giovedì 26 luglio 2018

Bakunawa, il drago che divora la luna per amore del bello

Questa settimana viene benedetta -o alcuni direbbero che viene maledetta- da un evento celeste il 27 luglio: l'eclissi lunare più lunga di questo secolo, in cui la luna si tingerà di rosso.
Amo la luna, e la amo quando si colora di sangue, ma ora come ora non potrei dire più di tanto, al più raccogliere storie e racconti degli antichi attraverso un processo che mi richiederebbe più tempo di quanto ne abbia, considerando anche che al momento sono in viaggio. Mi piacerebbe farlo, ma mi piacerebbe ancora di più poterlo fare e contemporaneamente, grazie a delle solide nozioni di astronomia, studiare come nei miti e nelle storie siano contenute le osservazioni degli antichi su questi fenomeni, in modo di non limitarci a raccontare, ma avvicinarci a comprendere. Spero di poterlo fare in futuro.
Ma non voglio rimanere in silenzio davanti a un'eclissi come questa. E dunque, per fare la cosa che so fare meglio, vi racconterò la storia di un mostro, un mostro affascinante, potente, misterioso, il più adatto che esista quando si tratta di fenomeni del genere.
Il mostro si chiama Bakunawa, e appartiene alla mitologia delle Filippine, di cui vi assicuro che, prima di scoprire questo splendido essere, ne sapevo tanto quanto la maggior parte di voi adesso.
Il Bakunawa è un gigantesco drago alato che divora la luna.
Il suo nome dovrebbe derivare da *ba(ŋ)kuq, piegato, e *sawa, serpente, parole del proto maleo-polinesianico occidentale.
La descrizione più ricorrente pone indicazioni precise: il Bakunawa ha la bocca grande come un lago, la lingua rossa, bargigli, branchie, filamenti sui lati del corpo e due paia di ali, un paio grande e del colore della cenere, l'altro piccolo e posto sotto il suo corpo. Una creatura acquatica, dunque, i cui dettagli possono farci pensare a un pesce lacustre accresciuto attraverso le storie, le cui pinne sono state trasfigurate in ali dalla narrazione. Ma da queste parti preferiamo prendere alla lettera i racconti dei mostri.

https://www.deviantart.com/jrldorado/art/Bakunawa-The-Filipino-Dragon-298473522
Il Bakunawa era ritenuto l'origine delle piogge, dei venti, dei terremoti e anche delle eclissi.
Secondo un mito, in principio vennero create sette lune, poste in cielo da Bathala, il signore dell'universo. Il serpente, affascinato dalla loro bellezza, emerse fragorosamente dall'oceano, spalancò le fauci e le inghiottì tutte e sette. Quella era la sua reazione al sentimento che esse gli avevano suscitato, per quanto brutale, e personalmente mi commuovo e provo un sentimento di comunione, quando nelle storie i mostri provano desiderio nei confronti della bellezza.
Divorare le lune pose inimicizia tra lui e Bathala, come tra ogni signore del cielo e ogni drago cosmico che si rispettino, del resto.
Gli uomini e le donne delle Filippine presero allora i loro strumenti, le loro pentole e le loro padelle, e scatenarono un baccano per fargliele sputare, o forse per distrarlo in modo da poterlo uccidere e tirare fuori le lune. Ma non ho trovato storie che ne menzionino la morte.

Si racconta altrimenti che il Bakunawa avesse una sorella, che assumeva le sembianze di una gigantesca tartaruga marina. Conformemente a questa natura, la dea si recava periodicamente sulle coste delle isole Filippine per deporre le sue uova, e ogni volta che ciò accadeva, il mare le veniva dietro spinto dalla sua enorme massa. Gli abitanti dell'isola si convinsero allora che così facendo la tartaruga avrebbe finito per far sprofondare la loro isola, e alla prima occasione, com'essa fu sulla spiaggia, la uccisero senza pietà.
Bakunawa lo venne a sapere, e si infuriò violentemente. Emerse dalle onde come fosse il giorno della fine del mondo, e divorò la luna non appena se la vide davanti. Gli isolani allora pregarono Bathala perché li salvasse e uccidesse il drago, ma egli non volle farlo; disse loro piuttosto di radunare le loro pentole e le loro padelle per far rumore, sicché il Bakunawa sputò la luna e sparì nuovamente per non farsi più rivedere.

Conosco una terza storia. Il Bakunawa inizialmente dimorava sulla terra, e aveva una casa. Si innamorò di una ragazza umana, appartenente ad una delle tribù dei nativi, e per qualche tempo i due riuscirono a tenere segreto il loro rapporto. Poi, un giorno, il capo della tribù lo scoprì, e disgustato fece bruciare la loro casa. Adirato, il Bakunawa si sollevò in cielo per divorare le sette lune, e vendicarsi in questo modo, ma quando fu sul punto di divorare anche la settima, Bathala si fece avanti e lo scacciò, bandendolo per sempre ed esiliandolo in mare. Così, si racconta che ogni eclissi sia un tentativo di Bakunawa di tornare sulla terra, alla ricerca dei suoi cari di un tempo.

Il Bakunawa di "A Book of Creatures",
 https://abookofcreatures.com/2017/04/07/bakunawa/
Secondo i Bicolani, un particolare gruppo etnico filippino, Bakunawa è invece una femmina, una dea marina, pur sempre con le fattezze di serpente e causa delle eclissi lunari. Una notte, la dea vide il dio lunare Bulan, e si innamorò di lui. Si trasformò in un drago-anguilla per poterlo inghiottire, ma non vi riuscì, perché Bulan fu salvato da un'altra dea lunare, Haliya. Si dice dunque che durante ogni eclissi Bakunawa tenti di divorare Bulan, e ogni volta questi sia puntualmente salvato da Haliya. A ciò corrisponde anche una pratica rituale del popolo, che con canti e rumori aiuta Haliya nella sua lotta contro il dragone.

Mettendo a confronto queste storie, vediamo il ricorrere di alcune alternative, come il numero di lune che a volte sono sette e a volte solo una, l'attrazione per la luna in quanto tale o la sua pernosificazione in essere umano/divino. Alla fine, per me, si tratta sempre di un mostro gigante che vede il Bello, e che nel momento in cui lo vede lo desidera. In questo, non è diverso da chi, tra di noi, prova lo stesso davanti alla Bellezza. Il suo relazionarsi a questa bellezza è tragico, la sua stessa esistenza, nelle storie che noi umani raccontiamo su di lui, si connota della tragicità delle sue dimensioni, per riprendere le famose parole di Ishiro Honda sul suo Gojira: lui, o lei, mangia, inghiotte, ciò che gli piace, o di cui si innamora.
È questo che gli suscita il bello, questo che gli suscita la luna. Possa lui ottenere la misericordia che a noi mortali l'amore del bello non concede, anche se sembra che valga così anche per lui.

Si tramanda una canzone in lingua Hiligaynon che si faceva cantare tempo fa ai bambini durante le eclissi.

"Ang bulan namon sang una, sang una     La nostra luna tanto tempo fa, tanto tempo fa
Guin ka-on sang bakunawa                     Venne mangiata dal Bakunawa
Malo-oy ka man, i-uli, i-uli                     Per favore abbi pietà, restituiscila, restituiscila
Korona sang amon hari."                     La corona del nostro re.

Una testimonianza recente è il libro "The Dragon and the Seven Moons", raccontato da Joanne de Leon, tradotto da Yuko Saito.

"Long ago, there were seven moons
that waxed and waned together.
The people treasured them as jewels in the sky
from the supreme god, Bathala.
Down in the sea,
lived an enormous dragon called Bakunawa,
the god of darkness and despair.
One night, while looking at the moons,
he thought, "The moons are so cool and smooth.
Their brightness could light the bottom of the sea.
I wonder if they are as delicious as they look?"
Bakunawa decided he had to have a moon.
"There are so many moons
no one should notice one missing," he thought.
With a mighty leap he flew from the sea
and swallowed one of the moons.
Bakunawa proudly swam
with a glowing moon in his stomach.
As he swam, the moon moved in his body
tickling him and making him smile.
But soon, he noticed
that the moon was melting away like candy."

Qui accanto il sistema di rotazione bakunawa, proveniente dal "Signosan" di Mansueto Porras (1919): la rotazione del corpo del serpente indica le fasi del ciclo lunare, come parte di alcuni riti sciamanici.

Passiamo ora alle sue apparizioni nella cultura moderna.
Il caso più celebre per noi occidentali sarà probabilmente la carta di Hearthstone, popolare gioco Blizzard, nominata "Baku the Mooneater".
Menzioni al nostro si trovano anche nei giochi "EverWing" e "Freedom Planet 2".
Abbiamo un episodio del cartone animato "Alamat", intitolato "Kuwento ng Bakunawa at ng pitong buwan", dove si racconta di un ragazzino di nome Bulan che grida al Bakunawa nella stessa maniera in cui Pierino gridava al lupo. Qui Bakunawa ha un aspetto più classicamente draconico, con un lungo corpo rosso da drago orientale e due piccole ali; ha inghiottito la luna, che brilla attraverso il suo ventre.
Il video ve lo lascio qui, badate che è in filippino senza sottotitoli (ho dato un'occhiata e ve l'ho un po' riassunto).
Qui invece ho voluto inserire le versioni del progetto "Bakunawa - The Moon Eater" di Darrel Paul, da ArtStation. Il suo è un design draconico originale, perfetto per un boss videoludico.

"Bakunawa - The Moon Eater", progetto di Darrel Paul
da ArtStation: https://www.artstation.com/artwork/VVLY8

https://www.artstation.com/artwork/VVLY8
https://www.artstation.com/artwork/VVLY8

Vi lascio poi questo video, di cui la descrizione non dice assolutamente nulla, ma che ho trovato splendido. Mostra Bathala che crea un grande albero, sul quale vengono poste le lune, e poi mostra il Bakunawa come un drago marino che nuota tranquillo e leggero. Dentro una delle lune c'è una ragazza, e quando la vede, rimane con la bocca aperta.
Mi vengono in mente i versi adorati del mio Eminescu:

"Lo vede oggi, lo rivede,
Cosi il desio spunta;
Pur lui, mirandola da tanto,
Di lei si innamora.
"

(Espero (Luceafărul), Mihai Eminescu, traduzione di Geo Vasile.)

Lei allora lo invita ad avvicinarsi, e il Bakunawa, affascinato, le corre incontro, ma nell'arrampicarsi sull'albero che sostiene le lune, ne fa cadere una involontariamente, attirando l'attenzione di Bathala. Il Bakunawa ha pochi, dolcissimi istanti insieme alla ragazza, prima che il signore del cosmo scagli la sua arma contro di lui. Il drago precipita in mare, affondando, dopo aver assaporato l'amore solo per qualche momento, spirando senza doverlo rimpiangere, mentre la ragazza, sola, si agita e distrugge definitivamente l'albero, che il peso del drago aveva già danneggiato. Rimane così questa sola luna, sospesa nel cielo.

Si conclude qui questo breve ma importante post, dedicato a questo singolo, straordinario mostro. Scoprire un mostro, per me, significa sempre scoprire, nel peggiore dei casi, una nuova opera d'arte, molto spesso un nuovo amico, e, nel migliore dei casi, un modo nuovo per parlare di me stesso, per raccontare me e la mia storia. Il Bakunawa appartiene a questa terza possibilità. Sono davvero felice di aver scoperto il mio sentimento di Sehnsucht verso la bellezza, un po' della mia malinconia e anche un'immagine del mito del divoratore, che mi affascina molto, in un drago, un grande drago alato, la cosa che preferisco al mondo. Se in lui vi siete trovati anche voi, questo sarà un dono più grande e una comunione per me e per voi. Pensiamo a lui, da ora in poi, quando guardiamo il cielo, il mare, e naturalmente, soprattutto, nelle nostre prossime eclissi. Pensiamo alla bellezza e al potere di ognuna di queste cose. Pensiamo alla pietà che dobbiamo verso ogni elemento del mondo. E poi, se possibile, voliamo anche noi a prendere ciò che più bramiamo e che più ardentemente ci chiama a sé, sia perché buono o semplicemente perché straordinariamente bello, sia su questa terra alla nostra portata, o sia la luna stessa, forse meno raggiungibile; ma anche se mai ci dicessero che non la possiamo raggiungere, non dovremmo smettere di provarci. Forse un giorno riusciremo a prenderla per sempre.

giovedì 19 luglio 2018

Un lume dorato in un emisfero di tenebre

Premessa: questo post, lirico e soggettivo e diverso dagli altri, lo scrivo richiamandomi ad uno, con la stessa caratteristica, di due anni fa, La vita un funerale, la morte una resurrezione, l'anima una sublimazione della polvere, del quale ho voluto riprendere la struttura.
In pochi casi ho segnalato la musica ascoltata durante la stesura. Quello doveva esprimere profonda tristezza, e pertanto l'ho fatto accompagnandomi con gli album di Nortt. Per questo, invece, ho voluto ascoltare qualcosa che ritenessi trasmettere la bellezza di cui volevo parlare, e così ho scelto Shards of Silver Fade di Midnight Odyssey (che è pure un album di cui vi parlai da queste parti). In particolare, quella più vicina a essere l'anima del post è la canzone Starlight Oblivion. Ci tengo comunque a chiarire che in questo post il rapporto tra musica e scritto è meno forte.


