in due dischi da quattro canzoni l'uno. Ognuna delle canzoni è un'opera sbalorditiva, e certamente ascoltare mezzo album è un'esperienza astrale, ma ascoltarlo tutto permette realmente di "transumanare". Ci si ritrova nell'infinito vuoto dello spazio, folgorati da visioni stellari di pianeti e nebulose, mentre la voce maestosa dell'artista canta di leggende cosmiche, di apparizioni spettrali e di creature mitologiche, come un vento gelido in una distesa polare. Il tutto arricchito da cori dal sentore onirico e versi in latino.
Si può dire che la divisioni in due parti non sia casuale: fra la prima e l'altra lo stile cambia, come cambiano i temi, se le prime quattro canzoni sono racconti con una dimensione in qualche modo più umana e indipendenti fra loro, le ultime quattro hanno come protagonisti lo spazio e le stelle, che muoiono in esplosioni e fasci infuocati rendendo l'universo sempre più freddo.
Il primo brano, From a Frozen Wasteland, fa capire che non abbiamo a che fare con niente di convenzionale: inizialmente il nulla, solo la voce di Dis Pater:
In darkness I stand
A world extinct
An ocean of nothingness
And slowly I sink


Man mano che la narrazione procede e mette a fuoco più particolari, la melodia si arricchisce e diviene sempre più evocativa, fino all'apparizione degli antichi esseri che esclamano "You can't escape the true lord of death" (forse questo aumenterà la curiosità del lettore). Di lì a poco ha inizio la sezione Black Metal, mescolandosi alle composizioni atmosferiche e ambient. Seguono Hunter of the Celestial See, col viaggio astrale del cacciatore cosmico che affronta un mostro emerso dalle profondità della terra; Son of Phoebus che meriterebbe un ricco approfondimento: Dis Pater apre una finestra sul mito di Fetonte, che chiese al padre Elio (poi Febo Apollo) di poter guidare il carro solare e morì tragicamente poiché incapace di controllarlo: la musica di Midnight Odyssey lo segue dall'incontro col padre al "folle volo" in mezzo alle costellazioni; A Ghost in Gleaming Stars, contente una citazione niente meno che di Virgilio.
Asleep is the fire parte dal ricordo della luce e delle fiamme e termina osservando l'oscurità e il ghiaccio, e credo sia la canzone più bella: non vi è mai un momento in cui le tastiere e i sintetizzatori che intessono il cosmo intorno alle chitarre e alla batteria tacciano, e di tanto in tanto si odono eterei cori che nel finale, più che epico, si combinano con una sequenza marziale di batteria, e la voce pulita di Dis, in un climax che sale, si interrompe per una breve parentesi Black e poi ripende a salire fino al suo apice e poi spegnersi. Starlight Oblivion descrive la morte delle stelle con aggettivi epici, mentre la loro luce ormai fievole si proietta sull'oscurità e sul caos e l'universo diviene più freddo; temi simili ha Darker Skies Once Radiant. Con Shards Of Silver Fade le stelle sono ormai spente, ma non è la fine, perché si apre una nuova parte, e c'è un nuovo mondo beato e meraviglioso nel quale vivere in pace. Anche se, dopo averlo ascoltato tutto questo, sarà dura vivere in pace senza riascoltarlo.
Ascolto consigliato: Asleep Is The Fire

Shape of Despair - Monotony Fields

Il primo posto è degli Shape. Il 2015 è stato l'anno del Funeral Doom anche a causa loro, che erano in silenzio da anni. Ho atteso il loro nuovo album con trepidazione.
Loro sono il primo gruppo Funeral che ho ascoltato, e uno dei primi della grande famiglia del Doom. È stato con loro che, anni fa, ho sperimentato per la prima volta il fatalismo di questo genere musicale, come un enorme sudario gettato da una mano divina che cali su di noi, oscurandoci con la sua ombra, senza che i tentativi di fuga ci permettano di sfuggirgli.
