giovedì 16 giugno 2016

Preghiera della notte #3

Fino a qualche giorno fa, per me c'erano due Orlando.
Il paladino dell'Imperatore Carlo, dal cui costato sgorgano i due fiumi che tanto hanno reso alla letteratura francese e quella italiana.
Il romanzo di Virginia Woolf, che non ho letto ma che ho scoperto grazie ad un adattamento teatrale visto anni fa. Parla di un uomo che ricerca la poesia e che durante un viaggio, novello Tiresia, si trova trasformato improvvisamente in una donna.
Ora, dimmi tu, Notte, in che modo è accaduto che a questo schema così semplice e così poetico si sia aggiunto un terzo Orlando.
È vero, si parla di sangue, ma questo sangue non ha reso niente a nessuno.
C'è una strana ironia se consideri Orlando come in parte uomo e in parte donna, e pensi che fra le persone che si erano riunite in quel locale qualcuno poteva sentirsi similmente. Ma non ti riprova che Orlando alla fine della storia si sposi e trovi la felicità, mentre sulla loro il tendone si sia chiuso senza neppure un motivo?

Onestamente no, non serve che commenti, non direi nulla di nuovo. L'umanità sta commentando abbastanza, e tu, Notte, che eri prima che fosse la luce e prima che iniziassero le altre cose, saprai meglio di me non solo cosa dicono, ma soprattutto cosa pensano.
Ma tu, che sei anche la madre di ogni cosa infelice, dal Dolore alla Violenza alla Morte stessa, che hai partorito dal tuo grembo la nefandezza e la crudeltà, certo adesso non ti starai curando più di tanto della morte delle anime su cui hai steso il tuo sudario, come lo stendi sulle molte migliaia che i tuoi figli rapiscono sulla terra per te.
Tu stai pasteggiando sul male che quello che è accaduto ha alimentato in quelli che adesso ne parlano, sulla bestialità che prende il sopravvento in questi casi.
Perché quando si è trattato di Parigi, il rapporto tra il carnefice e la vittima è stato palese, e poiché il carnefice era il barbaro esterno al mondo civilizzato e pacifico, lui e tutto il suo mondo sono stati ancora più demonizzati di quanto lo fossero già.
Adesso invece, con tutto il male possibile nei confronti del carnefice, che tra le origini e il presunto orientamento sessuale doveva essere un signor demone, uno con la patente, adesso anche le vittime sono il nemico. Il loro è un altro mondo ancora, straniero a quello dei buoni, i cui abitanti, che pure vivono tra i buoni, ogni tanto si riuniscono per inneggiare alle loro pratiche come durante un grande sabba. La brava gente magari finge di sopportare, di non avere niente da ridire, d'altra parte "basta che non lo ostentino", "basta che lo facciano lontano da me". Ma sotto sotto, nel profondo dell'anima, in abissi che solo tu, madre e sposa dell'abisso, sei in grado di sondare, essi continuano a provare disgusto, ad attendere che qualcosa dia ragione al loro odio, al loro volere gridare che non sopportano che il diverso valga quanto loro. Ed ecco la grande verità, annunciata dagli eredi del mercante fenicio Tamo che sulle rive di Paxos sentì dire che il grande dio Pan era morto: "Dio è intervenuto e li ha puniti, se lo sono meritati". Nel silenzio qualcuno mormora il suo assenso, qualcun altro aspetta che riaccada. E tanti passi fatti da quella parte buona dell'umanità, quella su cui tu, Notte, più duramente ti abbatti scagliando le tue prove e le tue fatiche per vederla superarle, vengono insozzati dal fango.
Tu, Notte, non sei madre degli uomini, altri hanno messo al mondo loro, altre cose hai messo al mondo tu. Ma sei stata la loro balia, e tieni ancora i panni sporchi di quando essi sguazzavano nella polvere insieme alle altre bestie, serbando in quei panni il ricordo di quello stato, cercando di ricordare che è da lì che vengono.
Forse non lo penso davvero, ma adesso ho bisogno di dirlo: se mai Dio ha punito qualcuno, è stato quando ha permesso che quell'animale abbandonasse i suoi panni.