Che cos'è la Bellezza?
Vivi ogni giorno misurandoti con i mostri e scavando alla ricerca dell'orrore proprio perché hai il pensiero costantemente rivolto a lei.
Nel momento in cui realizzi che una cosa è "bella", che differenza dovrebbe fare questo per te, e che differenza dovrebbe fare per il mondo? È bella, e basta.
Ti cattura, ti conquista. È come un retrogusto nell'aria che non riesci a capire, una liquidità nella consistenza del reale, una brezza di calore che passa attraverso la vista.
Assembla davanti agli occhi un palco con attori e costumi, eppure tu continui a guardare la scena alle loro spalle, ignorandoli. Cancella la contingenza del reale, i dettagli, le piccole imperfezioni, le sottili increspature, e catalizza invece la tua attenzione verso quell'infinito che sembra palesarti. Allora ti lanci in avanti, smuovi il telo, ma anche allora non basta, perché senti che andando sempre più in profondità non ti libereresti mai di quella sensazione che essa sia un rimando a un oltre che non arriva mai. E la guardi così tanto che quell'oltre sembra vicino, contenuto nell'immagine stessa anche se non del tutto, fino a un punto che non riesci a dire. Così è la bellezza.
Puoi valutarla con il peso dell'oro, o dell'argento, o forse con le quote in borsa dell'ultima settimana? Come se ti potessero mai rispondere che quella bellezza vale due volte e mezza la bellezza stipata nello scaffale accanto, ma che prevedono che il prezzo scenderà nel giro di qualche mese?
Puoi riportarla ad un sistema di misure? Dividendola in multipli ordinati in un sistema decimale?
Puoi usarla per costruire un grande stadio illuminato, o un fermacarte a forma di cranio di cervo?
Essa ha la forza di una stella e la leggerezza del pulviscolo in un raggio di luce, ma non potrai usarla come fosse nessuna delle due cose.
È la punta del dito e il centimetro di corda di violino che producono il suono quando si toccano, congiungendo delle minime porzioni di spazio mentre aprono un varco sconfinato da un'altra parte.
La bellezza non dice chi sei, ma è come se ti mettesse alla prova. Ti assolve dall'essere umano, ti condanna per essere vivo, ti riceve nel suo grembo, ti castiga con la sua sferza uncinata.
Ti avviluppa il cuore fino a farlo lacrimare. È un ricamo di sogni, tenuti insieme dalle loro parti esterne che si sono indurite perché non le abbiamo sognate abbastanza.

La bellezza non serve a niente. Nel momento in cui serve a qualcosa, c'è almeno una parte di quel bello che non è veramente bella.
La spada dalla guardia a croce è l'oggetto che più chiaramente splenda ai miei occhi, ma il filo tagliente della sua lama, la rigida barra e il rivestimento di cuoio intorno all'elsa sono lì perché la spada serve a lacerare le membra di altri uomini.
La bellezza squarta le spire dello spirito, ma non serve a nessuno che lo faccia.
Non contiene, men che meno trasporta. Non riscalda, non dà refrigerio. Non nutre, neppure disseta. E ciononostante, la desideri per sempre.
È slegata da qualunque senso dell'utile e del concreto. Si trova nello stesso mondo in cui sono queste cose, insieme agli uomini, alle bestie ed alle nevi, ma non appartiene allo stesso mondo.
"Pity", di William Blake, 1795.
Nel contemplarla, dissi una volta:
«Esiste un bello oltre il quale
non è concesso neanche piangere,
una rete di cristallo
dietro un occhio di annichilente silenzio
per la quale non può passare lacrima
né il suono cantilenante di una risata
né un sorriso tirato con le mani
fino ad un ghigno mozzo d'ogni senso.»

La bellezza è un mostro.
Ha un'aura simile a quella del volto di Dio. Essa imprime dei caratteri che non possono essere pronunciati sul cuore e sull'anima degli uomini, perché si sciolgano e ammutoliscano.
Ha un collo di fiamme, dodici ali le cui piume portano gli occhi di ogni cosa che è mai vissuta, e attraverso quegli occhi guarda ma non vede, come attraverso quegli occhi è vista, ma non guardata.
Accovacciata davanti alle porte del palazzo della saggezza oltre la via dell'eccesso, pone un enigma ad ogni viandante che le capiti a tiro.
«Ho un sogno ma non un viaggio, un messaggio ma non un senso, un sospetto che non è un tormento, ma un terrore che sta nel mio aspetto. Se vai avanti mi troverai di nuovo, appesa a una croce dopo aver partorito un uovo, se torni indietro non entrerai mai più, ma mi vedrai seguirti, come fossi il buon Gesù.»
E chiunque sbagli, lo lascia entrare.
Non è infallibile nelle sue decisioni, spesso è severa, talvolta ingiusta. Spesso è crudele.

Le sto avvinghiato perché è la cosa più divina che conosca.
Non avremmo concepito il divino, se non l'avessimo conosciuta.
Ci parla con la voce della marea che si ritira per dirci che per ognuno di noi, in un angolo dello sconfinato assoluto, esiste una possibilità di realizzazione ed adempimento. Una speranza per ciascuno per realizzare la sua potenzialità di essere il riflesso speculare ma incomprensibilmente unico di Dio.
La Madonna in pietà che raccoglie dalla croce ognuno di noi per fargli udire il canto che ha sempre cercato senza mai ritrovare.
"When the Morning Stars Sang Together",
di William Blake, 1805-1806.

Il suo nemico è il Tempo.
Sempre avuto anche io problemi con il tempo.
Vai a tirarle il mantello come fosse la sottana di una madre che ha promesso che non ti sarebbe mai accaduto niente di brutto, e la vedi che svetta come una torre avvolta in un'armatura di acciaio, mentre scaglia le mani sul suo nemico come un cavallo che scalcia. Eppure a volte il suo abbraccio è così freddo...
Il Tempo procede per la sua direzione e non si ferma, facendo passare tutte le cose, cancellandone il contorno, come un pennello che continua a passare sulla figura e la rende sempre più indistinta, finché non si vedono che strisce aggrovigliate. Il Tempo mente, confonde. Il bello dura soltanto un istante in cui sfolgora di verità, e se non fosse perché il tempo gli passa sopra con il suo setaccio continuerebbe a sfolgorare. La Bellezza non sconfigge il Tempo ogni volta, ma non c'è protezione migliore cui mi affiderei mai.



Alla fine del nostro viaggio, la bellezza sarà l'unica cosa ad avere avuto mai senso.
Al principio di ogni cosa, quando anche il tempo era differente, non esisteva nulla che non fosse immagine di un significato più grande. Il cerchio dell'orbita cosmica, la corsa delle stelle, e poi la vita che fluiva, le rotte dei grandi mostri marini e degli uccelli, il ciclo della terra.
Siamo tanto lontani da questo. Siamo nati in questa terra e per molto tempo, rispetto a quello che abbiamo vissuto, abbiamo onorato e celebrato tutto questo, traendo i nostri miti dal cielo, dagli alberi e da ogni cosa che catturasse il nostro cuore. Dalla bellezza, che generava la magia.
Sono bastati pochi anni per dimenticare tutto, continuando a percorrere le stesse strade e a scavare nelle stesse rocce senza più chiederci come si chiamassero, e siamo arrivati a dubitare di ogni cosa, ad affacciarci sul nulla e a sentire la nostra voce tornare indietro ogni volta che abbiamo chiamato chiunque credessimo fosse dall'altra parte.
Ma è stato detto:

"Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dai nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. Se la mancanza di significato fosse assolutamente prevalente, a uno stadio superiore di sviluppo la vita dovrebbe perdere sempre di più il suo significato; ma non è questo - almeno così mi sembra il caso. Probabilmente, come in tutti i problemi metafisici, tutte e due, le cose sono vere: la vita è - o ha - significato, e assenza di significato. Io nutro l'ardente speranza che il significato possa prevalere e vincere la battaglia."
(Carl Gustav Jung)

Questo significato è come una piccola luce che cerchi di spiegare le ragioni dell'oro al mare di tenebre che la attornia.
"Lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt".
Esisteva una volta, ed esiste ancora, una luce dorata in un fiore di tenebra, che traeva dall'oscurità l'alimento del suo splendore e di questo faceva a sua volta il nutrimento del cesto tenebroso che la racchiudeva.
Oltre gli abissi del pensiero, un poeta aveva visto quella luce nella tenebra in un sogno fatto forse ancor prima di essersi mai addormentato, e da allora l'aveva sempre cercata.
Il giorno che la vide camminare sulla terra, fu certo che non sarebbe stato mai più poeta se non fosse riuscito a camminare dietro di lei, se non accanto.
Lei aveva occhi che vincolavano l'animo, che trafiggevano il sentimento della bestia.
Dalla sua bocca pareva sgorgare il ristoro di ogni inadempimento, la dissoluzione dell'insensatezza.
E desiderando ritrovare il senso di ogni cosa, il poeta le corse dietro.
Diceva:

«Lei irradia vita dentro ad ogni cosa,
in piedi oltre le nubi acceca il giorno,
sospesa su cascate d'oltrecosmo
irrora fati e splende nel silenzio.
A questi cupi giorni chi voleva
dir mai? che un giorno avremmo visto
tra noi quella Bellezza
come oltre l'acqua il cielo.
E non dovremmo temer,
davanti a lei, bruciare,
e fiamme scavar dentro i nostri occhi
fino a snudare l'immagine
-la splendida, spettrale immagine-
che venne posta da mani divine
sotto tutte le altre, perché infine,
giunto l'ultimo giorno, desse un senso
e un valore al morir, averla vista?
Ma a che vita tendeva mai
la grigia strada, il sole silenzioso,
l'accidia del dolor, l'attesa, il nulla?
E non dovremmo forse esser felici
anche quel giorno solo, anche l'istante,
in cui schiaccerà sotto i chiari occhi
e il loro peso di cielo
la nostra pavida ignavia
e nel nostro essere più nulla
del suo essere Sé degnerà anche noi?»

Un uomo guardava il mare ingrigito dalla desolazione degli dei, ma continuava a guardarlo con sempre maggiore comprensione, perché sapeva che la bellezza sarebbe tornata per lui e avrebbe fatto tornare azzurre e dorate tutte le cose.

"The Soul of the Enchantress",
di Luciana Lupe Vasconcelos.
Vi era poi una donna che leggeva le storie nelle stelle, e che le pregava, perché oltre la spiaggia in cui stava rannicchiata nella sua trepidazione e nella sua speranza, la terra infinita era disseminata da filo spinato e di nubi di smog che marciavano su piedi di behemot schiacciando tutto. Pregava che il Consolatore scendesse lì, almeno per una volta, almeno per lei.

Vi era un nessundove pieno di fantasmi, dove l'angelo della sublimazione faceva la guardia a che nessuno di loro riacquistasse la memoria. L'angelo vide una volta uno di quei fantasmi sollevarsi mentre gli occhi gli brillavano di verde. E sorrise, con tutti i suoi occhi e con tutte le sue bocche, perché il fantasma stava sognando.

Il poeta seguì la luce che era nelle tenebre fino al ciglio di un burrone che dava sull'ultimo mare, il mare oltre gli altri mari, rimasto piano nonostante tutti i rivolgimenti del mondo. Ella gli disse che se voleva seguirla, avrebbe dovuto navigare insieme a lei su quel mare, senza poter tornare indietro. Sarebbero arrivati così nella sala in cui quella luce si era accesa, ancor prima che fosse tutto, dando inizio a quella semplice distinzione tra sé e il resto, il sé che faceva luce e il resto che era buio e divorava la luce, ma che lei continuava a portare con sé. Lui, il poeta, aveva vissuto tutta la vita in cerca di questo, e dunque la seguì. Pochi hanno avuto la sua stessa fortuna.

Inno alla Bellezza

"Vieni dal cielo profondo o esci dall'abisso,
Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,
dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,
ed in questo puoi essere paragonata al vino.

Racchiudi nel tuo occhio il tramonto e l'aurora;
profumi l'aria come una sera tempestosa;
i tuoi baci sono un filtro e la tua bocca un'anfora
che fanno vile l'eroe e il bimbo coraggioso.

Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?
Il Destino irretito segue la tua gonna
come un cane; semini a caso gioia e disastri,
e governi ogni cosa e di nulla rispondi.

Cammini sui cadaveri, o Bellezza, schernendoli,
dei tuoi gioielli l'Orrore non è il meno attraente,
l'Assassinio, in mezzo ai tuoi più cari ciondoli
sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.

Verso di te, candela, la falena abbagliata
crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma!
L'innamorato ansante piegato sull'amata
pare un moribondo che accarezza la tomba.

Che tu venga dal cielo o dall'inferno, che importa,
Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!
Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m'aprono la porta
di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?

Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,
tu ci rendi -fata dagli occhi di velluto,
ritmo, profumo, luce, mia unica regina!
L'universo meno odioso, meno pesante il minuto?"
(Charles Baudelaire)

Chi abbia visto una cosa bella, guardandola con gli occhi dell'anima mentre udiva il suo cuore seguire note di danza, non se ne separerà mai del tutto. Gli resterà un po' nello spirito e un po' nel sangue, la rivedrà davanti ad ogni altra cosa bella, la sognerà; naturalmente la cercherà, anche rischiando di pagare caro. Infine, forse, la rivedrà oltre la vita, ed essa alleggerirà la bilancia che pesa tutto quello che egli o ella avrà fatto, e darà ali a quell'anima. E così facendo, almeno in parte, la salverà, e avrà salvato una parte di mondo. Perché si trova un mondo in ogni anima, mondi di storie che continuano il reticolo infinito delle cose che sono state dette, cioè del fato, o dei fati, o delle fate, e se ci crediamo, se ci amiamo abbastanza, quel fato, che a volte desideriamo combattere, possiamo trasformarlo in una storia in cui, mista alla tristezza, c'è un po' di felicità per ognuno di noi.
Quando non la vediamo, e ad alcuni succede più spesso che ad altri, non cerchiamola per forza. Ma cerchiamo la bellezza, anche quando conduce altra tristezza: in essa ci sarà sempre una parte di quello di cui abbiamo veramente bisogno.