Questa volta, però, il loro non è il solito Funeral. Il tempo, l'esperienza, forse il senso dell'avere già dato, li ha spinti ad evolversi e a provare qualcosa di diverso. Hanno composto un album molto più atmosferico, che insiste di più sulle tastiere e il pianoforte (forse anche io insisto un po' troppo, dato che ho sottolineato questo elemento per tutti gli album precedenti), e che non punta tanto alla pesantezza quanto all'emotività. Questo album è la malinconia eretta a monumento. Se dovessi descrivere le visioni che mi ispira, sarebbero quelle di una grande distesa deserta, nella quale megalitiche costruzioni di pietra svettino verso l'alto, emergendo da un luogo così profondo che non se ne riesce a vedere la base. Vi è stanchezza, desolazione, il sentore autunnale espresso anche dai colori della cover art; è qualcosa di grande come Ordeal, ma ha qualità diverse. Non è una marcia. È, piuttosto, statico, e poi in discesa, un uomo richiuso su se stesso a pensare al proprio dolore, e al contempo, un gigante stretto dalle pareti di una stanza troppo piccola: e, quando arriva Discending Inner Night, la traccia più straziante e più bella, il colpo più delicato e violento ai sentimenti, diviene una discesa nel profondo dell'io. Lo stesso growl, qui più che mai, è adoperato nella sua funzione di voce dell'abisso che emerge dalla nostra interiorità per dire quanta sofferenza ci sia, parlando in un modo così vero da sembrarci strano, proprio perché tanto spesso ignoriamo la sua voce. The Distant Dream Of Life, la canzone più breve composta finora, mi ispira una visione ancora più struggente, quella del non vivere, "sepolto" in profondità, impedito da qualcosa, limiti propri oppure limiti che impongono gli altri, e l'accorgersi, all'apice della tristezza, del fatto di stare sognando di vivere. Sognare di vivere deriva da un bisogno, e vivere sapendo di non vivere è doloroso. Il senso di dramma esistenziale è poi accentuato dalla voce della cantante Natalie Koskinen, membro storico degli Shape, che accompagna i ruggiti cavernosi del nuovo arrivato Henri Koivula (il quale dà prova di bravuta anche con la voce pulita) e domina nel brano In Longing.
Dopo The Blank Journey, e la nuova versione di Written in My Scars, la desolazione ha raggiunto il massimo. Eppure è una desolazione che purifica, catartica. Va a toccare le parti più intime della nostra anima perché la tristezza della musica la ispiri con la sua bellezza.
Ascolto consigliato: Descending Inner Night

Certo ci sono stati molti altri album Metal strepitosi quest'anno, e so bene che la mia selezione è abbastanza precisa, basata su generi oscuri e album che, tranne il primo, sono molto lunghi anche nel loro settore. Si è trattato di scegliere consapevolmente di cosa parlare, anziché proporre una scelta più varia ma che non rispecchiasse veramente i miei gusti.
Dalla discesa nella follia dei Lychgate alla ben più lunga sequenza di "Oscurità, Bellezza e Disperazione" degli Swallow the Sun, oltre la marcia degli Skepticism e il viaggio astrale di Midnight Odyssey fino ai campi desolati degli Shape Of Despair, scrivere questo post mi ha permesso di confrontarmi meglio con queste tenebre e queste emozioni così intense, fino a sentirmi come l'ospite della "Ballata del vecchio marinaio" di Coleridge, "un uomo sbigottito, fuor dei sensi caduto [...] più triste ma più saggio divenuto".

giovedì 7 gennaio 2016

Il risveglio di Star Wars - parte II

Più passano i giorni, e più mi rendo conto che l'uscita di un nuovo episodio di Star Wars è davvero un avvenimento importante: io continuo a ripensare a quello che ho visto e a esaminare i dettagli per capirne di più, le persone con cui parlo o con cui mi confronto su Internet fanno lo stesso, e in tutto questo, si sente la forte passione di quasi tutti per questa storia, i suoi personaggi e la sua colonna sonora.