O Notte, io ti comprendo, perché agisci secondo natura. Per me sei complementare ad ogni altro elemento, e con gli orrori di altri mondi avvolti nel tuo mantello porti a compimento un disegno che senza di te non sarebbe possibile.
Ma queste scimmie che guardi da lontano, che crocifiggono ladroni e innocenti gli uni accanto agli altri e infieriscono su entrambi, loro non rispondono a nessuno. Adornano e glorificano un male che è già abbastanza grande.

giovedì 2 giugno 2016

Il Caos: abissi cosmici, serpenti e stelle danzanti

Chi non prova interesse quando si parla di "caos"?
Non, ovviamente, nell'uso comune di questa parola (quante parole legate allo straordinario vengono usate per descrivere il massimo dell'ordinario?), ma in quello legato alla filosofia, alla mitologia, alla cosmologia soprattutto. Si tratta di qualcosa di costitutivo per noi e per la nostra percezione della realtà.
Pensando e ricercando riguardo a questa materia, mi ha stupito il fatto che il Caos possa essere sia una cosa che il suo contrario, vale a dire:
1-la massa indistinta in cui coesistono tutti gli elementi, non separati da alcun principio ordinatore, ma già tutti contenuti in essa, origine dell'universo in quanto materia della creazione;
2-il vuoto, la mancanza totale di elementi e di energia, che precede l'universo in quanto è tutto ciò che esiste prima dell'inizio dell'esistenza di qualcosa che sia qualcosa.
Tutto e nulla, per sintetizzare.

Nel mondo greco, KAOS è visto come l'inizio del cosmo, unica non realtà non esistente prima che esistesse la realtà, si potrebbe dire. Dopo la nascita degli dèi primigeni (principi fondamentali del cosmo quali la Terra, il Cielo, la Notte, lo stesso Tartaro, che non è corretto chiamare dèi), il Kàos non cessa di esistere (o non esistere), resta dov'era sempre stato (o non stato), oltre il cosmo ordinato e formato; lo spazio vuoto, secondo la scienza moderna, con la differenza che non veniva concepito come uno spazio infinito, ma come una voragine profondissima, una sorta di buco nero.

Il caos norreno, già citato in un altro post, è il Ginnungagap, il vuoto che esisteva prima di ogni cosa fra i due mondi di Mùspellheimr e Niflheimr, le cui fiamme e i cui venti gelidi, unendosi, formarono dei fiumi, l'acqua, dunque, e poi altri elementi, fino alla nascita del gigante Ymir e degli dèi che col suo corpo costruirono il cielo, la terra ed ogni cosa. Nel Ginnungagap dunque non abbiamo solo il vuoto, ma la combinazione di due grandi principi opposti, caldo e freddo, che originano ogni altra cosa.

Più spesso raffigurato come completamente antropomorfo,
o come uomo con la testa di falco, Ra appare qui come
un serval mentre uccide Apopi 
Più varia e difficile è la concezione del caos nel mondo egizio, come vari e difficili sono i molti sistemi cosmogonici e cosmologici, che fioriscono nelle città più grandi facendosi strumento della loro cultura, e poi si diffondono entrando in contatto fra loro e cambiando. Si può dire che anche qui il Caos sia l'elemento primo dal quale emergono i successivi. Per la cosmologia ermopolitana dal Caos nasce l'Ogdoade, un sistema divino composto da quattro coppie di principi maschili e femminili che erigono una collina (la città di Ermopoli) dalla quale nasce il sole.
Secondo la cosmologia eliopolitana, dal Caos, o meglio, dagli dèi Nun e Nunet, che ad Ermopoli erano appunto una delle coppie dell'Ogdoade, nasce Ra, il sole.
Il celebre mito di Ra che ogni notte dopo il tramonto scendeva degli inferi e ne percorreva il fiume su una barca per uccidere il serpente Apopi e impedirgli di distruggere il creato, significa la prosecuzione della lotta fra Ordine e Caos anche nell'epoca degli uomini: Apopi, anch'egli nato dal Caos, è il grande nemico degli dei, che distruggerebbe l'ordine che essi hanno instaurato, e non può essere ucciso, perché dopo la battaglia contro Ra le sue ferite guariscono sempre ed ogni notte il dio solare deve compiere nuovamente il suo viaggio per bloccarlo.