Benedetta la fiamma!


giovedì 12 luglio 2018

Dante's Inferno: Or discendiam qua giù nel cieco mondo

Dante's Inferno è un viaggio videoludico nei nove cerchi del poema dantesco, che troviamo ricreati e contraddistinti in maniera suggestiva, inquietante e malata, grazie all'influenza dei modelli (sembra difficile non scorgere le incisioni del Dorè) e agli artisti che hanno lavorato al gioco, a cominciare dall'art director Ash Huang, forte del lavoro fatto sui primi due Dead Space.
Quello cui si deve l'anima estetica del gioco, la mente dietro la maggior parte di quelle situazioni o di quei dettagli che incontriamo e su cui non possiamo non soffermarci ed esclamare "Ma che schifo!", è un artista che seguo da un po' di tempo, e di cui solo recentemente ho scoperto il contributo a quello che resta uno dei miei giochi preferiti da ormai otto anni: il grande Wayne Barlowe, pittore, disegnatore, scultore e anche scrittore, che ha collaborato a molti film di del Toro, come Blade II, gli Hellboy e Pacific Rim, ed il terzo e quarto Harry Potter. È lui che potete ringraziare se vi è piaciuto l'aspetto lupino del professor Lupin. Wayne Barlowe, con una formazione molto attenta alla biologia, affermato paleoartista -cioè autore di raffigurazioni di animali preistorici, soprattutto dinosauri-, e con sulle spalle molti anni di lavoro nell'ambito della fantascienza, si dedica ormai da più di vent'anni a dei personali progetti sull'inferno, ispirato soprattutto da Dante, Milton, e antichi grimori di demonologia, di cui il principale sembra essere il Grimorio di Onorio di Tebe, un testo medievale incentrato su evocazioni e sigilli. Il frutto di questo lavoro è stato "Barlowe's Inferno" (1998), un libro illustrato dove l'inferno elaborato dall'artista ha anche una storia, proseguita poi in "Brushfire: Illuminations from the Inferno" (2001) e nel romanzo "God's Demon" (2007), di cui proprio in questo periodo l'autore sta pubblicando la continuazione. La sua proposta di lavorare a Dante's Inferno è venuta dunque in seguito a una vasta esperienza del settore, e Barlowe è riuscito a far passare qualcosa della sua genialità nel mondo che ora ci apprestiamo ad esplorare. Per fare qualche esempio a chi conosce già il gioco, Caronte, Minosse, Cerbero, le seduttrici e i golosi sono tutti farina del suo sacco.


La struttura stessa del gioco si basa sul passaggio attraverso i nove cerchi, che lo scandiscono in modo netto, contrapponendo luoghi dall'aspetto caratteristico e molto diverso tra loro, quasi tutti con una boss fight, basata sulla presenza nel poema stesso di un guardiano per ognuno dei cerchi. Inoltre, attraverso quei cerchi, Dante crociato è messo a confronto con il peccato che in essi viene punito.
Cogliamo qui qualcosa di interessante rispetto al poema: all'Inferno Dante si limita ad osservare, e in qualche caso compatire, le sorti delle anime dei dannati, non andando oltre questo perché la loro condizione è molto lontana da lui, che solo nel Purgatorio espierà il proprio carico di peccati, di cui si è macchiato in misura non eclatante. Il Dante di Dante's Inferno, invece, è a tutti i sensi un candidato per la dannazione eterna, che è venuto meno a tutte le promesse che ha fatto, ha ucciso innocenti, ceduto alla carne, tradito la donna che si era vincolata a lui e l'amico fraterno che aveva giurato di proteggere. Tutto questo lo ripercorreremo attraverso la storia condotta di cerchio in cerchio.
In ognuno, dunque, sono imputate a Dante le sue colpe, o i suoi contatti con chi si è macchiato dei peccati qualora questi abbiano risparmiato lui -è il caso della Gola, che un flashback ci mostra essere propria di suo padre-, e in un certo senso le vittorie che riporta sui guardiani, o più in generale i boss, sono il suo atto di espiazione del singolo peccato e il momento in cui mostra di essere migliorato rispetto a quel particolare ambito della sua vita.

Da un punto di vista videoludico, Dante's Inferno compie un complesso, e indubbiamente blasfemo, adattamento di alcuni concetti chiave della dottrina cristiana a meccaniche da videogioco.
In quanto action game, dove la possibilità di personalizzazione del gameplay è limitata all'ordine con cui si acquisiscono le abilità, progredendo lungo l'albero che ne consente l'acquisizione, Dante's Inferno prevede dei potenziamenti disposti lungo due percorsi, che rispecchiano una struttura dualistica insita nel tutto, connessa del resto al dualismo soggiacente al Cristianesimo, che personalmente in effetti ho apprezzato: un percorso è indicato dal colore rosso, sblocca nuovi attacchi per la falce della Morte e incantesimi basati su elementi infernali, e l'altro dal colore azzurro, sblocca nuovi attacchi per la croce sacra e incantesimi basati su elementi paradisiaci. La falce ottiene via via nuove possibilità di rotazione, aloni di fiamma, colpi più violenti -io ad esempio uso spesso l'attacco con cui Dante sbatte la falce sul nemico come se fosse un piccone, dall'alto, sempre più velocemente e violentemente, perché mi sembra l'espressione più pura della rabbia-, mentre la croce invia a poco a poco più "raggi", combo con cui stordire o far levitare i nemici. I potenziamenti riguardano anche la modalità Redenzione, uno stato in cui Dante è più veloce e più forte per un breve periodi, l'aumento della vita e del mana, necessario per usare gli incantesimi, e in fasi più avanzate la possibilità di rigenerarli grazie ai nemici.
Gli incantesimi del primo tipo si basano su come come il vento che tormenta i lussuriosi o i frutti della foresta dei suicidi, mentre gli altri sulla luce sacra.
Il punto però è che l'avanzamento nei due percorsi dipende, oltre che dall'uso di un'arma piuttosto dell'altra per uccidere gli avversari, nella scelta che è possibile fare davanti ad alcuni nemici e alle anime dannate incontrate nel viaggio: assolverli, purificandoli dai loro peccati e inviandoli fuori dall'Inferno, probabilmente dritti in Paradiso, o dannarli, distruggendo anche il loro corpo spirituale e sprofondandoli nell'oblio.
E questo ci pone davanti a un assoluto casino teologico. Vedremo meglio nel corso del gioco come il viaggio di Dante, per molti versi, demolisca l'Inferno.


Ora, continuiamo col racconto della storia.
Quando l'ombra di Lucifero, la prima entità sovrannaturale che vediamo dopo la Morte -il cui episodio in realtà ha solo tre funzioni, due delle quali compiute una volta terminato, quella di dare a Dante la sua arma e quella di fungere da introduzione alle boss fight, mentre la terza la scopriremo alla fine-, afferra l'anima di Beatrice, in una scena basata sulla più classica compresenza di luce e oscurità dove la seconda avvolge la prima, i due spariscono, allontanandosi ratti verso una chiesa di pietra poco lontana.
Dante li insegue, e poiché la via passa per un cimitero, ha il suo primo incontro con alcuni nemici del gioco vero e proprio, gli Schiavi non morti (Minions), dei non morti macilenti, in parte scheletri e in parte zombie, armati di corte spade. Questi ricorreranno spesso all'Inferno, ma al momento Dante è ancora sulla terra: potremmo pensare che siano i cadaveri del cimitero, riportati in vita da Lucifero -che ha chiaramente un notevole potere anche in forma di ombra e anche al di fuori del suo regno-, ma il fatto che li incontri spesso nel mondo ultraterreno può significare due cose, o anche all'Inferno Dante affronta dei cadaveri, o anche fuori dall'Inferno Dante affronta delle anime dannate. E dovremmo ancora spiegare perché questi siano così diversi dalle anime dotate di identità, come quelle di Paolo e Francesca o di Ciacco. Come per molte altre creature di cui parleremo, l'unica ragione dietro la loro esistenza e il loro aspetto potrebbe essere la creatività degli sviluppatori e le esigenze del gameplay, ma qualunque possibilità di discussione, o semplice speculazione, per noi è un tesoro e una risorsa dalle possibilità infinite.
Un discorso affine vale per il secondo tipo di nemico che incontriamo, le Pesti (Pests), nome che tanto in italiano quanto in inglese può designare la malattia e in senso figurato un elemento o individuo fastidioso e irritante, ma che in inglese può essere applicato anche a fastidiosi insetti. E questo è quello che sono le Pesti di Dante's Inferno, grossi insettoidi simili a vespe, con bocche dentate, niente occhi, ali di pipistrello e lunghe code a pungiglione dalle quali lanciano palle di fuoco. Sono il nemico aereo debole ma fastidioso per la difficoltà nel raggiungerlo, la propensione ad attaccare a distanza e il farlo sempre in gruppo. Io li ho sempre immaginati come un inserimento, in forma di demone, del diffuso medievalismo della peste -cioè il fatto che essa sia molto presente nel nostro comune immaginare il Medioevo-, ma bene propone la Dante's Inferno Wiki nel teorizzare che si tratti degli insetti che puniscono gli ignavi nel Vestibolo, benché questi nemici ricorrano un po' in tutti i cerchi.
"Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch’eran ivi. 
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.
" (Inf. III 64-69)
Porta dell'Inferno nel gioco.
 Affrontando queste creature, Dante passa dal cimitero alla chiesa, dove vede per un istante l'anima di Beatrice che gli domanda perché abbia infranto la promessa, senza riuscire a capirla. Segue l'entrata in possesso della croce, dopodiché la chiesa inizia a crollare, aprendo gli scorci di un paesaggio sotterraneo dominato da fumi rossi. Scendendo per questa via Dante incontrerà le pesti, più altri nemici che stiamo per vedere, e giungerà davanti alle porte dell'Inferno.
Analizziamo dunque una questione che pare quasi banale: dov'è l'Inferno? Siamo tutti d'accordo sul fatto che il sistema cosmologico cui si rifanno sia la Commedia che il videogioco stabilisce che si trovi sotto la superficie terrestre, ma questo non significa che si possa entrare da qualunque parte. Nel poema dantesco, l'entrata si trova nelle vicinanze di Gerusalemme, secondo un valore simbolico e un'antica tradizione; nel videogioco siamo invece a Firenze, in una chiesa qualsiasi, che forse crolla proprio per via del passaggio dell'ombra di Lucifero. Come vedremo, il viaggio di Dante fa parte di un piano del re dell'Inferno, dunque questi aveva non solo l'interesse, ma la necessità di aprirgli il passaggio. Un'altra scoperta che facciamo a fine gioco, forse, permette di completare il puzzle, e di dare un senso all'ingresso nel doloroso regno da un punto casuale, che altrimenti ci risulterebbe essere un punto decisamente debole della trama.
"La Porte de l'Enfer" di Auguste Rodin, 1880-1917.
Nell'ultimo tratto prima delle porte Dante si trova davanti gli Schiavi del fuoco (Fire Minions), simili agli schiavi già visti ma avvolti da una fiamma costante e fumosa. Essi escono solo da oggetti già in fiamme presenti nell'ambiente di gioco, e quando sono vicini a quelle fiamme è anche difficile vederli; ma se attaccarli mentre ardono serve solo a bruciarsi, e la fiamma li rende immuni, una volta spento il fuoco grazie alla croce si irrigidiscono, paralizzano, e dimostrano una consistenza simile a quella della roccia, roccia che crolla subito sotto i colpi della falce.
E veniamo finalmente a parlare di questi cancelli infernali, assolutamente maestosi.
È stata per me una sorpresa scoprire che derivano dall'inserimento nel gioco di una scultura già perfetta per lo scopo, "La Porte de l'Enfer" di Auguste Rodin. Si tratta di un'opera incompiuta, commissionata all'artista dal Direttorato delle Belle Arti nel 1880 ed elaborata nel corso di trentasette anni, fino alla morte di Rodin nel 1917. Alta sei metri, larga quattro e profonda uno, è costituita da un gruppo di circa centottanta figure.
Davanti a questo stupefacente portale, di dimensioni notevolmente maggiori, che peraltro non mostra i famosi versi del poema -questi verranno pronunciati poco più avanti da Caronte in persona- Dante affronta i tipi di nemici già indicati, avendone facilmente ragione, fino all'entrata in scena del primo esemplare di una razza mostruosa che nella sua semplicità, senza nessuna ragione in particolare, è una delle cose che preferisco in Dante's Inferno: una Bestia Asteriana.

Bestia asteriana.
L'Asterian Beast è grossa, alta ad occhio sì e no otto metri (Dante non le arriva al ginocchio), un corpo scuro fatto di muscoli, pelle coriacea e pelliccia, con una testa munita di due lunghe mascelle dalle quali è in grado di sputare fuoco, con denti appuntiti, di forma e lunghezza diseguale, priva di occhi e affiancata da due lunghe corna. L'Asterian Beast è l'animale da soma dell'Inferno: ne vediamo altri esemplari in diversi cerchi, tutti guidati dai demoni mentre svolgono lavori pesanti, trainando macchine e spingendo carichi, un po' come i Troll nei film del Signore degli Anelli; sono dotate di gran forza, anche molto superiore alla loro stazza, come osserviamo quando una di loro solleva e scaglia lontano un oggetto molto più grande di sé. Non sappiamo nulla di queste creature, ma possiamo affermare ragionevolmente che non sono anime dannate, e mentre i vari tipi di diavoli indicati come angeli caduti hanno sembianze simili tra loro, nessuno somiglia a queste bestie che sono assolutamente uniche. Infine, mentre nei vari cerchi si trovano demoni associati ai diversi peccati, queste non hanno nessun tipo di associazione. Quello che il gioco sembra suggerire, o che mi piace pensare, è che si tratti di una razza della fauna indigena dell'Inferno, un animale ctonio, forse in qualche modo connaturato al particolare tessuto dell'Inferno, che i demoni hanno trovato ed utilizzato per costruire il loro regno. Un'idea del genere è presente anche in Barlowe's Inferno, dove i luoghi in cui è venuto a crearsi il regno dei demoni erano abitati, già da molto tempo, da una razza di uomini-salamandre tuttora in guerra con i nuovi arrivati.
Le bestie asteriane, in un certo senso, compensano anche una mancanza non indifferente del videogioco, quella del Minotauro nel settimo cerchio, il cui ruolo, nel poema, di guardiano del settimo cerchio, è rievocato solo da una statua. Al primo incontro con uno di questi mostri, "minotauro" è probabilmente la prima parola che viene in mente, e a una rapida occhiata è proprio quello che parrebbero, prima di cogliere che il muso, difficilmente classificabile, non è quello di un bovino, e che nessuno dei suoi arti è dotato di zoccoli. Cionondimeno, la parentela con i minotauri è data dal suo stesso nome: Asterione è il nome proprio del Minotauro mitologico, figlio di Pasifae e di un toro, anche se la sua natura mostruosa rendeva più urgente dare un nome a cosa egli fosse, piuttosto che a chi. Asterione era anche il nome del padre di Minosse, sposo di Pasifae, dunque un nome legato alla stirpe dei sovrani di Creta.