"Il risveglio della Forza" mi è piaciuto per come ha mostrato la ciclicità di bene e male, come dicevo nel post precedente. Mi è piaciuto vedere quel marchio di fabbrica di Star Wars nell'inquadrare le varie razze aliene e le loro peculiarità, perché, me ne sono reso conto adesso, questa saga è bella anche perché il suo universo è tanto vasto quanto la nostra fantasia, e si trovano ogni volta manifestazioni dell'incredibile facoltà creativa della mente umana.
Mi è piaciuto il suo potere visivo nel mostrare i combattimenti nello spazio.
Mi piace il modo in cui tutto quello che accade non sia finalizzato a se stesso, ma abbia una possibilità illimitata di rimandi ad altro -e questa saga è famosa per la sua tendenza a citare continuamente se stessa.
Infine, il film mi piaciuto per i suoi personaggi, cui questo post è dedicato.

Kylo Ren è certamente quello di cui si parla di più. La mia aspettativa, però, è stata in parte delusa.
Quando ci si entusiasma per un antagonista, è perché quel personaggio emana potere, oscurità, una forte volontà, uno stile visivo che affascina, o almeno un certo rispetto. Questo è quanto pensavo avrei trovato in Kylo Ren, dato che il suo aspetto contiene tutto quello che richiama in mente la parola Sith, mantello nero, cappuccio, spada laser rossa resa ancora più bella dalla guardia a croce, e maschera, come Darth Vader e come quel Darth Revan (che potete vedere qui) del videogioco "Knights of the Old Republic" al quale somiglia un po'. Invece no. È fatto così per suggerire di essere tutto questo, perché vuole che chi lo vede pensi questo, ma non lo è. Si tratta in realtà di un ragazzo ossessionato dal Lato Oscuro e dalla figura di Darth Vader, anche perché suo discendente, che imbocca il cammino per divenire quello che parrebbe un Sith (va chiarito cosa siano i "cavalieri di Ren" citati nel film), ma che non l'ha ancora completato e non è nemmeno deciso.
Vorrei essere sincero, quando l'ho visto accendere la spada laser per sfogare la sua frustrazione su oggetti inanimati mi è un po' crollato il mito che mi ero creato in tanti mesi di attesa, e se adesso la penso in maniera diversa è per aver sentito o letto le opinioni di altri e averci riflettuto. Ma mi sono presto reso conto a mia volta che si tratta di un personaggio molto interessante e soprattutto estremamente complesso e ben costruito: è in divenire, inquadrato durante una fase di un'evoluzione ancora incompiuta; quella scena di rabbia evidenzia la morsa che ha su di lui il Lato Oscuro, il lasciarsi dominare dalle emozioni senza neanche provare a controllarle. La maschera deriva proprio dall'emulazione di Darth Vader, perché da parte sua non ne ha bisogno (ma essa lo rende inquietante e misterioso agli occhi dei nemici, e a me piace, quindi questo non lo condannerei; Darth Revan portava una maschera per motivi ideologici, questo caso non è troppo diverso). E l'aspetto più interessante è il suo conflitto interiore: come hanno scritto un po' tutti, se siamo abituati a vedere buoni tentati dal Lato Oscuro, è senza precedenti un cattivo "sedotto" dal Lato Chiaro della Forza; benchè propenda decisamente a favore del primo, arrivando a commettere davvero il patricidio in quella che finora considero, insieme alle azioni di Anakin ne "La vendetta dei Sith", la scena più traumatica dei sette film, resta da vedere dove lo porterà questo conflitto. Certo il suo atto lo ha confuso e indebolito, ma dopo aver rivisto Episodio III ho realizzato una cosa: lui voleva diventare come Darth Vader, e Ben Solo non poteva farcela; è dopo avere ucciso suo padre e aver ricevuto un marchio sul volto (come quello di Anakin) che può riuscirci, cioè dopo aver inquinato la sua natura ed essersi corrotto, come Anakin. In altri termini, non si può diventare come Darth Vader senza aver provato il dolore e il male che hanno creato Darth Vader.
La bellezza di questo personaggio è che tutti vorremmo essere Kylo Ren, il guerriero col mantello nero e la spada fiammeggiante, ma nessuno vorrebbe essere il ragazzo sotto quel mantello.