Apopi, del resto, rappresenta il caos anche in quanto serpente, perché i serpenti e i draghi sono simbolo del Caos nella maggior parte delle narrazioni cosmogoniche: ben prima di Apopi, i Sumeri e i Babilonesi raccontavano di Tiamat, raffigurata come un drago e manifestazione delle acque salate, insieme al dio Apsu che incarna le acque dolci. I due originarono il mondo e una moltitudine di dèi che uccisero il padre Apsu, allorché questi aveva deciso di uccidere loro (precedendo in questo Urano e Crono nel mondo greco, cioè il vecchio che respinge il nuovo cosciente del fatto che il nuovo prenderà il suo posto), scatenando l'ira di Tiamat che generò i demoni e gli esseri mostruosi (come Gea fece con i Giganti) e mosse guerra agli dèi fino ad essere uccisa da Marduk. Come nel caso di Ymir, col corpo di Tiamat viene fatto il mondo.
Anche nel mondo greco un essere cosmico serpentiforme, Tifone, tenta di uccidere gli dèi, mentre nella Bibbia, oltre al Leviatano (che è presentato come il più grande degli animali marini, ma non come una creatura cosmica), abbiamo il drago Raab, altra personificazione delle forze primigenie e molto probabilmente una derivazione di Tiamat. Nel mondo norreno la terra è circondata dall'oceano in cui vive Jörmungandr, figlio di Loki (anch'egli un elemento caotico, legato sia agli dèi che ai giganti), che nel Ragnarök si agiterà fino a sommergere la terra con le acque.

Una raffigurazione di Nyarlathotep che ha poco a che spartire con gli scritti di Lovecraft, ma i cui colori sono esattamente quelli che mi ispira la parola Caos.
Il Caos è estremamente radicato nel linguaggio della narrativa fantastica, che è la forma che assumono oggi la letteratura epica e la narrazione di miti.
Per Lovecraft, il Caos è Nyarlathotep, uno dei più importanti fra gli Dei che risiedono oltre il cosmo. In effetti, il caos è la costituzione degli dèi lovecraftiani, che vengono descritti come amorfi masse di materia di dimensioni cosmiche, incompatibili con la percezione dei mortali che perderebbero ogni traccia di sanità mentale se solo li intravedessero. Nyarlathotep, detto il Caos Strisciante, ha proprio lo scopo di spingere l'umanità verso la follia e il crollo, laddove gli altri dèi non si curano nemmeno della sua esistenza.
Forse l'opera fantastica in cui il tema ha più rilevanza è quella di Michael Moorcock, che oppone, come poli complementari dell'universo al posto del bene e del male, o delle più classiche luce e tenebre, l'Ordine e il Caos. Vi sono dèi dell'Ordine e dèi del Caos, e gli uomini e ogni altra cosa sono strumento della loro guerra infinita, fatta non per essere vinta, soltanto combattuta.
Dopo Lovecraft e Moorcock, e magari altri autori che non conosco o cui non ho pensato, questo è diventato tema frequentissimo nel fantastico. Uno dei post futuri sarà una piccola serie di esempi che conosco del Caos nella fiction, da Lovecraft ai videogiochi.