La bestia asteriana, in termini di gameplay, corrisponde ai ciclopi della saga-modello "God of War": dopo averlo indebolito, è possibile cavalcarlo e utilizzarlo come arma e strumento per attraversare passaggi impossibili per un personaggio umano. Per farlo, Dante configge la lama della sua falce nella testa del mostro, dando tutta l'impressione di un controllo neurale su tutte le sue funzioni, veicolato dalla falce stessa. Quando ciò è accaduto, benché Dante sia fermo e i comandi che noi adoperiamo corrispondano ad azioni della bestia, alcune scene suggeriscono che sia sempre Dante a decidere le azioni della sua cavalcatura, che può picchiare a terra con gli arti superiori, pestare con i piedi, afferrare i nemici per schiantarli a terra o per mangiarli, e sputare un getto di fuoco. Queste bestie sono guidate dai Domatori di Bestie (Beast Tamers), diavoli cornuti distinti dai loro simili dal pettorale dorato e il perizoma rosso. Normalmente la loro incidenza sul gioco è essere trafitti, tirati e infine tagliati in due dalla falce di Dante, ma a volte, mentre lui cavalca una bestia, può arrivarne un altro che, strisciando sul dorso di questa, ha la possibilità di sollevarlo, e, se Dante non supera una prova di resistenza, gettarlo giù dalla sella e costringerlo a riaffrontare la asteriana. Questo connota i domatori come nemici irritanti. Quanto alla loro natura, ne parleremo a proposito dei diavoli.
Bestia cavalcata da un domatore.
Usando la bestia asteriana, Dante spalanca le porte dell'Inferno -che in teoria sarebbero dovute essere aperte, per far entrare i numerosi dannati- e si butta al suo interno -e alla bestia ciao ciao- precipitando accanto alle anime che strillano e si trovano già nelle condizioni in cui le vedremo per tutta la durata del viaggio infernale.
Dante atterra su un sentiero di pietra, dove le anime continuano a precipitare come comete, schiantandosi al suolo, mentre altre, impalate, decorano i bordi del percorso di gioco. Siamo nel Vestibolo, l'Antinferno, e Virgilio spiega che in quest'area si trovano le anime degli ignavi, adoperando i versi che la tradizione ha reso celebri e le lamentele sui social network abusati, e che pertanto non riporterò. Il loro è uno dei pochi casi in cui la pena del videogioco non corrisponde a quella del poema.
In quest'area, che nel gioco si chiama "Riviera di Acheronte" (Shores of Acheron), incontriamo per la prima volta un Diavolo Guardiano (Guardian Demon), insieme a una versione superiore degli schiavi non morti, chiamata "schiavi dell'Inferno" (Hell Minions), che tranne che per la maggiore aggressività non presentano differenza alcuna rispetto ai minions precedenti.
Costruirò adesso, invece, una spiegazione sui diavoli di questo gioco. Non preoccupatevi se il racconto procede così lentamente senza ancora essere entrati nell'Inferno vero e proprio: sono premesse funzionali al resto del discorso, che per i vari cerchi procederà in modo più svelto.
Demone Guardiano.
Il Diavolo Guardiano, il nemico medio più ricorrente del gioco, è il classico demone caprino. La pelle e la pelliccia nere, le corna molto lunghe e gli occhi rossi, combinati ai suoni gutturali che emette, contribuiscono a renderlo più inquietante dei suoi modelli. Più avanti nel gioco incontriamo i Diavoli Troni e gli Arcidiavoli, tutti abbastanza simili, distinti solo dal fatto che gli ultimi hanno le ali. Ora, tutti questi, insieme ai domatori di bestie, sono angeli caduti: hanno partecipato alla ribellione di Lucifero, sono stati sconfitti e scacciati dall'armata celeste, precipitati all'Inferno, dove sono a tutti gli effetti prigionieri, e usati per torturare a loro volta le anime umane. Proprio come i diavoli del poema dantesco, che incontriamo però solamente nel sesto e nell'ottavo cerchio. Un caso felice è poi quello della localizzazione in italiano, che distingue i diavoli dagli altri tipi di creature demoniache, indipendenti dalla caduta, mai state angeli. Un'aggiunta interessante del videogioco è poi il fatto che i tre tipi di diavoli corrispondono a tre diversi ranghi dei cori angelici, salvo per il problema che questi, nella teologia medievale e dunque nel poema dantesco, sono nove, mentre le categorie di questi demoni sono tre, e le informazioni che ne traiamo nel bestiario del gioco indica che i Diavoli Guardiani sono dell'ordine più basso, mentre gli Arcidiavoli appartengono al più alto. I cori angelici, dunque, sono ridotti a tre soli, e il coro dei Troni, il terzo più alto, sembra corrispondere a quello intermedio dei Diavoli Troni.

Volto di Caronte nel gioco.
Avanzando attraverso i nemici, Dante giunge finalmente al cospetto del fiume Acheronte, le cui acque appaiono come fitti banchi di nebbia. Ma in mezzo a questa nebbia emerge una struttura gigantesca, una nave, anzi, un vascello, un vascello enorme e scuro, antico e macilento, su cui spicca una colossale testa umana, nera e con gli occhi di brace: si tratta di Caronte (Charon), il nocchiero infernale.
Fermiamoci un secondo e cerchiamo di capire: nella Commedia, il cui modello in questo senso è il VI libro dell'Eneide, Caronte ha una figura assolutamente umana, quella di un vecchio "bianco per antico pelo", con lunga barba e lunghi capelli, distinto solo dalle ruote di fiamma intorno agli occhi. Il suo compito lo svolgeva con una piccola barca.
Come spiega la descrizione del bestiario del gioco, l'aspetto di Caronte qui è diverso per rappresentare come il passaggio del tempo muti le cose nel mondo eterno dell'oltretomba -anche questo un concetto che stride profondamente con i concetti alla base di questo stesso mondo-, e dunque come, col passare del tempo, il numero dei dannati sia andato crescendo sempre di più, sicché il nocchiero ha avuto bisogno di una barca sempre più grande, finendo al contempo per fondersi con la barca stessa.
Osservando i concept di Wayne Barlowe, notiamo come anche la sua idea sia cambiata più volte nel tempo. Inizialmente Caronte doveva avere l'aspetto di un uomo fuso con la barca, ma con sembianze più umane, dotato ancora di arti e con barca e nocchiero distinguibili. In un certo senso, osservare questi concept sembra quasi ricostruire la lenta fusione avvenuta nel tempo.
Wayne Barlowe, nell'intervista contenuta nella Divine Edition di Dante's Inferno, racconta alcuni retroscena della creazione del suo nocchiero.
"Caronte è stato una sfida. Anche qui, essendo così appassionato di storia, ho provato strenuamente a rifarmi a un aspetto antico per lui, greco o in qualche modo mediorientale nella figura a destra (in riferimento a un concept che non ho trovato in rete, che raffigura Caronte completamente umano e con, appunto, copricapo e abiti con quell'aspetto).
Questo (lo vedete qui a destra) potrebbe davvero essere il mio preferito tra gli approcci a Caronte tra i molti. Le sagome funzionano bene e penso sia un approccio ben più inventivo di alcuni dei miei primi."
Caronte è anche un personaggio caratterizzato in qualche modo, rispetto ad altri demoni, perché utilizza un modo di parlare antiquato e in qualche modo le sue risposte e reazioni suggeriscono un'idea di abissale vecchiaia -o venerabile antichità, se preferite. A lui sono affidate (rielaborate) le parole della porta dell'Inferno, che pronuncia la prima volta che lo vediamo:
«Per me si va nella città dolente, per me si va nell'eterno dolore. Lasciate ogni speranza, voi che entrate.»
Percorrendo la riviera Dante inizia ad arrampicarsi su una delle cime d'ormeggio della nave, e mentre la percorre si trova davanti al monumentale volto del demone, che adoperando parole simili a quelle della sua controparte letteraria, lo guarda ed esclama «E tu, partiti da cotesti che son morti!». Dalle sue affermazioni successive apprendiamo delle informazioni molto importanti: una riguarda Beatrice («Fece lei un patto folle alquanto»), mentre l'altra Dante, al quale, dopo che questi offre la sua vita e la sua anima in cambio del ritorno dell'amata, risponde «Tu folle, già nostre son quelle». Poi un diavolo taglia la cima della fune e Dante si ritrova così costretto ad arrampicarsi sul fianco di Caronte, sicché queste parole non vengono più approfondite, ma non dimentichiamole perché alla fine del racconto ci torneremo. Sul fianco di Caronte facciamo il primo incontro con uno degli elementi più caratteristici e riusciti del gioco, le pareti dentro le quali sono imprigionati dannati che urlano e parlano. Si tratta di reticoli dalla consistenza abbastanza dura e robusta da permettere a Dante di arrampicarsi, sotto i quali vediamo sagome umane animate, ma ciò che più colpisce sono i suoni: in ogni cerchio dell'Inferno udiamo frasi attinenti al peccato di quelle anime e alla loro vita. Ad esempio, su Caronte possiamo udire un uomo che protesta «Che storia è questa? Ho condotto una vita pia!», dunque lo smarrimento dinanzi alla condanna infernale e probabilmente vissuto da un'anima destinata al Limbo, il cui unico errore è stato non essere cristiana.
Una volta a bordo, mentre svolgiamo uno dei rompicapi necessari ad avanzare, udiamo Caronte usare altre frasi sue del poema: «Io vengo per menarvi all'altra riva, nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo!». Incontriamo anche l'anima di Orfeo, di cui la descrizione indica come colpa maggiore l'aver tentato di opporsi al divino decreto della morte, e che nel poema è presente nel Limbo, in armonia insieme agli altri pagani virtuosi. Giunti infine sul dorso di Caronte, viviamo un'adrenalinica sequenza che ci porta, dopo aver affrontato i consueti nemici, a combattere una bestia asteriana, prenderne il controllo e usarla per staccare la testa a Caronte (che in realtà non è che avesse fatto gran torto a Dante), facendo fracassare la nave sui pilastri di roccia  antistanti, che Dante scala sempre grazie alla sua bestia, salvo, una volta giunto al termine, colpirle la zampa con cui si tiene aggrappata per lasciarla precipitare e non avere altri problemi con essa.
Potremmo dire che se il crociato vivesse oggi non sarebbe il tipo che paga il biglietto per usufruire dei trasporti.


Ci troviamo così nel Limbo, il primo cerchio dell'Inferno, dove si trovano le anime di coloro che vissero rettamente, ma che non possono accedere al Paradiso perché non sono stati cristiani, non avendo cioè ricevuto il battesimo.
Non è il maestoso castello circondato da sette cinte di mura che troviamo nel poema, e non vediamo il raduno delle anime dei pagani virtuosi, tantomeno il gruppo di poeti che fanno festa a Virgilio e Dante, ma dalle informazioni forniteci dal primo dei due sappiamo che concettualmente quelle anime vi dimorano e trascorrono l'eternità in condizioni rispettabili.
Il nostro viaggio attraverso questo cerchio è per la maggior parte dominato dalla distante "aula" di re Minosse, che giudica tutti gli altri dannati. Si tratta di un allontanamento netto rispetto al poema, dove il giudice si trova all'inizio del secondo cerchio, e questo è molto chiaro.