Finn è un bel personaggio. Nato per fare una e una sola cosa, riesce autonomamente, magari grazie anche all'assaltatore che gli muore davanti all'inizio del film (e con cui forse aveva parlato in precedenza), a prendere le sorti del proprio destino e a cambiarlo, scegliendo di scappare e aiutare Poe a fuggire perché quello che più gli interessa è "la cosa più giusta".
La sua crescita inoltre non si ferma lì, perché se in un primo momento vuole solo fuggire e allontanarsi dal Primo Ordine, resta e rischia la vita (è da vedere quanta gliene sia rimasta) per andare a salvare Rey dopo che è stata rapita.
Ho sinceramente apprezzato l'evolversi delle sequenze iniziali del film: la sua reazione scioccata durante il massacro su Jakku, lo svilupparsi in lui di decisioni autonome con un crescendo ben costruito, prima smarrimento, confusione, poi la scelta di non sparare ai prigionieri, la ribellione del togliersi il casco, fino all'atto di tradimento, la liberazione di Poe Dameron; il dialogo fra i due, colto in quest'ottica, è davvero un bel momento: Finn comincia a parlargli con l'idea di rassicurarlo mentre gli spiega la situazione, ma è invece Poe a rassicurare lui, nel vederlo spaesato, dicendogli "Ce la faremo"; durante la fuga, il momento in cui Poe gli dà un nome, le reciproche lodi sulle abilità di uno nel pilotare e dell'altro nello sparare, sono momenti in cui il clima narrativo è piacevole.
Attraverso questi due personaggi vengono rimescolate le carte di quelli vecchi, perché il ruolo di Han Solo, che in ogni caso domina buona parte del film, è diviso, a Finn è affidato il lato umoristico, lo smaltimento della tensione, mentre a Poe l'eredità di "miglior pilota" e di eroe sfacciato tipicamente americano ("Chi parla prima, parli tu, parlo io?" "Non riesco a capirti con tutto quel..apparato...").
Di certo, nei trailer, Finn con la spada laser in mano mi sembrava fuori posto. Più qualcuno che stesse facendo come i Jedi, che un Jedi. Non vedevo tracce del mio ordine monastico militare fantascientifico preferito e fra me e me speravo fosse in programma l'aggiunta di un nuovo cavaliere nei prossimi film. Invece, ho trovato qualcuno che potrebbe persino diventare il migliore fra loro.

Cercate qualche intervista: John Boyega, l'attore che interpreta Finn, fa morire dalle risate anche normalmente.
Rey è il personaggio che mi è piaciuto di più in tutto film. La prima scena che la mostra è una delle migliori, e il suo tema musicale il più bello della colonna sonora di questo episodio; mentre lo si sente, si apprende che ha vissuto, idealmente per tutta la vita, arrampicandosi nei relitti delle astronavi, prendendone i pezzi, girando per il deserto di Jakku e vendendoli per ottenere esigue razioni di cibo (il cui prezzo triplica nel giro di una settimana), trascorrendo tutto il suo tempo da sola a segnare i giorni su una parete, in attesa che la sua famiglia tornasse a riprenderla. Che sia una Skywalker o meno, è decisamente più avanti del Luke con cui si fa conoscenza all'inizio di "Una nuova speranza", perché non ha potuto contare nemmeno sull'appoggio di una famiglia, e in compenso ha dovuto imparare a difendersi dai brutti ceffi con cui aveva a che fare. E ci è riuscita alla grande. (E per chi volesse obiettare "Sa fare troppe cose!": Anakin Skywalker costruiva droidi e vinceva gare con gli sgusci a 12 anni!) Il resto del film la vede migliorare sempre di più, imparando a pilotare il Millennium Falcon e a usare la Forza. "Come fa a riuscire a pilotare subito una nave come il Falcon?" Vent'anni a ispezionare astronavi la insegneranno pure qualcosa. "Come fa a padroneggiare così la Forza?" A questo ci arriviamo tra poco.
Certamente la sua evoluzione avviene in modo un po' repentino, e una delle maggiori critiche riguarda proprio questo, il fatto che sia riuscita a resistere all'attacco mentale di Kylo Ren, a rivoltarglielo contro, a controllare mentalmente un assaltatore dopo qualche tentativo, e, infine, a vincere nuovamente contro Ren nel duello con la spada laser.