In realtà, questa riflessione non nasce solo dal mio interesse verso gli ambiti suddetti, che è comunque il mio motore principale, ma anche da una più introspettiva.
Fondamentalmente, la realtà è un equilibrio dato da forze diverse. La vedo così e la vedono molti sistemi di pensiero più antichi, come quelli di cui ho parlato, che contrappongono l'ordine e il disordine, la luce e l'oscurità, il calore e il freddo, la vita e la morte. Ogni cosa che esiste esiste perché non vi è mai un unico elemento che prevale, c'è sempre il suo opposto a completarlo, allentare la sua presa e permettere una coesistenza che genera un equilibrio.
Eppure, la realtà sembra voler forzare una scelta. L'esperienza, la storia, il confronto con gli altri, sembrano dirci tutti una cosa: "non puoi avere sia una cosa che il suo contrario, non puoi essere sia il giorno che la notte, sia il bene che il male, sia l'inverno che l'estate. Devi compiere una scelta."
E come ci insegna Kierkegaard, la scelta è qualcosa di angoscioso, il punto zero dal quale qualunque movimento è la negazione di tanti altri movimenti possibili al suo posto.
Non siamo obbligati a scegliere, però. Possiamo evitare di scegliere, come Kierkegaard.
Oppure possiamo scegliere tutte le opzioni.
Dioniso
Questa sarà la possibilità più difficile, più impegnativa, come camminare tra due pareti che vanno distanziandosi, cercando di tenere la mano su entrambe senza mai lasciarne una. Ma se riusciamo a farlo, otteniamo la ricchezza maggiore, una completezza altrimenti insperabile, perché più una cosa è grande e più lo è anche il sacrificio operato per ottenerla.

Nietzsche (diciamolo, volevo arrivare a lui sin dall'inizio) parla molto del caos, soprattutto nella sua prima opera, "La nascita della tragedia". Contrappone l'ordine e il caos e li associa ad Apollo e a Dioniso, estendendo la loro valenza dalle arti (poesia epica e scultura per lo spirito apollineo, lirica e musica per quello dionisiaco) alla totalità delle esperienze e delle forme del mondo. Nella sua visione, il caos ha comunque una sua preminenza, perché è l'elemento originario, primigenio, vero. L'ordine, in questa visione (differente da quella del Nietzsche più maturo che non si dedicherà più all'estetica), è fondamentalmente una costruzione degli uomini che serve a proteggerli, a non far loro guardare la tragicità del mondo, la cui autenticità è data dalla morte, dalla violenza, dalla vita che nel suo aspetto più spontaneo è una continua lotta. Nietzsche ritiene comunque che entrambi gli aspetti concorrano ad un equilibrio, e lo prova rinvenendo entrambi nella tragedia, frutto di un'autentica sintesi hegeliana che unisce la costruzione poetica apollinea alla musica e alla danza dionisiache, propendendo per una risoluzione drammatica delle vicende che rispecchia la vera crudeltà della vita.
Ed ecco, Nietzsche vede nella storia un graduale prevalere dello spirito apollineo, una razionalizzazione assoluta che ha soffocato lo spirito naturale dionisiaco. E per vedere che questa razionalizzazione è avvenuta, basta guardarsi intorno.

La soluzione, inutile dirlo, è l'oltreuomo nietzscheano, colui che vive il mondo nella sua dimensione più autentica. Colui che accetta il Caos dentro di sé.
Ho una certa avversione per l'oltreuomo di Nietzsche, un uomo che nella sua forza assoluta, per come la vedo io, rinuncia alla debolezza, ed è quindi molto meno perfetto di quanto non significhi la perfezione per me, ma decisamente perfetto per quel pensiero che punti esclusivamente alla forza.
Attraverso questo, però, pervengo ad una conclusione, forse temporanea, forse no: demonizzare il Caos, nell'ottica in cui come Caos intendiamo la mancanza di distinzione e di ordine e la coesistenza di tutte le cose, è errato. Se cogli dentro di te la presenza di tutte le cose, sia una che il suo opposto, tanto da non saperle scegliere, significa che dentro di te hai il Caos dal quale può nascere il cosmo intero.
La famosa frase di Nietzsche, "bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante", si inquadra in quest'ottica, se hai dentro di te questa totalità di elementi anziché solo una parte, un limite, puoi creare da essa un risultato straordinario, qualcosa di veramente grande. Non è per tutti, senza dubbio, tenere unite forze che lottano fra di loro rischia di lacerarci, ma rinunciare al Caos per scegliere una singola parte, ripiegare su qualcosa di più facile, non lo ritengo la scelta migliore. Vale la pena correre i rischi.