"Così discesi del cerchio primaio 
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia" (Inf. V, 1-4)

D'altra parte, se il secondo cerchio è quello dei lussuriosi, mentre il giudizio di Minosse riguarda tutti i dannati, e oltretutto il suo ruolo deriva dalla fama di saggezza che aveva nell'antichità, penso sia giustificabile la scelta di inserirlo alla fine del Limbo. La ragione principale, comunque, credo sia legata all'esperienza di gioco, alla necessità di un boss per il primo cerchio -Caronte non può considerarsi pienamente un boss, e il suo incontro si svolge comunque nell'Antinferno-, cui si lega il fatto che il secondo cerchio ha un boss pertinente al suo peccato.
Minosse si trova su quello che pare un colossale pilastro da cui si propagano radici (o tentacoli?), mentre il percorso nel Limbo ci porterà a girarci intorno fino ad arrivare.
Concept delle anime impalate,
presenti in tutto l'inferno.
Il primo nemico che troviamo è lo Schiavo esplosivo, il cui nome originale è Anger Minion, cioè schiavo dell'ira. Lo incontreremo costantemente, comporta meccaniche uniche che arricchiscono il gioco, in quanto si tratta di un piccolo demone dallo stesso aspetto cadaverico degli altri, ma dalla colorazione lavica, che non ha modo di attaccare se non quello di esplodere, morendo, infliggendo danni notevoli. Per evitare questo, si può afferrare con la falce e scagliare contro oggetti o altri avversari, risultando anche d'aiuto. Va chiarito se si tratti davvero di un'anima macchiata del peccato d'ira, che dovrebbe trovarsi molto più in basso, e forse per questo la localizzazione italiana l'ha indicato in altro modo. Pure, come tutti i nemici che incontriamo in queste fasi iniziali li incontriamo anche più avanti, questo qui sembra suggerire che sia possibile anche il contrario.
Lo schiavo esplosivo ci permette di entrare in un edificio, costituito da un corridoio su cui si affacciano stanze con demoni o trappole, in mezzo al quale ritroviamo la testa di Caronte! E questa, imperterrita, continua a declamare versi del III canto appartenenti all'insegna della porta: «Fecemi la Divina Podestate, e io eterno duro», che sembrano quasi spiegare il motivo per cui, anche decapitato, il demone sia vivo, e probabilmente è proprio quello che fanno. Una volta spinta la testa fuori dalla parete in cui è incastrata, cosa che ci permette di ottenere anime e un trofeo, essa precipita e di Caronte non sappiamo più niente.
Nel Limbo troviamo anche uno dei nemici più interessanti e disturbanti, che non per nulla ricorreranno per tutto il gioco -benché questo non abbia senso se non, appunto, ai fini dell'esperienza ludica-, i Bambini non battezzati (Unbaptized Babies). Data la particolare intensità della situazione, questo nemico è introdotto da una lunga scena, particolarmente voluta dal game director Jonathan Knight, ed è anche l'unico, ad eccezione dei boss, a ricevere una spiegazione da Virgilio.
L'incontro col bambino non battezzato.
Il primo bambino viene fuori da un braciere acceso, posto in una statua di pietra raffigurante una donna gravida distesa in posizione supina, al posto del ventre -quindi partiamo benone-, si desta come dal sonno, si alza e viene avanti con un'andatura traballante, come qualunque bambino piccolo. Solo che questo bambino ha la viscere in esposizione, lame di falce al posto degli avambracci e occhi bianchi senz'anima.

"Mi è venuto in mente con i bambini non battezzati che, sai, la miglior soluzione sembrava prendere una placenta e svolgergliela intorno, rendendola una figura organica." (Wayne Barlowe)
Durante la scena, il Dante narratore racconta «Ho veduto una fiamma, vincere un mezzo mondo di tenebra», riferimento a un verso del canto IV del poema, il canto del Limbo:

Schizzi di Wayne Barlowe.
"Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand’io vidi un foco
ch’emisperio di tenebre vincia." (Inf. IV, 67-69)

Diamo all'argomento il giusto spazio, poiché Dante's Inferno offre numerosissimi spunti di discussione sulle credenze medievali e sulla loro ricezione da parte dei moderni. La credenza che i bambini morti prima di aver ricevuto il battesimo restino sospesi nel Limbo -in quanto privi di peccato ma macchiati ancora da quello Originario- è più vicina a noi di quanto pensiamo, in quanto non ancora completamente abbandonata. Se il Limbo, che non è una credenza dogmatica, bensì quello che il cardinale e poi papa Ratzinger ha definito "ipotesi teologica" (Rapporto sulla fede, 1984), non è tema poi così sentito, molta più preoccupazione ha sempre destato il pensiero di quello che veniva chiamato anche "Limbo dei Bambini", soprattutto in epoche in cui la mortalità infantile, nei paesi cristiani, era molto alta. Per l'attuale Catechismo della Chiesa Cattolica, la dottrina prevede che in quei casi le anime dei bambini siano affidate alla misericordia di Dio, e molto più verosimilmente portate in Paradiso che altrove.
Concept art.
Ma a prescindere da tutto questo, l'incontro con siffatti nemici, che nelle fasi di sviluppo del gioco erano chiamati anche brats, cioè "marmocchi" o "monelli", pone i giocatori davanti a qualcosa di doppiamente tremendo. Da un lato la mestizia evocata dal pensiero della morte di un neonato; dall'altro, il disagio davanti all'obbligo -perché non si può fare altrimenti- di combattere contro tanti di questi neonati, che sono rapidi e aggressivi, fastidiosi dunque, e che strillano quando vengono colpiti. I neonati, insieme ai diavoli, agli schiavi e ai demoni della gola che vedremo più in basso, sono gli unici nemici che è possibile scegliere se assolvere o dannare.
Consapevoli dell'importanza e della violenza emotiva di questa scelta, gli sviluppatori hanno fatto in modo di renderla il più realistica possibile: hanno replicato i movimenti di un bambino vero attraverso il motion capture. Lo vediamo nel video "La creazione del pargolo", uno dei contenuti extra della versione base di Dante's Inferno, che mostra l'adorabile Milo Knight "recitare" la parte, un po' seguendo le istruzioni e un po', beh, no, divertendosi visibilmente e dando il suo prezioso contributo alla realizzazione del gioco (yesss, quel piccoletto è diventato il mio idolo!).

Dopo questo disturbante incontro, vi è quello con un'altra anima dannata, Elettra. Minosse è sempre più vicino. Dante passa per la sala che idealmente, dalle parole di Virgilio e dalla statua di Saladino, possiamo ritenere essere quella in cui si trovano le anime dei pagani virtuosi. Saladino storicamente muore nel 1193, mentre l'inizio del gioco è nel 1191. Non sappiamo quanto tempo passi tra la scena di Acri e il ritorno di Dante a Firenze -verosimilmente solo il tempo del viaggio-, ma questo è con ogni probabilità un errore.
Finalmente, grazie ad una piattaforma antistante a quella in cui si trova il giudice, Dante giunge al cospetto di Minosse. E finalmente possiamo parlare di lui, uno dei boss più emblematici e suggestivi di Dante's Inferno.


"Uno dei prerequisiti di Minosse era che la coda fosse parte integrale di questo personaggio, e il modo in cui si sarebbe avvolta intorno alla colonna centrale, penso, un numero specifico di volte, per indicare i livelli cui le persone sarebbero state assegnate." (Wayne Barlowe)

Se nella mitologia Minosse era un uomo di stirpe semidivina (figlio di Zeus e di Europa) rispettato per il suo giudizio, Dante non gli ha certamente usato particolare riguardo nel renderlo un demone ringhiante e avvolto in una lunga coda. In quest'ottica sembra quasi un naturale proseguimento l'ulteriore degradazione che il re di Creta subisce in questo videogioco, forse sempre per via di quel processo di trasformazione nel tempo di cui abbiamo parlato a proposito di Caronte. Minosse è un uomo bestia, un demone partecipe della natura dell'uomo e di quella degli animali striscianti. Se le sue numerose code rimandano ai serpenti, il ventre molliccio e il colore ricordano piuttosto una grossa lumaca, o altro mollusco.
Ha di fatto tre code, una più lunga, parallela a quella della sua controparte letteraria, e altre due al posto delle gambe, nello stesso modo in cui vediamo raffigurati giganti o uomini serpente vari nell'arte classica (qui un esempio). Sulla testa porta un copricapo che pare far parte del suo corpo, ai lati del quale si trovano statue con fattezze femminili, altro elemento di derivazione classica dovuto probabilmente al fascino di Barlowe per la storia. Intorno al collo porta poi una collana di dannati.
Concept art di Wayne Barlowe.
La sua caratteristica principale in questo gioco, oltre alla mole e all'aspetto di rettile-mollusco, è il modo completamente inedito con il quale esercita "l'atto di cotanto uffizio": oltre a non ascoltare minimamente le parole dei dannati, come avviene nel poema, e ad usare la coda unicamente per afferrarli, Minosse, cieco e con strati di pelle cresciutigli sulle orbite, si affida all'olfatto per individuare il loro peccato. Nel video che vediamo quando siamo al suo cospetto lo vediamo annusare l'anima di un suicida, e durante la battaglia grida spesso «Io fiuto i tuoi peccati!», ma quando lo vediamo da lontano, lungo tutto il tragitto del Limbo, scorgiamo chiaramente la sua lunga lingua biforcuta serpeggiare intorno ai suoi "imputati". Forse si avvale anche del gusto, ma è molto più probabile che come i serpenti, dei quali ha appunto la lingua, Minosse si avvalga di questa per distinguere gli odori ancora meglio: per chi non lo sapesse, i serpenti hanno sulla lingua un organo, chiamato organo di Jacobson, grazie al quale traggono informazioni olfattive dalle particelle che si trovano sulla loro lingua; per questo la fanno guizzare spesso fuori dalla bocca. Oltretutto, in molti serpenti questo olfatto così avanzato compensa una scarsità nella vista.
Individuato il peccato, Minosse adopera la sua coda per impalarlo su una ruota fatta di pali acuminati, che girando invierà l'anima nel cerchio giusto. Dante's Inferno non adopera i mezzi termini.

Quando fiuta l'arrivo di Dante, Minosse gli si rivolge riecheggiando i versi: «Chi entra nel mio doloroso ospizio?»
«Colui che ama Beatrice! Dimmi dove trovarla!»
«Fiuto solo un traditore. Un goloso. Un omicida.»
«...fiuta ancora!»
«Come ti permetti di replicare al giudice dei morti?!»
Il combattimento, di fatto la prima boss fight dentro l'Inferno, si svolge alternando due fasi, una in cui Dante evita i colpi delle code di Minosse che saltano fuori dal terreno, attaccandosi poi alle pareti laterali per evitare il suo ruggito (e gli sputi che lo accompagnano) e quindi colpendolo fintanto che ha ancora la testa vicina al terreno in modo da rivelare il suo punto debole, dei bubboni rossastri nel bassoventre (o qualunque cosa le lumache abbiano lì), e una in cui Minosse, con un ruggito diverso e molto più bavoso, fa accorrere demoni contro Dante. Uccisi i demoni, si riprende con le code.
Quando Minosse è stato danneggiato abbastanza, Dante lo finisce con uno dei quicktime event (momenti dal taglio cinematografico in cui le azioni si svolgono premendo il tasto indicato dallo schermo nel momento giusto) più brutali ed appaganti del gioco -purché si eviti di pensare al fatto che stiamo massacrando il giudice dei morti mentre stava normalmente eseguendo il suo compito, stabilito dalla volontà divina-: Dante gli afferra la lingua, la tira, evita i suoi tentativi di afferrarlo, e la infila tra le lame della ruota con cui il re invia i dannati nei cerchi inferiori. Poi, tirando via una parte del meccanismo, fa in modo che la ruota giri con più forza, sicché la faccia di Minosse viene tirata verso le lame e aperta in due, come un frutto spaccato. Il corpo senza testa affonda lentamente oltre la piattaforma, precipitando nel vuoto.
Abbiamo terminato il Limbo, e nella discesa sperimentiamo per la prima volta la bellezza del passaggio da un cerchio all'altro in Dante's Inferno. Scendere a piedi lungo un sentiero, come Dante e Virgilio fanno nel poema, non si confarebbe a un gioco d'azione hack 'n slash, dunque il percorso Dante lo fa scalando le pareti, che di cerchio in cerchio hanno un aspetto diverso. In tutti, comunque, l'arrampicata avviene attraverso colonne fatte di corpi (simil-pietrificati) intrecciati, oscillazioni con la falce tra i vari punti d'appiglio offerti, e più avanti, passando attraverso trappole e pesti volanti. Il tutto con il bellissimo tema "Arphe (The Descent)" nella quale una voce femminile spettrale, come di un'anima in preda all'angoscia, accompagna le acrobazie e gli sforzi fisici dell'impavido crociato.
Ogni discesa richiede di spezzare con la falce un monumentale catena che blocca la strada, calata dall'alto e di cui non si vede dove arrivi. Ogni volta che se ne spezza una, dall'abisso risale la risata di Lucifero, ma il perché lo scopriremo solo alla fine.

II cerchio: Lussuria

Benvenuti in uno dei cerchi più popolari, uno dei più ricordati e commoventi.
In Dante's Inferno, dove l'orrore deriva soprattutto dall'esasperazione delle parti del corpo umano, il cerchio dedicato alla brama della carne permette di esprimersi pienamente attraverso attributi sessuali e immagini che manifestino la corruzione del corpo, l'inquinamento di qualunque forma di amore. Sono soprattutto questo cerchio e il successivo a incarnare maggiormente la connotazione body horror di questo gioco.
Spieghiamo a questo punto in che cosa consiste questo sottogenere. Il termine body horror, per rifarci alla definizione del Collins Dictionary, indica:

"a horror film genre in which the main feature is the graphically depicted destruction or degeneration of a human body or bodies", cioè "un genere di film dell'orrore in cui il contenuto principale è la distruzione o degenerazione, rappresentata graficamente, del corpo o di corpi umani".

Maestro del genere è David Cronenberg, ma ottimi esempi sono costituiti dagli Hellraiser, dall'alieno de La cosa, e da tutte quelle sequenze nei film splatter in cui il corpo umano, tra una violenza ed un'altra, risulti in qualche modo alterato.
Nei videogiochi, la serie Dead Space, Resident Evil, o anche molte situazioni in cui ci imbattiamo in Bloodborne sono tutti perfetti esempi. Dante's Inferno risponde alla stessa premessa, e distorce la carne in modo molto diverso, poiché se in tutti quegli esempi le mutazioni hanno cause genetiche (qualunque sia la fonte dei geni), o sono state compiute da qualcuno, qui esse sono manifestazione di una corruzione spirituale, che il corpo si limita semplicemente a ricevere e a manifestare.

L'arrivo nel secondo cerchio riesce a rendere visivamente la descrizione di Dante.

"Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto." (Inf. V, 28-30)

Altri dettagli, invece no. La prima anima che incontriamo è quella di Francesca, e a dispetto delle romantiche parole della sua controparte letteraria, ella è separata da Paolo che incontreremo solo alla fine del cerchio. Certo, si tratta di adattare tutte le anime dei dannati alla stessa funzione, metterle isolate, nude ed identiche, per dare la possibilità al crociato di assolverle o condannarle, ma nel caso di Paolo e Francesca nessuno dovrebbe poter digerire completamente la cosa.
Francesca la incontriamo alla fine del burrone da cui siamo discesi, prima di vedere manifestato il cerchio. Esso è dato da uno sterminato spazio oscuro, e da un corridoio fiancheggiato da statue dorate che raffigurano corpi di uomini e donne che tendono gli uni verso le altre senza potersi toccare. Il serpente, simbolo principale in questo luogo, è in effetti animale spesso associato alla lussuria, ma la sua presenza qui ha anche un altro motivo.
Cleopatra in un trailer di Dante's Inferno.
Oltre quel corridoio, dove inizialmente c'è solo il vuoto, scorgiamo in basso una sorta di frana -a me sembra un gorgo, ma non si ode suono di acqua e subito dopo udiamo il rumore delle rocce che si frantumano- dalla quale, ecco!, emerge un'immane torre di babelica memoria, completamente nera come fosse fatta di pece. E quando ne è uscita già tanta parte da non vederne più la cima, un movimento su un lato, un corpo gigantesco anch'esso che si arrampica su di essa come in un incubo, un corpo violaceo, per la maggior parte nudo, umano, di donna. Quella è la regina Cleopatra.
Dopo aver domandato a Dante «Stai cercando qualcuno?», Cleopatra evoca un turbine, ruggisce, e sparisce continuando la sua arrampicata mentre una tromba d'aria si chiude intorno alla torre, come una parete impenetrabile, portando con sé le anime ignude che vengono sbattute contro le rocce: la bufera infernale.
Il contrappasso dantesco dei lussuriosi è dunque presente, e rappresentato, e così avverrà anche per la maggior parte dei cerchi successivi; se, concettualmente, tutte le anime di un cerchio subiscono la stessa pena, proprio come nel poema, -in quanto è ciò che suggeriscono le spiegazioni di Virgilio- visivamente noi individuiamo tre sorti diverse per cerchio: alcune anime che subiscono la pena giusta, in punti precisi dello spazio; anime rinchiuse nelle pareti, che parlano e si lamentano, ma che non subiscono la pena delle altre; anime di personaggi famosi che Dante può assolvere o condannare, e che stanno in disparte rispetto alle altre, senza una pena diversa dal rimanere in quel luogo a ripetere le proprie battute identificative per l'eternità.


La scena appena descritta ci introduce a un concetto già visto ma non ancora affrontato, quello del gigantismo. Per Wayne Barlowe si è trattato di una delle chiavi principali della sua costruzione di questo mondo:

Concept della torre.
"Il gigantismo è una cosa con cui mi piace giocare, e nelle mie immagini dell'inferno è stato aumentato quanto più ho potuto, nei termini della psicologia delle anime umane che si trovano imposto quel mondo. Cosa potrebbe esserci di meglio di far sentire minuscola [minimize, dunque anche ridurre di importanza] ciascuna di loro suggerendo che il mondo è pieno di giganti e altre visioni inquietanti?"

Avevamo già visto le dimensioni ciclopiche di Caronte e di Minosse, ora ampiamente superate da quelle di Cleopatra, e avanzando ancora incontreremo personaggi e costruzioni sempre più grandi. Wayne Barlowe, in Dante's Inferno (come anche nel suo Inferno) dipinge un mondo che non è stato creato a misura di uomo, ma per creature infinitamente più grandi, aliene rispetto a lui, e per la maggior parte distruttive, in mezzo alle quali i dannati sono gettati come moscerini. Una prospettiva certamente angosciante, che funziona ottimamente nell'accentuare la nullità delle anime dei dannati, le quali, da tutti questi accorgimenti, risultano sempre più ridotte a uno stato insignificante, e che al contempo racconta implicitamente altre storie, storie di un cosmo molto più antico dell'uomo, che è andato avanti indipendentemente da lui e la cui enormità si può intendere, lovecraftianamente, come del tutto altra rispetto alle sue possibilità di comprensione.
La torre sta lì come richiama alla torre di Babele, non tanto per il suo episodio in particolare, quanto come riferimento a Babilonia, che nella Bibbia è simbolo e origine di ogni depravazione, in particolar modo nell'Apocalisse. Cleopatra ricorda parimenti la Grande Meretrice (Apocalisse 17), e forse è in tal senso che le sue dimensioni sono tali, in quanto lei, a differenza degli altri guardiani e mostri giganti, è una dannata, non un demone o una creatura mitologica. Sul motivo di questa grandezza posso solo fare ipotesi come questa, ma quel che è certo è che si accorda al senso di smarrimento di questo cerchio e dell'Inferno tutto.


Per accedere alla torre, Dante adopera un meccanismo grazie al quale voltare contro di essa le scosse elettriche generate dalle statue: si apre un varco nella bufera, che "mugghia come fa mar per tempesta", e viene inghiottito al suo interno. Ed ecco comparire ai suoi occhi il nemico peculiare di questo cerchio, anch'esso presenza costante nei successivi, la Tentatrice lussuriosa (Temptress) Si tratta di un'anima lussuriosa cui è stata destinata un'altra sorte ancora, trasformata in una forma che concretizza il suo peccato; essa non sembra soggetta alle pene degli altri, e la vediamo occuparsi esclusivamente di attaccare Dante. Il confronto con i Ghiottoni del terzo cerchio, anch'essi anime dannate, che vediamo tormentare altre anime, suggerisce la possibilità che anche negli altri cerchi, in casi del genere, anime come queste si occupino di torturare le altre. La Tentatrice è simile a Cleopatra, con gioielli d'oro quasi in contrasto con il colorito cinereo e il marciume nel corpo, e si distingue per i lunghi artigli inanellati, con cui attacca più velocemente di qualunque altro nemico, e per la sorpresa che ha, beh, tra le gambe: un lungo tentacolo terminante in un pungiglione da scorpione, che essa è in grado di protrudere anche da una certa distanza.
Alcuni concept di Barlowe delle "whores of Babylon",
"puttane di Babilonia".
Se vi aspettate da me una conferma della vostra impressione
di pessimo gusto davanti a queste bozze, ho proprio paura
di deludervi.

Wayne Barlowe, nel realizzare concept, si è sbizzarrito sul tema del corpo dal quale vengono fuori organi come tentacoli o bocche di dimensioni tali da non poter essere contenuti nel corpo da cui li vediamo scattar fuori (altro esempio di body horror):
"Mi piace l'idea di qualcosa che sembra assolutamente impossibile che sia venuta fuori da quel corpo, quello si apre e c'è un assurdo, ridicolo, sai, organismo. Era davvero accattivante per me. Tu lo guardi e dici «Beh, non ho idea di come possa accadere», ma nel mondo dei film e dei giochi, può!"
La Tentatrice attacca con gli artigli e il pungiglione, è velocissima, letale, fastidiosa, e alterna i gemiti di eccitazione di quando compare e quando tira fuori la sua arma agli stridii degli attacchi.
Concept art di Jean Choo.



L'aculeo della Tentatrice.
Particolare della torre della lussuria.























Il resto dell'azione nel secondo cerchio si svolge all'interno della Torre. Circondato da statue simili a serpenti, a grovigli orgiastici, o falliformi (il tipo di cose che Giger avrebbe lodato), Dante adopera i meccanismi interni per attivare la piattaforma con cui ascendere verso la sommità. Al suo interno affronta i vari demoni scoperti finora, ed è inseguito da Cleopatra, che lo tormenta con le sue insinuazioni e le sue calunnie («Sei la triste e falsa parvenza di un uomo») mentre rimembra la sua gloria terrena («Ero la regina del Nilo» «Ho governato un impero meglio di un uomo»), finché, forte della sua mole, ella riesce a bloccare la piattaforma e ad affrontare Dante, ricorrendo anche a un trucchetto rimasto impresso nella mente di tutti i giocatori, ma anche degli spettatori occasionali: dalle sue proporzionate ghiandole mammarie, che al posto dei capezzoli hanno una cavità da cui sporge una piccola lingua, fa accorrere numerosi bambini non battezzati che raccoglie nelle mani dalle lunghe unghie, dorate e mangiucchiate, per farli piovere su Dante. Si tratta di un'altra sequenza disturbante, e poiché il valore del gioco deriva in gran parte da elementi del genere, ditemi quel che volete, ma lo accresce.

Dante riesce a farla allontanare voltando verso di lei due teste di serpente dorate che sputano fuoco proprio sulle ballonzolanti armerie succitate, terminando l'ascesa e avendo la possibilità di raccogliere collezionabili prima dello scontro conclusivo. Tra di essi, l'incontro con Paolo Malatesta e con la regina Semiramide.

Sulla sommità della torre, la narrazione procede con una scena importante: su un letto a baldacchino, l'ombra di Lucifero siede accanto ad una Beatrice vestita con un abito demoniaco.
Ho saltato alcune scene -né d'altra parte avrebbe senso raccontare qui ogni singolo dettaglio- per proseguire la mia analisi in modo ininterrotto, ma nel corso dei flashback abbiamo scoperto molto dell'antefatto di Dante's Inferno.
Prima della partenza di Dante per la crociata, lui e Beatrice avevano fatto un giuramento: benché non ancora sposati, lei aveva scelto di concedersi carnalmente a lui, che aveva giurato di astenersi totalmente dai piaceri della carne nel corso del suo viaggio in Terra Santa.
Lì, Dante aveva dato sfogo alle parti peggiori di sé, massacrando e versando sangue a litri sì per fanatismo religioso, ma soprattutto per amore della carneficina in sé -amore che si mostra pienamente nel modo in cui ora sta macellando i demoni-, e davanti alla decisione di re Riccardo Cuor di Leone, uno dei capi della Terza Crociata (unico nel gioco) di negoziare col nemico attraverso i prigionieri, il crociato aveva avuto un momento di sconforto. Di questo aveva approfittato una schiava, che gli aveva offerto sé stessa in cambio della libertà sua e del fratello. E lo sventurato aveva risposto.
Infranta la sua promessa, Dante ha tradito Beatrice, e lei, per un motivo che non sappiamo ancora, ma che si lega a questo tradimento, è costretta a seguire il diavolo. I due si adagiano sul letto e scompaiono. Appare, invece, Cleopatra.
«Così la ragazza ti ha mollato per Lucifero.»
«Gli errori sono miei, lei non merita questo! Devo risistemare le cose!»
«Lascia perdere quella cagna Dante. Quando questo losco affare sarà concluso, e la strada di casa riaperta per Lucifero, la sua parte in questa commedia sembrerà così...piccola.»
«Non capisco!»
«Certo che non capisci! Hai appena consegnato le chiavi del regno...e per cosa? Il petto di una schiava?»
«Maledetta!»
«Troppo tardi ormai, e ora diamo a Lucifero il tempo necessario.»
Così dicendo, Cleopatra si sporge e dalla sua bocca viene fuori un guerriero in armatura raccapricciante, anzi, fuso con un'armatura raccapricciante. Si tratta del suo amante, Marco Antonio.

«Mia signora, lascialo a me.»
«Come desideri...Antonio.»
 Il fu triumviro del I secolo a.C. è avvolto in un involucro nero su cui sono intrecciate linee dorate, culminanti in due mani attaccate al suo volto, che ne tirano la pelle, lasciando le palpebre sempre aperte e le labbra sempre ritratte, con occhi bianchi vitrei e arcate dentali sempre in vista. Porta un gigantesco scutum e un gigantesco gladius, e oltre alla sua forza e alle sue spaventose cariche, è in grado di far emergere spade dal suolo con una pestata di scudo, spade che inseguono Dante. Temibile anche il suo infiammare e lanciare la spada. Quando è ferito, Cleopatra lo cura magicamente, e se non ci si affretta a colpire la mano con cui resta ancorata alla piattaforma -mentre con l'altra esegue l'incantesimo- si perderanno i frutti del combattimento. Cleopatra, inoltre, è in grado di inviare piccoli vortici contro Dante, della stessa natura della bufera infernale: le tempeste della lussuria. Feriscono Dante, ma se raggiungono Antonio lo proteggono come un'aura. Potremo fare la stessa cosa anche noi una volta vinta la battaglia, ottenendo "aura nera della lussuria" come incantesimo.
Quando Antonio è vinto, Cleopatra assume per la prima e unica volta dimensioni normali, sostenendolo nei suoi ultimi attimi. Le ultime parole dell'ex console prima di, beh, morire, sono «Dicevi che saremmo stati insieme per l'eternità». Poi, Cleopatra, guardando verso l'alto e rivolgendosi a Lucifero, esclama «Non doveva finire così, avevamo un patto!». Quindi si gira verso Dante, per tentare, ancora una volta, di salvarsi -anzi, di vendicarsi- con ciò che sa fare meglio: la seduzione. Ne nasce un quick time event in cui Dante, dopo essere stato gettato a terra (non senza prima averle dato un bel pugno), finge di cedere, in modo da avere il pretesto per piantarle la falce nel fianco. E tanti saluti Cleopatra.
Mentre Caronte è immortale, e probabilmente anche Minosse, Cleopatra e Antonio sono anime; penso che la loro uccisione sia stato come la condanna che infligge a quelle dei vari personaggi, e che dunque le abbia consegnate all'oblio e al nulla.
Quanto alle loro parole, le ho sempre interpretate secondo il senso che Lucifero e Cleopatra avessero fatto un patto, un patto che garantiva a lei e ad Antonio la possibilità di vivere sempre insieme -e non dimentichiamo che lui era dentro di lei- in cambio dei loro servigi come custodi del cerchio (o semplicemente per affrontare Dante, ma penso che il patto fosse molto più antico, e che nei mille anni passati dalla loro morte qualcosa l'abbiano pur fatta). Le parole di Cleopatra a Dante, invece, suggeriscono che ci sia molto di più rispetto alla semplice promessa di Beatrice, ma di cosa si tratti lo scopriremo solo alla fine. E lei è l'unico personaggio che accenni a questo mistero.