Molti però non considerano un dettaglio, e cioè, proprio l'essere cresciuta in quel desolato Jakku: lì ha imparato, essenzialmente, a sopravvivere e ad adattarsi, e se non ci fosse riuscita probabilmente sarebbe morta. Inoltre, una scena mostra chiaramente che combatte molto bene con il bastone, ne deriva che, per quanto non addestrata con una spada laser, abbia idea di cosa fare quando ne trova una. Anche perché, nelle prime fasi del combattimento, è palesemente in difficoltà e riesce solo a difendersi; l'elemento che cambia le sorti è il momento in cui, sentendo Ren che parla della Forza, Rey chiude gli occhi per alcuni secondi, per poi riaprirli e ribaltare le sorti dello scontro. Concentrandosi nella Forza, usando la Forza ("usa la Forza Luke!") riesce a prevalere su un avversario stordito, ferito e confuso. Quando sarà stata addestrata, credo diventerà forte almeno quanto i due protagonisti precedenti. Il suo uso della Forza non è immediato, la prima volta non riesce a respingere Ren, la seconda ci riesce gradualmente, impiega un paio di tentativi per comandare lo Stormtrooper e, come ho detto, sconfigge Kylo dopo un momento di concentrazione. Impara rapidamente a fare le cose perché ne ha avuto bisogno su Jakku.
Inoltre, se prestiamo fede a una teoria nella quale confido (anche perché l'ho formulata da me prima di vederla esposta anche da altri), prima di venire abbandonata su quel pianeta Rey stava già seguendo il tirocinio per diventare Jedi: ne deriverebbe che alcune cose le avesse già imparate, che la memoria le sia poi stata cancellata, magari da Luke stesso, per proteggerla da Kylo Ren, e che nelle situazioni di bisogno il suo brillante istinto riesca a recuperare qualcosa per aiutarla.
A tal proposito, per quanto scontato possa essere, non solo sono convinto che sia una Skywalker, e resterei un po' deluso se non lo fosse, poco importa sentire Luke ripetere la frase "Io sono tuo padre": sono legato a questa famiglia e alla sua storia (essenzialmente Star Wars è la storia della famiglia Skywalker), e nel momento in cui fosse davvero figlia di Luke sarebbe come quando ci si trova davanti al figlio di un vecchio amico e, memori del rapporto con quel vecchio amico, si prova un'istintiva benevolenza verso il figliolo. Ecco, Rey mi  piace a prescindere, ma se così fosse mi piacerebbe anche di più.

Quello che ho scritto sotto l'immagine di Kylo Ren riguardo a "bellezza di questo personaggio"...ecco, qui non serve.
Alla fine del film, ero sinceramente emozionato per questo personaggio, e per tutto il film l'ho seguita come "l'eroe" della storia, come gli Skywalker negli altri sei film, come il Corvo o Batman nei loro, piuttosto che come la bella di turno, la vittima bisognosa di aiuto che vedeva Finn in lei. Solo in seguito ho pensato al fatto che fosse anche una bella ragazza (poi ho cercato qualche informazione sull'attrice, Daisy Ridley -questo è il suo primo film ed è stata bravissima- ed è stato amore a prima vista, ma questa è un'altra storia). Perché è innanzitutto una figura eroica, che appassiona, che ispira qualcosa e si fa seguire, e se avessi una mensola con le statuette di tutti i personaggi che mi piacciono, porrei la sua accanto a quelle di Obi-Wan, Anakin e Luke, di Geralt di Rivia, Dante, Aragorn e tutti gli eroi che ho ammirato nelle storie che ho conosciuto, piuttosto che su un'altra ipotetica mensola con le loro controparti femminili. Rey non è un oggetto del desiderio, come Padmè, o la principessa da salvare, come Leia, ed è per questo che ha impressionato molte persone. oltre a me e anche tante bambine che adesso la vedono come la loro eroina e indossano il suo costume.
Sono anche furioso per quello che sta accadendo col merchandise (in tantissimi set con i personaggi del film lei manca, e a prescindere da qualsiasi motivo NON si può fare NIENTE su un film mettendo i personaggi secondari ed escludendo il protagonista: quello che rappresenta Rey, qualcuno forse non l'ha capito).
E adesso sono pieno di attesa per sapere come si evolverà, cosa accadrà adesso che ha trovato Luke, chi sia lei in realtà; mi aspetto che diventi una Maestra Jedi, che usi tutti i poteri del Lato Chiaro in scontri all'altezza di quello fra Luke e Darth Vader o fra Obi-Wan e Anakin, e soprattutto voglio vedere la sua reazione alle situazioni sempre più difficili che si troverà ad affrontare; troverei giustizia poetica se lei, che mostra chiaramente di non aver bisogno di essere salvata, salvasse piuttosto Poe o Finn.

Menzione speciale va al grande TR-8R, che adesso è il re del web; un processo che per Boba Fett probabilmente ha avuto bisogno di anni per lui è stato quasi immediato. Proprio oggi Disney ha rivelato che il suo nome era FN-2199, ma per me resterà sempre TR-8R.
Il generale Hux è realmente un ottimo antagonista, il lato non avventato del Primo Ordine, pronuncia un discorso che non vedo l'ora di ascoltare in lingua originale, e accentua il carattere di imitazione nazista della sua fazione: l'Impero era chiaramente ispirato al regime nazista, ma lo era in maniera meno palese, con citazioni e rimandi sparsi. Qui invece, questo ti viene schiaffato in faccia, e tradisce, forse, una scarsa attenzione.
Per Phasma ci sono rimasto male, perché sapendo che sotto quell'armatura c'è Gwendoline Christie, la Brienne di Tarth di Game Of Thrones, mi aspettavo quasi che gettasse i ribelli per aria senza neanche usare le armi, e invece si è rivelata, finora, ancora più incompetente di uno Stormtrooper normale.
Il Supremo Leader Snoke naturalmente è un punto su cui soffermarsi più a lungo. Penso che tutti o quasi tutti conoscano ormai la teoria che vedrebbe il lui Darth Plagueis, il fu maestro di Darth Sidious, il quale parla di lui ne "La vendetta dei Sith" dicendo di averlo ucciso nel sonno: poiché viene detto fosse in grado di manipolare la Forza (c'è qualcuno che crede ancora ai midi-chlorian?) al punto tale da controllare la vita e la morte, sarebbe plausibile che non sia morto davvero, e che magari abbia impiegato i circa cinquant'anni che intercorrono fra l'episodio III (quando Sidious afferma che Plagueis è morto) e il VII per tornare alla vita, non esistendo di fatto in quel lasso di tempo e quindi non violando la regola dei Due, per la quale non possono esserci più di due Sith attivi. Va da se, in ogni caso, il fatto che la regola dei Due sia semplicemente una convenzione imposta dai Sith a se stessi, e non un limite realmente avvertito.
Contro questa teoria, oltre alle smentite degli autori del film e dello stesso Andy Serkis che lo ha interpretato col performance capture (adesso potrà vantarsi di essere stato presente sia nella Terra di Mezzo, che in Star Wars, che nell'universo Marvel!), vi sarebbe l'appartenenza di Plagueis alla razza dei Muun, dai tratti ben diversi rispetto a quelli di Snoke. Ma, mentre l'esistenza di Plagueis è canonica, lo è anche il fatto che appartenesse a quella razza?
Se fosse davvero Plagueis, ciò darebbe una forte coerenza interna all'intera ennalogia, con il maestro del maestro che torna a rappresentare il Lato Oscuro. Se così non fosse, inoltre, si potrebbe percepire quasi come un'intrusione, l'arrivo di un maestro del Lato Oscuro dall'aspetto così antico ma mai visto prima.
"Chewbe, siamo a casa."