Il cerchio si conclude con la discesa della piattaforma dentro la torre, torre soggetta a una frana -causata probabilmente dalla lotta- e con la lotta contro i soliti nemici. Infine la piattaforma è distrutta, la torre rimane (almeno quella) e Dante, grazie alla falce, raggiunge una nuova strada di pietra, certamente più in basso rispetto a quella da cui è arrivato, più vicina al cerchio successivo. Parla con Virgilio, che cita l'elenco dei lussuriosi del V canto, e intraprende la sua seconda discesa.

III cerchio: Gola

Siamo giunti a quello che ritengo il cerchio artisticamente più felice, dove il body horror raggiunge l'apice e dove si trovano il boss e i nemici più disgustosi. Il terzo cerchio, il cerchio della Gola.
Mentre scendiamo lungo le pareti, provenendo dal secondo cerchio, notiamo a un certo punto delle grosse pustole che emettono getti di fuoco, un nuovo ostacolo sul nostro percorso. Tra le rocce scorgiamo lunghe appendici, e vediamo sempre più pustole. Ed ecco, il paesaggio cambia, e dalla roccia passiamo a una superficie rossa, carnosa, ruvida, soprattutto viva. Il terzo cerchio è simile all'interno di un gigantesco essere vivente, un po' come si concepiva l'inferno stesso in certe raffigurazioni medievali e rinascimentali (e qui torniamo alla Bocca dell'Inferno). E ciò è reso nella maniera più disgustosa possibile, che naturalmente molto deve alle idee di Barlowe.
"Il livello della Gola è stato assolutamente stupefacente, e una bella resa dei miei schizzi venuta alla luce."
È tutto incredibilmente dettagliato, tra corpi, vermi, occhi, bocche e denti in ogni dove.
Lungo la discesa vediamo, sul fondo, una visione grottesca come mai prima: un corpo enorme, costituito da tre elementi, due braccia e la cosa che vi si trova in mezzo, una massa ricoperta di pelle su cui scorgiamo le sagome di due occhi e due narici. La cosa ha un'ampia apertura sul davanti. E non si muove.
Giunti infine ad un checkpoint, Virgilio ci spiega che in questo cerchio la pioggia e il fango fiaccano le anime tristi per la dannosa colpa della gola. Dante domanda dunque «Cos'è quella bestia laggiù?».
«Cerbero, il gran vermo! Come quel cane che abbaiando agogna, e si quieta dopo aver morso il pasto, cotal si fecero le facce lorde de lo dimonio Cerbero, il cui abbaiar le anime scuote» risponde il poeta.
È una linea di dialogo che ho sempre contestato, perché adopera un passo narrativo in funzione descrittiva, un passo oltretutto (Inf. VI 28-33, Dante racconta che Cerbero, dopo che Virgilio gli ha gettato della terra in bocca, si è quietato). Il senso dovrebbe essere che in questo momento Cerbero ha ritirato le sue facce -che dobbiamo ancora vedere. Così, Dante percorre l'ultimo tratto di discesa e atterra sulla distesa davanti alla bestia. La musica diviene frenetica, il campo si restringe sul volto sconvolto di Dante, quindi vediamo la cosa centrale, che termina in due grosse labbra carnose, agitarsi e fare fuoriuscire tre lunghi colli sormontati da altrettante teste abominevoli, rosse, nude, senza occhi, simili a vermi, con enormi dentature umane e orribili barbe nere. Ciascuna contornata da teste più piccole, sporgenti da aperture poste intorno alle mascelle e dotate tutte di piccoli colli. Ai lati dei colli maggiori, come macchie. pustole bianche. Dante è al cospetto del gran vermo.
Ora, dato che Cerbero è indubbiamente il mostro più caratteristico di Dante's Inferno, e che a me fa impazzire, diamogli la giusta celebrazione all'interno dell'Anima del Mostro.

"Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.

Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra." (Inf. VI 13-18)

L'aspetto di Cerbero era probabilmente quello meglio definito nella tradizione, tra tutte le creature mostruose del poema di Dante, e anche quello con meno variabili. Insomma, il margine entro il quale era possibile mostrare qualcosa di nuovo, senza rinunciare al vecchio, era minore che per altri mostri.
Per questo gli artisti di Dante's Inferno l'hanno completamente rivisto.
Primi concept.
"Questo [lo vedete a destra] è stato uno dei primi aspetti per Cerbero. È stata un'esplorazione divertente per me, è un personaggio immenso adesso, e il concetto del suo rimettere le varie bocche, penso possa davvero essere stato il primo tentativo che, in un certo senso, è evoluto in quello che è venuto fuori alla fine." (Wayne Barlowe)
Concept successivo.
La forma delle teste inizialmente è stata più bestiale e meno deforme, forse più vicina ancora all'idea canina di partenza e alle forme aliene che fanno parte del background di Barlowe. L'idea di basare l'incontro sulla sola parte anteriore del suo corpo è ravvisabile in tutti i concept che potete vedere, al punto tale che nel secondo il suo corpo è costituito solo da essa, un mezzo torso con "braccia" e ventre da obeso, sorretto posteriormente da quella che parrebbe una grossa lingua e con arti inferiori atrofizzati. Già qui si vede la "faccia" che resterà inalterata fino a rimanere nel gioco, e si ravvisa la forma definitiva delle teste. Questo concept mi piace particolarmente perché affianca alla grottesca mostruosità un crociato con una spada, suggerisce l'incontro e il viaggio di un protagonista privo di quell'estetica horror di cui ho parlato nel post precedente, e contemporaneamente meglio rispecchiante il suo tempo.
Concept con la versione definitiva.
Versione colorata.
Nel terzo concept Cerbero è ormai quello che vediamo nel gioco, e di questo, Barlowe ha realizzato anche una versione a colori. Osserverei anche un dettaglio che ho notato giusto in questi ultimi momenti, contemplando le immagini: vedete le creste dietro le tre teste di Cerbero? Ecco, se da una parte non sembrano una caratteristica tipica dei vermi, né tantomeno dei cani, mi ricordano un animale con cui Barlowe ha avuto a che fare almeno una volta, il Protoceratops, un dinosauro dotato di un collare come gli altri ceratopsidi, di cui è considerato il progenitore, e che nel suo caso è di proporzioni, rispetto al resto del capo, più vicine a quelle dei collari delle teste di Cerbero.
Cerbero nel primo trailer.
La versione nel gioco presenta come differenza, rispetto agli schizzi visti finora, ma anche alla versione di Cerbero mostrata nel primo trailer di Dante's Inferno, due differenze. Il colore della parte inferiore dei colli, più chiaro di quella superiore, e un piccolo dettaglio, per me geniale, negli arti. I concept mostrano un corpo sostanzialmente nudo, nudo e flaccido, mentre nella versione del gioco individuiamo, in corrispondenza del polso, una linea e una differenza di colore, come se ci fossero delle maniche. Il tutto suggerisce, piuttosto che un dannato colto nel suo disgustoso abuso, un ghiottone da taverna riverso sul banco dell'oste, vestito con una tunica bianca rimasta sozza di grasso e sudore. Vi sembrerà assurdo, ma, almeno agli occhi di chi guarda certi dettagli con più attenzione, una differenza così minima restituisce sensazioni superiori.
Cerbero attacca mordendo e sbattendo i suoi colli contro Dante, e adoperando le mani per afferrare fango e dannati, mangiarli, e poi vomitarli contro Dante, attraverso colpi mirati simili a quelli di un serpente che sputa il veleno -ma preceduti da conati inconfondibili. Dante deve colpire per prime le teste laterali, aiutandosi con dei mucchi di fango posti a terra che, se aperti, emettono un getto di fuoco. Col giusto tempismo, le teste arriveranno lì prima che il fuoco venga fuori, colpendole senza possibilità di difesa. Con dei quick time event, Dante usa la lama della falce per pungolare uno dei punti bianchi sui colli, e dunque li recide. Rimasto l'ultimo collo, la sequenza finale mostrerà questo mangiare Dante mentre questi si trova a mezz'aria, e quindi, raggi di luce fuoriuscire dalle sue bocche laterali, mentre Dante adopera la croce nella sua bocca, portando infine la testa a scoppiare. Il suo corpo pesante si accascia rumorosamente, e Dante prosegue camminando sulla sua faccia dorsale.
Ingresso nel cerchio dei golosi, da notare la pioggia.
Siamo adesso in pieno cerchio dei golosi. Il contrappasso originale per le anime era stare immerso nel fango sotto una pioggia di neve e grandine maleodoranti, e un accenno lo vediamo durante l'inizio della via che segue il mostruoso guardiano, ma non più in seguito. Questa è anche la prima volta che vediamo un cerchio come una vasta distesa dove quasi tutto è sullo stesso piano, e dove vediamo elementi in lontananza, tra cui grossi vermoni che aggrediscono anime. E presto uno di questi vermoni, un Verme ingordo (Gorger Worm) attacca Dante emergendo improvvisamente dal suolo e tentanto di schiacciarlo tra le sue fauci, anch'esse dotate di denti umani. Ogni cosa in questo cerchio riflette l'immagine della bocca umana, la via per il passaggio di scriteriate quantità di cibo, assunto come scopo ultimo della vita di una persona, che conduce in questo cerchio infernale. Dante si libera dalla morsa piantando per bene la lama della falce nel palato della creatura, ma affrontarne una è compito spiacevole e nel corso del gioco ne capiteranno anche tre contemporaneamente.
Al di là della valenza simbolica di ingordigia e di marciume, e della funzione di contribuire al castigo delle anime, questi vermi possiamo immaginarli come parassiti, o agenti saprofagi, dell'ipotetico essere vivente che costituisce il terzo cerchio dell'Inferno, o ancora, di quella parte del sistema inferno che ha assunto la consistenza organica in relazione al peccato che viene punito al suo interno. Il terzo cerchio ospita anche una nuova varietà di non morti, gli Schiavi della gola (Gluttony Minions), e le anime che incontriamo sono l'immancabile Ciacco, che dà anche il nome alla traccia della soundtrack "Ciacco the Pig", e Clodia, la Lesbia catulliana, assente nel poema, della quale, nel glossario del gioco, viene detto che lasciava dietro di sé una lunga scia di marciume (ah Cicerone, questo ti avrebbe fatto divertire!).
La parte che mi piace di più sono però le teste coniche, un elemento "paesaggistico" presente anche nei concept di Barlowe, privo di particolare funzione se non contenere una Clodia e un'altra delle fontane. Anche queste teste, dotate di occhi e fattezze scheletriche emergenti dagli strati di carne rancida, sono dotate di grandi bocche umane.
Alla fine del percorso, che tolta la boss fight e la peculiare sezione finale di cui sto per parlarvi, è decisamente corto -per mio sommo dispiacere- attraversiamo un portale curioso, inserito in una cornice argentata elegante. Dante giunge in un luogo completamente diverso, una sorta di cella di mattoni dove l'atmosfera è permeata di luce bianca. È la Sala dei Golosi (Hall of Gluttons) dove si trovano i golosi di più alto rango -invenzione del gioco e naturalmente difforme rispetto al concetto di assoluta uguaglianza dei dannati-, la cui punizione specifica è di essere divorati da..questa simpatica canaglia.

 I Ghiottoni, certo tra i nemici più rappresentativi del gioco, anime così pregne del loro peccato da aver perso qualunque sembianza di umanità e trascorrere l'eternità come strumento di punizione per le altre anime. Sono obesi, con una testa più animalesca che umana, due piccole teste ai lati -che invece sono più umane, e che forse sono un riferimento a Cerbero- e due bocche al posto delle mani. Il cibo passa attraverso sia queste che quella centrale, dalla quale, pure, torna indietro, come attacco a base di vomito da non ignorare. Sono estremamente lenti, anche come tempi di reazione, ma quando rincorrono Dante per mangiarlo, non sono affatto piacevoli. Sono tra i nemici che è possibile assolvere o condannare, e in quest'ultimo caso, Dante esegue una delle manovre più brutali, ficcando loro la falce in bocca e tirandola fuori tagliando il grasso ventre dal basso verso l'alto.

Concept art.
Due ghiottoni che divorano dannati.




In questa sala Dante incontra l'ombra di Lucifero, che gli rivela un'altra parte del puzzle, la morte di Beatrice e di Alighiero: a ucciderli -interrompendo un probabile tentativo di stupro da parte del futuro suocero- è stato un soldato arabo, lo stesso che ha pugnalato Dante all'inizio del gioco. Si tratta del fratello della schiava che si è concessa a Dante in cambio della libertà di entrambi, e dopo aver ucciso Beatrice egli dichiara, nella visione, «Non era mia sorella. Era mia moglie».
Dante, con questo nuovo rimorso, dovrà uscire dalla dimensione della Sala dei Golosi, un luogo à la Carroll dove sopra significa da qualunque parte, simile a uno scenario onirico o assurdo dove passare attraverso degli specchi permette di muoversi su pareti disposte in vari sensi rispetto alle altre.
Quando Dante riesce anche a fare questo, inizia una nuova discesa. Le pareti hanno ancora un aspetto organico e sono piene di trappole di fuoco. Infine, cambiano di nuovo, portandolo in un abisso di pietra nella quale scorrono vene d'oro.