Il ritorno di Han Solo e Chewbecca è ancora meglio delle aspettative, perché non sono solo delle comparse, come si potrebbe dire di Leia o di C3-PO, ma dominano buona parte del film e mentre la dominano catturano l'attenzione. È emozionante vedere il miglior pilota della galassia fare non solo quello che faceva prima (cioè imbrogliare, non pagare i debiti e rischiare la vita), ma aggiungere a questo i consigli e l'esperienza di un padre. Un padre che ha fallito col vero figlio, che in qualche modo lo diviene per Finn e soprattutto per Rey (la scena in cui le dà il blaster e le propone di pilotare il Falcon non è solo un passaggio del testimone, è un atto di stima che, se lo si immagina rivolto alla figlia di un amico intimo, emoziona ancora di più), e che, nella scena straziante della sua morte, rimane in ogni caso padre fino alla fine, con quel dettaglio della carezza al volto del figlio che sembrerà scontato, ma per me è molto profondo.
Il mio pensiero, dopo aver registrato quell'evento, è andato a Chewbe: come farà a guidare ancora quella nave senza l'amico con cui ha viaggiato per tutti quegli anni? Vederlo accettare Rey come co-pilota con un sorriso un po' rasserena, ma ogni tanto penso al povero Wookie e la tristezza mi assale.
Quanto a Leia, tralasciando i pietosi commenti di certuni che hanno affermato che Carrie Fisher "è invecchiata male", magari non sapendo nemmeno cosa le è successo in questi trent'anni (e comunque non è vero), rattrista vederla di nuovo organizzare una resistenza militare, per giunta dopo aver perso un figlio, e poi perdere anche il marito.
Rivedere C3-PO (l'inquadratura in cui appare è azzeccatissima) ed R2-D2 naturalmente è sempre emozionante, ma lo è anche il fatto che sia stato aggiunto un nuovo droide e questo droide abbia conquistato subito il pubblico. BB-8 è adorabile, estremente espressivo, ha la lealtà e molte altre qualità di R2 ma è stato fatto apposta per essere ancora più tenero di lui (e non è da poco).
Maz Kanata. Chi è costei? Se ha diretto "un abbeveratoio" per oltre mille anni deve aver vissuto più di Maestro Yoda, del quale in teoria ha ereditato il ruolo. È un tipo su cui urge sapere tutto, cosa abbia fatto in tutti questi anni, perché conosca la Forza, perché la spada di Luke ce l'avesse lei. E poi, perché un personaggio così potente gestisca una taverna.
Così come urge sapere chi fosse l'anziano interpretato da Max von Sydow all'inizio del film su Jakku. Perché aveva lui il pezzo mancante della mappa? Conosceva Kylo Ren e la sua storia, e soprattutto parlava anche lui della Forza e dei suoi lati. Sembra che facesse parte di una cosa chiamata "chiesa della Forza". Cos'è questa chiesa?
Infine, l'apparizione di Luke in conclusione: contestatissima, è per me una scena eccezionale, perché il suo sguardo grave, combinato con quello supplice di Rey, trasmette e suggerisce un'infinità di cose. Certo, anch'io voglio sapere che cosa dirà, ma dopo un film intero incentrato sulla ricerca di Luke (che compare per così poco ma del quale si parla così tanto), dover aspettare ancora per il suo ritorno sarebbe stato anche troppo.

Ok, questo post è lungo il doppio dell'altro, e pensare che l'avevo diviso apposta. Avevo detto che il film mi è piaciuto, ma più ci penso, ci rifletto, riascolto la colonna sonora, e mi rendo conto che è inesatto, ho adorato questo film. Con tutte le somiglianze che vogliamo con l'episodio IV, è stato in qualche modo rivoluzionario. Almeno per me, per le riflessioni che mi ha indotto.
Ho già formulato teorie e interrogativi, ma ce ne sono molti di più. Certamente i prossimi post saranno dedicati ad altri argomenti, ma la verità è che, finché non uscirà l'Episodio VIII (maggio 2017), non farò che pensarci e tormentarmi nell'attesa. Chapeau per J.J. Abrams, il cast, il signor John Williams con le sue composizioni e tutti coloro che hanno lavorato al film, Star Wars è tornato col botto e, vada come vada per l'avvenire, per adesso, in questa frazione del flusso del tempo, il suo ritorno mi rende felice.