IV cerchio: Avarizia e prodigalità

Il quarto cerchio, convenzionalmente chiamato degli avari, ma in cui sono puniti anche i prodighi, si basa sull'oro. Benché l'artwork qui sopra mostri anime che trascinano pesanti macigni, come nel poema, nel gioco la loro pena è del tutto diversa, e i dannati sono puniti con l'immersione in vasche piene d'oro fuso.
Il nemico di questo cerchio è Alighiero, il padre di Dante, finito all'Inferno per la sua avidità, per quanto la presentazione che ci viene fatta suggerisce che anche tra i golosi o i lussuriosi sarebbe stato assolutamente a suo agio. Non servirà qui dire che l'Alighiero storico non ha nulla a che spartire con questa canaglia. Il mio cruccio maggiore, e vale per una situazione che ricorre identica qui e nel settimo cerchio, sta nel fatto che il guardiano presente nel poema, figura perfettamente associata al peccato e che offriva molte possibilità di interpretazione all'interno del gioco, sia in un certo senso assente. Ridotto a una statua, cede il posto di boss e di personaggio a un altro, una figura che appartiene alla storia personale di Dante, appositamente inventata per il videogioco.
Anche in questo cerchio troviamo un nemico specificamente associato al suo peccato. Si chiama "Avaro-prodigo" (Hoarder-Waster) ed è costituito da due corpi legati insieme, idealmente quello di un avaro e quello di un prodigo, che ruotano una pesante mazza d'oro al punto di girare come delle trottole, estremamente pericolosi e tra i nemici più ostici, a meno di riuscire a impedir loro di iniziare a girare o di essere bravi a parare e contrattaccare.
Compare anche un nuovo tipo di schiavo, lo Schiavo dell'Avidità (Greed Minion), più scattante degli altri e dedito a una tecnica combattiva di mordi e fuggi, e compare anche il secondo tipo di diavolo, il Diavolo Trono, coperto da un'armatura dorata. I dannati sono Tarpeia, Gessio Floro e Fulvia.
Percorrere il quarto cerchio significa passare attraverso numerose trappole, è uno dei più lunghi e impegnativi, per certi versi combina scorci infernali "tipici", secondo l'idea di un sottosuolo pieno di metalli preziosi, e scorci peculiari basati su ingranaggi, ruote e tecnologia.
Concept art di Alighiero.
Parte del cerchio è disposta intorno alla gigantesca Ruota della Fortuna, in merito alla quale Virgilio spiega a Dante la natura della Fortuna, rifacendosi ai versi del poema (più in particolare Inf. VII 85-96), mentre altra parte è posta intorno alla statua di Pluto, che ricordiamo essere il dio greco e romano della ricchezza, raffigurato come un gigante dal complesso ed elaborato copricapo. Quando gli passiamo vicino, dalla statua fuoriescono le famose, misteriose parole «Pape Satàn, pape Satàn aleppe» (Inf. VII 1).
Adoperando nuovamente una bestia asteriana per superare il tragitto, giungiamo infine davanti ad Alighiero, dando inizio al combattimento contro di lui.
Alighiero da vivo era grasso per via dei suoi insaziabili appetiti, è questa caratteristica è deformata in un ancor più ampio ventre in cui la cassa toracica deformata è in evidenza. Intorno al collo porta catene spinate, per certi versi ricorda le collane dorate usate come dimostrazione di ricchezza e di potere da certi individui dei giorni nostri, sull'occhio attraverso il quale è stato ucciso ha una macchia di sangue, e la croce che ha causato la sua morte la adopera ora, in formato gigantesco, come arma, con cui mena colpi a Dante se si avvicina e lancia piccole copie rotanti di sé stessa, che alla fine della boss fight diventeranno un incantesimo per Dante, con il nome di "Peccati del padre" -espressione che Alighiero stesso adopera quando usa tale tecnica. Ha stracci rossi che ricordano il suo potere, ma anche il suo vizio, e curiosamente, se nel concept ha i capelli e la barba che aveva da vivo, nella versione del gioco manca di quest'ultima e ha la strana caratteristica di non possedere più i denti, e di una rugosa bocca da vecchio.
Alighiero nel gioco.
Al termine del combattimento, durante e dopo il quale l'uomo mostra costantemente i segni della sua abiezione e dell'immenso disprezzo verso il figlio, Dante, pur consapevole di ciò, affermando di non voler essere dannato come lui, lo assolve. È la prima assoluzione di trama nel gioco (possiamo dire che tutti gli altri boss sono stati condannati), e avrà un suo peso nel finale. Al contempo, la scena dimostra l'estrema arbitrarietà del giudizio di Dante, poiché, sulla base di quello che vediamo, Alighiero è un personaggio che mantiene la sua natura fino alla fine.


V cerchio: Ira (e accidia)

Il quinto cerchio è forse il mio preferito dal punto di vista visivo. È costituito interamente dalla palude stigia, come nel poema, dove sono immerse le anime degli iracondi. Come nel cerchio precedente, qui in realtà sono punite ben due categorie di peccatori, e nel poema immersi nello Stige si trovano anche gli accidiosi, ma nel gioco non se ne fa menzione alcuna.
Da un certo punto di vista, però, qualche segno c'è. Se ricordate il discorso sugli umori, affrontato anche qui ne L'Anima del Licantropo, avrete presente come l'accidia, presso gli antichi, derivasse da un eccesso di melancholia, l'umore nero. Questa palude ha un aspetto estremamente triste, piuttosto che agitato per via della collera (anch'essa un umore, se ricordate) delle anime iraconde, e vi si trovano così sia zone in fiamme, in particolare la torre che fa da segnale al nocchiero Flegiàs, che aree lagunari estremamente cupe. Inoltre, altra caratteristica che mi piace di questo cerchio, esso è dominato da due colori, il verde delle acque dello Stige e dell'aria mefitica che aleggia intorno alla terra e ai rovi, e il rosso di alcune zone. Anche questo mi rende propenso a vedere un accenno anche agli accidiosi.
In questo cerchio compare il Guardiano del fuoco (Fire Guardian), un altro nemico incorporeo avvolto da uno spesso strato di fumo, da "spegnere" con la croce. I dannati sono Budicca, Ecuba, e naturalmente Filippo Argenti (l'unico presente nel poema, e anch'egli, come Paolo e Francesca o Ciacco, posto anacronisticamente in quanto il gioco è ambientato nel 1191 o poco dopo).
Ora, il guardiano del quinto cerchio è Flegias, che nel poema manovra una barca con la quale si può supporre che getti le anime di iracondi ed accidiosi nello Stige. Egli non viene descritto affatto, ma nella mitologia greca era un semidio figlio di Ares e della ninfa Crise.
Nel gioco, ci troviamo davanti alla sua barca, una piccola zattera circolare, e la utilizziamo per navigare l'ultimo tratto di Stige, mentre ascoltiamo il tema "Crossing the Styx", il mio preferito. Ecco, il tema presenta un graduale incalzare, determina una tensione data sia dalle voci che da un suono come di catene che si agitano, ma non ci è chiaro a cosa ci vogliano preparare finché la zattera non si ferma davanti a un tratto di terraferma. Allora, la zattera si solleva. E scopriamo che si trattava della testa di un gigante con il corpo lavico. Questi è il Flegias di Dante's Inferno.

Flegias non lo affrontiamo mai direttamente -anche se Dante è una testa calda e non si farebbe troppi problemi-, ma costituisce un elemento di minaccia per una sequenza non breve, nella quale passiamo attraverso quelli che paiono dei forti in rovina, posti come avanguardia rispetto alla ormai vicina città di Dite, e combattiamo numerosi nemici mentre Flegias cerca di colpirci, e in ciò risulta spesso utile, abbattendo i nemici al posto nostro.
Terminata la scena, c'è una nuova, lunga cinematic, nella quale finalmente ci viene svelato il motivo del rapimento di Beatrice. Lucifero, in forma spirituale, le era apparso durante l'assenza di Dante e aveva messo alla prova la sua fiducia in lui, scommettendo con lei che, se avesse scoperto che Dante non aveva mantenuta la fedeltà giurata, la di lei anima sarebbe stata sua. E anche questa sventurata aveva risposto.
In una pregevole citazione classica, Lucifero porge a Beatrice una melagrana, simbolo degli inferi. Beatrice ne mangia i semi e si trasforma in regina dell'Inferno. Ormai lei appartiene a Lucifero.
Dante è scoraggiato, ha perso il motivo per cui procedere. Ma anche così, non si arrende e avendo ancora le sue forze, spinto dalla rabbia ad andare avanti piuttosto che indietro, lo fa: raggiunge la testa di Flegias e vi configge dentro la falce, prendendo il controllo del gigante.

VI cerchio: Eresia
Il sesto cerchio è costituito da Dite, la gigantesca e maestosa città dei diavoli, la cui cinta di mura racchiude tutto il Basso Inferno.
Dante attraversa il ponte sopra Flegias, e adoperando i colpi e il soffio di fuoco del gigantesco demone, semina distruzione nell'androne della città infernale, finché l'ennesimo crollo da lui provocato si risolve in una frana, dentro la quale precipita anche Flegias. E un altro funzionario dell'Inferno è andato.
A Dite sono puniti gli eretici, posti in bare piene di tizzoni ardenti. Queste sono presenti per gran parte del cerchio, che risulta così fedele al testo. Il sesto è un cerchio dominato dal fuoco, lungo e pieno di trappole come il quarto, e i suoi nemici caratteristici (teniamo a mente che nel quinto cerchio non ne abbiamo incontrati) sono gli Stregoni eretici e quelli pagani (Heretics e Pagans), estremamente fastidiosi per via del loro uso di incantesimi grazie ai quali rendono invulnerabili gli altri nemici. Fanno qui la loro comparsa anche i Demoni (Fiends), la versione potenziata delle Pesti, temibile per via del raggio congelante che lanciano dal pungiglione. La parola inglese fiend comporta sempre difficoltà di traduzione, nel momento in cui abbiamo nello stesso contesto altri nomi per indicare i demoni. Fiend si lega al significato di nemico in anglosassone (fēond), come diavolo ha lo stesso significato in greco e da lì è penetrato all'inglese dandoci devil. L'inglese presenta dunque un termine in più. Traducendo come "diavoli" i tre tipi di angeli caduti, che nel gioco originale si chiamano Demons, la localizzazione italiana ha potuto evitare eventuali confusioni con la traduzione di Fiend in "demone", ma ciò è stato possibile perché in Dante's Inferno non sono presenti creature chiamate Devils in originale.
I dannati con un'identità sono l'Imperatore Federico II, Cavalcante de' Cavalcanti e Farinata degli Uberti (tutti anacronistici). Non sono presenti boss.

VII cerchio: Violenza
I tre gironi in cui è suddiviso il settimo cerchio, ognuno dei quali punisce uno dei modi della violenza, sono tutti presenti e ben distinti all'interno del gioco. Come per Pluto, anche il Minotauro, guardiano del cerchio tutto, è ridotto ad una statua. Possiamo solo immaginare quanto riccamente sarebbe stato reinventato e inserito come boss, benché le bestie asteriane abbiano già le fattezze di un minotauro.
I girone: Flegetonte
Il Flegetonte (Φλεγέθων, Phlegéthōn, che significa "fiume del fuoco"), è descritto nella Commedia come fiume di sangue, un sangue bollente in cui sono gettate le anime dei violenti contro il proprio prossimo. Il Flegetonte del gioco rende l'idea, tranne che per un dettaglio, e cioè che anche qui si trovano delle statue in sostituzione di esseri che nel poema erano vivi -o comunque animati- e prendevano parte alla punizione dei dannati, ovvero i centauri. In effetti, dato il ricorrere di questa situazione, ho il sospetto che a un certo punto la produzione abbia dovuto tagliare qualcosina per non esagerare con i costi. Qui è anche dove incontriamo per la prima volta gli Arcidiavoli, che diventeranno sempre più abituali di qui alla fine del viaggio. Sono dotati di due lame come quelle dei Diavoli Guardiani, hanno quattro corna e soprattutto due ali, dunque sono gli unici diavoli volanti e in effetti gli unici nemici volanti escluse le pesti e i demoni. Oltre a incendiare le spade, sono in grado di emettere un potente raggio di ghiaccio, che oltre a infliggere danno può paralizzare Dante. Questi ha la possibilità di tagliare loro le ali dopo averli indeboliti, riducendoli a uno stato simile a quello degli altri diavoli. Il fatto che tra questo cerchio e il precedente siano comparsi nemici che adoperano l'elemento del ghiaccio sembra quasi preannunciare la discesa nel Cocito, il lago ghiacciato dell'ultimo cerchio. Solo che nel Cocito, tranne appunto i nemici già visti, non sono presenti creature che lo adoperino, nemmeno lo stesso Lucifero.
II girone: la Foresta dei Suicidi
Parte più riuscita, una foresta raccapricciante fatta di alberi derivati dalla trasformazione delle anime.
III girone: i violenti contro Dio, la natura e l'arte
Simile a un deserto su cui piove una pioggia di fuoco. Vi si trovano molti crociati.

VIII cerchio: Fraudolenza

Le dieci bolge sono la parte peggio adattata del gioco.
Alla fine del cerchio incontriamo un angelo.
"Quando ho iniziato ad armeggiare con gli Angeli, loro (gli autori) volevano che sembrassero leggeri eppure potenti. Curve spezzate e quel genere di linee funzionavano per me, quando si trattava degli Angeli, in diretto contrasto con le figure e le forme più intricate che erano nell'inferno." (Wayne Barlowe)

IX cerchio: Tradimento

Sul lago Cocito congelato, il nostro incontro con i giganti e, infine, con Lucifero.

Bibliografia

Le informazioni presenti nell'articolo derivano dalla versione di base del gioco Dante's Inferno (Electronic Arts 2010). Il sito del gioco è https://www.ea.com/it-it/games/dantes-inferno
Alcune informazioni provengono invece dai contenuti della Divine/Death Edition dello stesso gioco.
Per redigere l'articolo ho consultato anche il sito:
Dante's Inferno Wiki
Il sito ufficiale di Wayne Barlowe, anch'esso fonte per questo articolo:
https://waynebarlowe.wordpress.com/
Molti concept sono dell'artista Jehan Choo, cui vi rimando parimenti:
https://www.jehanchoo.com/
Le citazioni della Commedia di Dante Alighieri provengono da Wikisource:
https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia