mercoledì 30 dicembre 2015

Il risveglio di Star Wars - parte I

Non ci riesco a scrivere un post sulla fine dell'anno. Tanto è solo una data. Avevo pensato di farlo, ma è passato più di una settimana da quando ho visto Il risveglio della Forza (e cinque giorni da quando l'ho visto per la seconda volta), e ho un bisogno irrefrenabile di parlarne, perché ha avuto su di me un impatto più forte di quanto mi sarei aspettato.
Naturalmente, questo post contiene SPOILER. Per chi non volesse rovinarsi la visione del film (che è uscito da due settimane), ma sentisse la necessità di sapere se mi sia piaciuto, sappia che mi è piaciuto.
Può smettere di leggere da qui.

Orbene, nei mesi di attesa del film, molto sinceramente, non provavo una particolare attesa. Il mio pensiero era "Ma perché?". A cosa serviva una nuova trilogia di Star Wars, che oltretutto aveva avuto sinora un finale, tra i miei preferiti in assoluto, che non aveva bisogno di aggiunte? Soprattutto, non capivo bene chi sarebbe stato il protagonista, perché al centro della locandina c'era questa ragazza, Rey, ma nei trailer la spada in laser era in mano al suo amico, Finn, si sapeva che sarebbe comparso Luke Skywalker ma gli indizi su di lui erano pochi.
In compenso, c'era questo nuovo antagonista, Kylo Ren: tunica e mantello con cappuccio tutti neri, una maschera sul volto per completare l'effetto Darth Vader, e una spada laser rossa con guardia a croce (che ha fatto sudare qualche grammo di grasso liquido a qualche nerd ciccione e conservatore), di discutibile praticità nel combattimento ma visivamente una favola. L'idea basilare di Sith che abbiamo tutti, tanto che è stato lui, in questi mesi, a dominare merchandise, immagini pubblicitarie, i pacchetti delle gomme da masticare, un sacco di artwork che lo mettevano in mezzo ai Sith della vecchia esalogia. Insomma, il cattivo che attirava e ispirava così tanto, mentre dei buoni non fregava niente a nessuno. Men che meno a me.
Adesso il mio giudizio è un po' il contrario, ma di questo parlerò alla fine (cioè nel prossimo post).
Ebbene, com'è il film? C'è una nuova forma di potere dispotico e totalitario che ha raccolto ciò che restava dell'Impero, cioè il Primo Ordine; c'è una Repubblica, che è stata fondata dai Ribelli della vecchia trilogia e che viene spazzata via a metà del film dalla Starkiller, la versione estrema della Morte Nera (ossia, invece di una stazione spaziale delle dimensioni di una luna, in grado di sparare un laser con cui distruggere un pianeta, abbiamo un pianeta intero trasformato in un'arma che distrugge cinque pianeti alla volta); e poi abbiamo una Resistenza che combatte il Primo Ordine, con Leia, i droidi, e soprattutto l'ammiraglio Ackbar, che sono tornati a fare quello che facevano prima.
Aggiungendo a questo il fatto che il film inizia con una battaglia fra il nemico e una piccola base della Resistenza, che informazioni importanti sono affidate a un droide, che la protagonista ha vissuto per anni su un pianeta desertico a fare cose monotone e che in breve tempo le sono state affidate le sorti della galassia, che si ha la morte di un vecchio eroe dentro la nuova Morte Nera e che questa poco dopo viene distrutta con tanto di reazione a catena messa in moto dalle esplosioni in uno stretto condotto, molte persone hanno concluso che si è trattato di un mezzo remake, di una imitiazione, di troppi punti in comune, di mancanza di inventiva, di ripetizione.
E invece io dico che quella che sembra una ripetizione, è la dimostrazione di qualcosa di molto più serio.

Avevo indicato, nel precedente post su Star Wars, qualche punto di contatto fra Star Wars e la Terra di Mezzo. Sono due delle maggiori saghe fantastiche del nostro tempo in termini di profondità, di ricchezza dell'ambientazione, e di quanto universali e umane, quindi epiche, siano le loro vicende.
Ora, alla base della storia della Terra di Mezzo, dal Silmarillion al Signore degli Anelli, vi è il concetto di una progressiva caduta: c'è il bene, c'è il male, il male distrugge il bene e si sostituisce ad esso finché il bene, magari grazie alla tendenza autodistruttiva del male, riesce a distruggerlo, instaurando un nuovo ordine inferiore al precedente e che il male, dopo qualche tempo, distruggerà di nuovo, poiché nessuno dei due scomparirà mai. Nella Terra di Mezzo il male non scompare mai, e in Star Wars, semplicemente, è accaduto lo stesso.
Alla fine de Il ritorno dello Jedi vengono meno l'Imperatore, la Morte Nera e molte delle sue forze, ma non tutte. Esse hanno potuto riorganizzarsi. E analogamente, poiché non può esserci equilibrio nella Forza senza il Lato Oscuro, esso è riapparso sotto forma del leader supremo Snoke, il principale antagonista, e di Kylo Ren, che stava apprendendo le vie della Forza da Luke ed è passato al Lato Oscuro.
Certo, viene da dire che i vecchi eroi hanno fallito: Luke doveva addestrare nuovi Jedi e ne è derivato un quasi Sith, con i suoi cavalieri di Ren (sono quasi certo che Ren, quando terminerà l'apprendistato, sarà ufficialmente un Sith), Leia ha rimesso in piedi la Repubblica ed essa non esiste più, mentre lei guida l'ennesima resistenza, e Han Solo ha perso suo figlio, cioè Ren, ed è tornato a fare il contrabbandiere.
Ma a conti fatti, in quali occasioni gli eroi trionfano davvero?
Come diceva Schopenhauer, partendo dal presupposto che il dolore sia la condizione normale della nostra esistenza e la felicità una breve parentesi, le storie a lieto fine ci sembrano tali perché il narratore lascia calare il sipario dopo che i personaggi hanno raggiunto il loro scopo, nell'esatto momento in cui sono felici: se andasse avanti, li vedremmo correre dietro a qualche altra cosa, affrontare nuove insidie. Dopo l'Odissea vedremmo Ulisse ripartire e trovare la morte oltre le Colonne d'Ercole, dopo i funerali di Ettore vedremmo la sua città che viene bruciata; dopo la visione di Dio, Dante non si ritroverebbe ancora in una Firenze marcia e corrotta? Anche Tolkien aveva iniziato una storia ("The New Shadow", di cui scrisse una dozzina di pagine prima di decidere di non continuarla) ambientata dopo la caduta di Sauron, una storia in cui gli uomini, dimentichi della Guerra dell'Anello, ricominciavano a seguire il male.

Ma Star Wars è così bello anche perché ci ha dimostrato come il male non prevalga mai indeterminatamente, anche se adesso è tornato è possibile sconfiggerlo, e in questo primo episodio, come già in quello del lontano 1977 del quale è additato come copia, lo abbiamo visto perdere colpi.
Se anche dovesse esserci una trilogia dopo di questa, e poi un'altra, e poi un'altra ancora, vedremmo che dopo la vittoria del bene il male ha ripreso il sopravvento, vedremmo il bene vincere e poi perdere e poi vincere di nuovo. È un ciclo, ma non è un ciclo anche il nostro universo?

giovedì 24 dicembre 2015

La magia del Natale

Nel generale, e legittimo, sentimento di eccitazione per Star Wars -ancora maggiore per chi l'ha visto, data la quantità di interrogativi che la sua visione ci pone di fronte- abbiamo avuto meno degli altri anni la possibilità di pensare al Natale. Ma prima che le campane suonino a festa e il vecchio sulla slitta prenda il volo, l'Anima del Mostro vuole dire cosa ne pensa del Natale.
Anche perché, con rammarico, con paura, con disgusto, si rende conto di come anche una cosa come il Natale, in quest'epoca marcia, debba essere criticata e messa in discussione da esseri umani di dubbia...ebbene, di dubbia umanità.

Riflettiamo sulla parola "Natale". Non suscita un sentimento luminoso? Luce, luci colorate, allegria, dolcezza, calore, colori come il rosso, il bianco, il verde. Non suscita qualcosa di buono?
Non ci sono altri eventi per i quali le città cambino il loro aspetto allo stesso modo, luci ovunque, insegne, grandi alberi addobbati. È uno dei pochi riti ancora praticati da una società che dei riti si sta a poco a poco sbarazzando, e se riesce a sopravvivere è perché questo rito ha un grande potere. Ma come reagiscono le persone al suo potere?
«Si tratta di una festa consumistica!»
«Ma nasce per un motivo religioso!»
«Lo Stato dovrebbe essere laico!»
«Le radici dello Stato sono cattoliche!»
«Le radici del Natale sono pagane!»
E addio magia.

Il problema della magia non sta tanto nel fatto che la gente non ci crede, quanto nel fatto che crede di non averne bisogno.
Si crede di più che le cose, a un certo punto, siano troppo vecchie e vadano buttate. Se una cosa è così vecchia, non può rispondere alle esigenze della modernità.
Certo, l'atmosfera natalizia è più sentita dai bambini. È intorno a loro che ruota tutto: si può dire che la storia di Babbo Natale, nata intorno alla figura di San Nicola ed evolutasi per rimanere sempre credibile per i bambini delle varie epoche, sia il perno intorno al quale ruota la moderna concezione del Natale. È invece una seccatura per i grandi, dato che loro devono comprare tutti quei regali e spendere tutti quei soldi.
Ma si tratta davvero di spendere dei soldi e basta? Si tratta davvero dei bambini e basta?
Io sento invece che si tratta di qualcosa di più: un momento in cui riponiamo fiducia nella spiritualità, in cui proviamo a pensare che la nostra realtà, fisica e contingente, non sia tutto e non sia la cosa più importante, che ci sia un piccolo spazio al di fuori di essa, indipendente, in cui i nostri sentimenti hanno un valore e in cui ci rendiamo conto che le cose che immaginiamo sono belle e ci importano, e anche se non possiamo dire che esistono esse vivono in noi ed è bello che sia così. I nostri desideri, il nostro amore per i cari, questo è il Natale. E chi volesse obiettare perché non sopporta le riunioni con la famiglia, ebbene, i suoi particolari problemi familiari non significano che tutte le famiglie del mondo siano problematiche.

Per me, il Natale non ha perso la sua valenza religiosa, è una delle festività più importanti del cristianesimo e lo festeggio perché riguarda qualcosa di basilare in una concezione del mondo che è anche la mia. E per quanto sia vero che parte dei suoi rituali derivi dalla festa di Yule del mondo celtico e germanico, e si ricolleghi ai Saturnalia della civiltà romana, -tolto il fatto che si è semplicemente sovrapposto ad essi, ma nasce per motivi diversi e nasce in epoca abbastanza antica-, è un dato di fatto che abbia continuato a esistere per secoli e secoli fino a giungere a noi, mentre per tante tradizioni antiche non è stato lo stesso.
Il Natale, adesso, ha un valore che si è consolidato e ci riguarda, anche volendone mettere in discussione le origini. È parte integrante della nostra cultura, ed è una tradizione, non importa come è nata (o meglio, importa eccome, ma non è un motivo per abbandonarla), conta di più quello che è diventata.

È quasi il momento, il vecchio si è seduto sulla slitta e Scrooge sta avendo degli screzi con i suoi fantasmi. Non posso andare oltre, o questo post  apparterrà al Natale passato e non a quello presente.
A tutti, indistamente, un lieto, bianco, rosso, verde, e santo, buon Natale.

giovedì 17 dicembre 2015

Star Wars: la Forza è potente e imprevedibile

In questo periodo un avvenimento di estrema attualità sta turbando le nostre abitudini, alterando la nostra realtà, sconvolgendo il nostro secolo; e benché non mi piaccia trattare di attualità in questa sede, oggi non posso esimermi dal farlo: devo parlare di Star Wars.

Il fenomeno mediatico che sta accompagnando l'uscita di Star Wars episodio VII: Il risveglio della forza, di J.J. Abrams, sta causando stupore in tutti, me compreso, fino a risultare stressante, soprattutto per quei piccoli Jar Jar cui il film non interessa. Eppure, se consideriamo da quanti fenomeni e mode antipatici e inutili siamo assaltati nel corso dell'anno sul web o in pubblicità, trovo giusto che, per una volta, si parli di una cosa bella.
Star Wars è bello perché ha segnato un'intera generazione, quella dei giovani degli anni 70 e 80, catapultati in una galassia così lontana lontana che nessuno l'avrebbe immaginata prima di vederla nella prima, leggendaria trilogia di George Lucas, considerata quasi unanimente la migliore, fra le due uscite finora. Per molti Star Wars è più che sei film (ora sette e fra qualche anno dodici) e svariate decine di fumetti, videogiochi e romanzi: è una storia serbata nella parte più intima del cuore, legata a sentimenti intensissimi, in grado di parlare a tutti noi perché, come i grandi classici, anche se ambientata in luoghi e tempi molto lontani, parla all'umanità che vive in ciascuno di noi.
È riduttivo parlare di una generazione sola: dal 77 in poi, la trilogia originale è stata tramandata, i grandi l'hanno fatta vedere ai giovani, i genitori ai figli, e nel frattempo, fra il 1999 e il 2005, è uscita la nuova trilogia, che ha conquistato altri cuori adoranti, diviso gli appassionati per l'enorme quantità di nuove informazioni e discrepanze rispetto alla trilogia precedente, e ingrandito il mito, perché in una grande galassia teatro di così tanti avvenimenti non può non nascere una ricca e affascinante mitologia.


La trilogia degli anni Duemila è anche quella con cui, per motivi anagrafici, sono stato introdotto alla storia e alla galassia lontana lontana. Il mio impatto è stato diverso da quello di chi ha visto i film in ordine di uscita, ma allo stesso tempo mi ha permesso di provare emozioni possibili solo in questo modo.

La galassia lontana lontana è piena di pianeti ricchi di vita, popolazioni di varie razze nate dalla fantasia degli autori, per la maggior parte riunite nella Repubblica cui, alla fine del terzo episodio, subentra l'Impero, che domina con la sua ombra sinistra tutta la vecchia trilogia. Questa galassia ha una storia, un sistema di ripartizione del tempo, dei linguaggi, delle tradizioni, in maniera simile a quanto fatto da Tolkien con la Terra di Mezzo ma ad opera di molte più persone, anche attraverso quei libri e quei fumetti che costituiscono ciò che viene detto "Universo espanso", che non è considerato canonico rispetto alla continuity dei film, ma che è in ogni caso una grande creazione dell'immaginario umano, un prodotto di quella facoltà di creare mondi e dare loro una coerenza interna, che per Tolkien è il punto più alto della creazione artistica.

Orbene, questa galassia ricca di pianeti e razze aliene mi colpisce solo fino a un certo punto, nella misura in cui è un'ambientazione fortemente tecnologizzata e futuristica. E per quanto ammiri in partenza qualunque creazione dell'immaginario, ancor più se molto ricca e molto complessa, la fantascienza non si concilia né con l'estetica né con la poetica che ricerco in un'opera d'arte, a meno di legarsi a un tema che lo faccia -è il caso di Alien, Warhammer 40.000, Doom e altre eccezioni.
Ma Star Wars ha per me un fascino unico, e la causa di ciò è che vi si trovano temi che vanno oltre la fantascienza e le speculazioni tecnologiche; vi è una dimensione spirituale e metafisica, la quale costituisce la vera anima della saga, ed è la Forza di cui tutti parlano per ora.

«La Forza è quella che dà ai Jedi la possanza. È un campo energetico creato da tutte le cose viventi. Ci circonda, ci penetra, mantiene unita la galassia.»

È così che Obi Wan Kenobi, nel primo film della saga (l'episodio IV) definisce la Forza. La nuova trilogia suggerì un'interpretazione biologica, parlando di microscopiche forme di vita chiamate midi-chlorian all'interno delle cellule degli esseri viventi, responsabili dell'uso della Forza. Ma quasi nessuno ha mai apprezzato questa idea: la Forza è solamente la Forza, e permea la realtà rendendola unica e interamente partecipe di se stessa in ogni sua parte, che è parte del tutto. Vi è una mole di rimandi a filosofie orientali, ascetismo, e anche tradizioni occidentali come lo stesso cristianesimo o il druidismo, e onestamente conosco poco o affatto alcuni di questi. Quello che è certo è che la Forza è un pensiero filosoficamente ricchissimo e, indipendetemente dal riguardare un mondo nato dalla fantasia dell'uomo, assolutamente valido.

«Per oltre mille generazioni i Cavalieri Jedi sono stati i guardiani di pace e giustizia della Vecchia Repubblica."

I Cavalieri Jedi, coloro che sono in grado di utilizzare la Forza, sono la parte di questa saga che mi piace di più. Il loro è un ordine militare e monastico, i cui appartenenti sono i guerrieri migliori della galassia, ma anche i più eminenti pensatori e filosofi, poiché il loro allenamento è finalizzato alla conoscenza della Forza, conoscenza che permette dei benefici, come le loro abilità staordinarie, ma che è innanzitutto fine a se stessa.
Nella vecchia trilogia l'ordine è stato annientato, ma la nuova ce l'ha mostrato ai tempi della Repubblica, quando era numeroso, all'apice del suo potere, e già avviato verso la decadenza, come ogni cosa che abbia raggiunto la vetta: la nuova trilogia insiste molto sugli sviluppi politici della storia, focalizzando il passaggio dalla Repubblica all'Impero, e la fine dell'ordine Jedi. Soprattutto, la nuova trilogia inserisce un elemento che completa l'ambientazione, e la rende ancora più affascinante per molti: l'ordine dei Sith, contrapposto a quello dei Jedi.
Sarebbe semplicistico parlare di bene e di male, anche se lo scontro fra questi due è comunemente considerato il tema portante di Star Wars; mentre i Jedi studiano e praticano il Lato Chiaro della Forza, i Sith ricorrono al Lato Oscuro con cui la loro controparte non vuole avere a che fare. Ora, la Forza è una, un monismo assoluto, che permette di alterare la realtà come di distruggerla, di curare una ferita o di infliggerla, ma a consentire una qualunque di queste azioni è sempre la stessa Forza. Jedi e Sith sono innanzitutto due ideologie, esplicate dai rispettivi codici:

«Non c'è emozione; c'è pace.
Non c'è ignoranza; c'è conoscenza.
Non c'è inquietudine; c'è serenità.
Non c'è morte; c'è la Forza.»
(Codice Jedi)

«La pace è una menzogna, vi è solo passione.
Attraverso la passione, acquisto forza.
Attraverso la forza, guadagno potere.
Attraverso il potere, guadagno vittoria.
Attraverso la vittoria, spezzo le mie catene.
La Forza mi libererà.»
(Codice Sith)

"Sempre due ce ne sono, né più, né meno. Un maestro e un apprendista." Questi sono il maestro e i tre apprendisti che si sono susseguiti nei film.


I Sith puntano all'individualismo, alla realizzazione di se e dei propri desideri, ad assecondare le proprie passioni laddove i Jedi imparano a dominarle in favore di una rinuncia all'inquietudine e al desiderio personale che causa dolore, per vivere in armonia con se stessi e con l'universo (in maniera simile al buddhismo), un tutt'uno con la Forza che i Sith vedono come uno strumento per compiere la loro volontà, mentre per i Jedi è il fine. E mi preme argomentare questo, poiché personalmente trovo difficile schierarmi con l'una o con l'altra ideologia. Farlo non è solo uno scrupolo da nerd, ma una prova per pervenire alla conoscenza di se stessi, e pervenire alla conoscenza è uno degli obiettivi di questo blog. Questa volontà di conoscenza, la pratica dell'introversione, e la consapevolezza che la mia libertà non deve limitare quella degli altri mi porterebbero a condividere il pensiero dei Jedi; ma rinunciare alle emozioni, alle passioni e alle stesse inquietudini distrugge la parte più preziosa della mia umanità, poiché proprio le inquietudini sono il motore delle mie azioni e della mia spinta a migliorare me stesso e gli altri. Eppure la libertà dei Sith è una libertà pericolosa, non perché svincolata da qualunque controllo, ma perché mira unicamente al potere e alla soddisfazione personale, ignorando gli altri a costo di distruggerli; inoltre, la ricerca del potere rischia di consumare l'uomo che la operi, perché non si sazierà mai e lo porterà a distruggere se stesso alla fine di essa, come accade ai Sith dei film.

A conti fatti, entrambe le posizioni sono estreme, rischiose, e incomplete: Star Wars, nell'indurre queste riflessioni, porta alla conclusione che gli opposti sono necessari a mantenere un equilibrio, e senza uno dei due si degenera. Come ci insegna la storia del film, era necessaria la fine dell'ordine dei Jedi, il passaggio di Anakin al lato oscuro, la fine della stessa Repubblica, perché si realizzassero le condizioni affinché Luke Skywalker potesse permettere la distruzione dei Sith, operata attraverso lo stesso Anakin, che secondo un'antica profezia avrebbe dovuto "riportare l'equilibrio nella Forza" e che ci riesce in modo assolutamente inatteso. Un po' come la sconfitta di Sauron, compiuta grazie a Gollum. Sembrerà una battuta, ma non lo è, entrambe le storie dimostrano come il male finisca per ritorsi contro se stesso, risolvendosi, infine, nell'operare il bene. Un messaggio contenuto nei testi sacri, la chiave di lettura dell'opera di Tolkien,
la lezione finale di Star Wars. Sei film sono valsi la pena, per questa lezione. Chissà cosa ci insegnerà questa nuova trilogia, che prende atto dopo che tutto è già accaduto, ora che sappiamo cosa ha determinato cosa. Io non vedo l'ora di scoprirlo, e a tutti coloro per i quali vale lo stesso, che la Forza sia con voi.

giovedì 10 dicembre 2015

Espero di Mihai Eminescu: ovvero, le limitazioni dei mortali per gli immortali

È da più di un mese che non scrivo di letteratura. In realtà, non intendo parlare di letteratura più di quanto non voglia fare con tutti gli altri mezzi dell'arte e dell'uomo, attraverso i quali è stato espresso ciò di cui mi interessa parlare. Ma poiché, dalla presentazione iniziale, ho suggerito l'idea che questo sarebbe stato l'argomento principale -o perlomeno mi sono convinto di averlo fatto- ho pensato di dedicare questo post a una delle opere letterarie che preferisco. E attenzione, perché sono sicuro che la conosceranno in pochi.
L'opera in questione è "Luceăfarul" di Mihai Eminescu, il più noto e celebrato poeta rumeno, recentemente dichiarata anche il più lungo poema d'amore della letteratura mondiale.
Luceăfarul, in rumeno, indica Venere, la stella del mattino. La tradizione ebraico-cristiana ha associato al nome di Lucifero la figura di Satana, quindi se mi riferissi al personaggio che dà il nome alla poesia chiamandolo "Lucifero" molti avrebbero paura di leggere quanto segue e mi accuserebbero di chissà che cosa, ma in questa poesia manca qualsiasi accezione negativa di questo nome, che si riferisce semplicemente a una stella e che diviene, nella traduzione di GeoVasile alla quale farò riferimento (e che trovate alla fine del post), "Espero".

Parliamo, dunque, di una stella, una stella personificata, membro di quel mondo superiore e perfetto cui appartengono gli astri, gli dei, gli angeli. E parliamo della fanciulla che si rivolge a questa stella.
Lei è una fanciulla splendida e nobile, che ogni notte guarda dalla sua finestra e vede questa luce che "guida nere navi"; anche Espero, dalle sommità celesti, la vede, e se ne innamora, penetrando nella sua stanza che pervade della sua luce, simile a Zeus che penetrò nella torre in cui era stata chiusa Danae mutandosi in pioggia dorata. Allora, lei lo chiama perché venga vicino a lei, e lui si tuffa nel mare per riemergerne in aspetto umano. Tale scena si ripete per ben due volte, e in entrambe, Espero offre il suo amore e tutta l'eternità alla fanciulla, separato però dalla mortalità di lei, che se da una parte lo desidera, dall'altra lo respinge, dicendogli "io sono viva, tu morto".
Entra poi in scena un terzo personaggio, Catalin, un giovincello scherzoso e un po' sfacciato che corteggia la fanciulla (da lui apprendiamo che lei si chiama Catalina, a meno che io non stia ignorando qualche caratteristica della lingua rumena e questo sia un soprannome o un nome parlante), e ne ottiene le grazie in favore della promessa di un amore vicino, presente, immediato, non di un ideale appartenente a un piano slegato dalla mortalità.
Nel frattempo, Espero si innalza attraverso il cielo, raggiunge le sommità dell'universo per rivolgersi all'ultimo personaggio del poema, il Padre, Dio: per potersi privare dell'immortalità e divenire mortale, avendo la possibilità di stare con la fanciulla.
La risposta del Creatore è molto fredda, molto razionale: non ha senso, per un essere eterno ed unico, divenire un essere umano come ce ne sono milioni, che muoiono e nascono sostituendosi a un ritmo estraneo ai temi insondabili degli astri del firmamento. Per questo, quando il Padre mostra ad Espero i due amanti sdraiati sull'erba e lei gli si rivolge chiamandolo ancora una volta, lui le risponde chiamandola "volto di polvere", e accusando gli esseri mortali tutti della loro meschinità, della loro subordinazione al caso, disprezzabile per lui, eterno, freddo, alto.

Sarebbe consigliabile leggere il testo del poema, che si trova alla fine del post, per seguire i ragionamenti che arrivano adesso. Ho scritto qui sopra il riassunto della vicenda per chi non abbia voglia o tempo, ma naturalmente un riassunto non può trasmettere le stesse cose.

Questa è una delle mie opere poetiche preferite, e la condivido perché mi piacerebbe fosse conosciuta di più.
Innanzitutto per la ricchezza evocativa, propria del linguaggio di un poeta che si può inquadrare nel tardo romanticismo, e che quindi dipinge paesaggi in cui la natura e le luci sono spie dei sentimenti e degli stati d'animo. I termini sono quelli del sublime, il cielo e il mare infiniti, gli abitanti di queste dimensioni divine, e la dimensione è quella fra realtà e sogno, per cui le apparizioni di Espero hanno sempre quel sapore di onirico, sono nascoste da quella patina che ci confonde la vista impedendoci di mettere bene a fuoco la realtà.
Mi è molto caro il tema dell'immortalità, o meglio, dell'esistenza di esseri immortali che si confrontino con gli uomini mortali, sicché di ogni razza vengano messi in luce i vantaggi e gli svantaggi; è qualcosa che ben si ricollega all'Anima del Mostro, dato che anche questi esseri mi piace includere nella definizione di "mostro", cioè di elemento che crea stupore. E sinceramente mi entusiasmano i dialoghi fra queste creature eccelse, ancor più se avvengono tra una di loro e Dio stesso. Anche se qui Dio appare, come ho detto, freddo e impietoso nei confronti degli umani, cui non sembra dare molta importanza, forse perché il poeta aveva bisogno di esprimere un messaggio ben preciso attraverso questo personaggio, o forse per la sua personale visione religiosa. Suggestivo è anche che Espero sia chiamato, dal Padre, Iperione, che nella mitologia greca è uno dei Titani, padre delle divinità luminose Elio, Eos e Selene, e che significa, in greco antico, "al di sopra", "più sopra".

Ma ancor più che per questi motivi, la poesia di Eminescu mi sta a cuore perché riflette una condizione esistenziale che penso di essere in grado di comprendere: quella dei limiti delle creature più alte, degli animi nobili ricolmi di grandezza, nel vivere relazionandosi con esseri che non li comprendono.
Sento molto, quando leggo Espero, l'eco dei versi de "L'albatro" di Baudelaire, un'altra delle mie poesie preferite, a proposito del poeta che, proprio perché la sua natura lo chiama a percorrere le vastità del cielo e le infinite profondità dell'anima e della conoscenza, da questa viene ostacolato e reso goffo nella vita quotidiana, nel rapporto con le altre persone.
Anche in Espero vedo -attribuendo alla poesia e ai personaggi dei simboli indipendentemente da quanto volesse dire l'autore- una metafora dell'artista o del poeta, che non riesce in ciò che cerca di fare a causa della propria grandezza. La sua vicenda però ha una portata più precisa, una valenza particolare cui si può, a posteriori, dare una valenza universale e conferire un valore esistenziale simile a quello del testo baudelairiano, ma che nasce con intenzioni diverse: la storia di Espero è una storia d'amore, legata a un sentimento particolare in base al quale si inseriscono i quattro personaggi. Lui prova un forte sentimento verso la fanciulla che lo guarda e lo chiama, e dinanzi a lei mette in mostra le sue prerogative ("sono figlio del cielo e del mare, del sole e della notte") invitandola a seguirlo verso un futuro che sarebbe, in qualsiasi caso, più di quanto qualsiasi mortale possa sperare. E per quanto riesca a capire la perplessità di lei, la difficoltà anche solo nell'immaginare di percorrere gli spazi oltreumani di cui parla l'angelo-stella, non posso non pensare a quanto grandiosa sarebbe potuta essere la sua vita, se lei fosse stata pronta a seguirlo; penso anche a come il suo rifiuto mi sembri acquisire una valenza terrena e realistica, se mi fingo nel pensiero un uomo che tenta di far colpo su una donna con una poesia o un dipinto, e lei che lo rifiuta perché non le piace l'opera che lui ha realizzato. E a quel punto, provo dispiacere per Espero.

Pure, questa difficoltà sarebbe comprensibile e forse anche superabile: consideriamo che Espero si dichiara pronto a rinunciare a tutto ciò che è, pur di stare con lei, e chiunque si rende conto di quanto impegnativo sia un sacrifico del genere. Voglio dire, è lodevole un sentimento del genere. Ma alla fine del poema mi si insinua sempre in corpo una sottile vena di condanna, se penso al fatto che lei abbia preferito Catalin. Catalin è un ragazzo come ce ne sono tanti, come probabilmente ne abbiamo incontrato tutti qualcuno: perdigiorno, ardito e anzi sfacciato, probabilmente non ha piani più impegnativi che ottenere qualche piacere dalla ragazza; la quale si risolve nel darglielo, sia pure dopo delle resistenze e dopo aver fatto due volte il nome di Espero, nel momento in cui si rende conto che ha molto più senso stare con un suo simile che con un essere divino che per lei è un morto.
Come il Creatore, anche lei sceglie la soluzione più razionale.

Espero non conclude, come ci si potrebbe aspettare, opponendo il proprio punto di vista a quello di Dio o della donna, rivendicando una qualche forma di diritto personale a privarsi ugualmente dell'immortalità, un atto di eroismo. Non opera nessuna conciliazione fra i due mondi, ma resta chiuso nel suo, rendendosi conto, una volta visti i due amanti, che ciò che gli ha detto il Padre è vero e che gli esseri mortali sono regolati dall'immediatezza e dalle necessità che derivano dal loro essere effimeri, e non è possibile legarsi a una di loro. "Tanto non le importa se sono io o un altro."
Il finale è amaro, e il gelo della risposta dell'angelo è tale da raffreddare anche il mio cuore quando la leggo. Ma se la storia di Mihai Eminescu fosse stata quella di un essere superiore che avesse sacrificato la propria superiorità per divenire a sua volta un essere effimero regolato dal caso, essa non avrebbe avuto un valore così rilevante, avrebbe avuto una morale scontata, quasi giustificatrice nei confronti della pochezza umana che invece attacca. Eminescu conclude così, e se devo leggervi un messaggio -perché le belle storie sono il messaggio che mi interessa di più, senza dovere aggiungere morali o lezioni- leggo che un essere come Espero non deve sacrificare la sua natura, anche se ciò lo fa soffrire: essere chiamato a qualcosa di più grande significa avere un dovere, un compito da portare a compimento, e quella grandezza non è gratuita, ma un valore da rispettare. Il fatto che i più, coloro che non capiscono, ostacolino questo compito, non deve portare alla resa dei titani, ma spingerli a continuare; e il fatto che anche l'amore sembri loro precluso per questo motivo, non deve distoglierli dalla loro impresa, perché le persone che trovano l'amore sono molte, mentre Espero ce n'è uno solo.


Èspero

C'era una volta come mai,
Così narran le fiabe,
Una fanciulla senza pari,
Di gran ceppo regale.
Ed era unica ai parenti,
Stupenda fra le belle,
Com'è la Vergine fra i santi,
La luna fra le stelle.
Dall'ombra delle volte altere
Lei suo passo volge
Alla finestra, appartata,
Sta Èspero aspettando.
Guardava all'orizzonte come
Sui mari sorge e splende,
Sui sentieri ondeggianti
Lui guida nere navi.
Lo vede oggi, lo rivede,
Così il desio spunta;
Pur lui, mirandola da tanto,
Di lei si innamora.
Quando lei poggia sulle braccia,
Sognando, le sue tempie,
D'amor struggente si riempe
Il cuore nonché l'alma.
E quanto vivido s'accende
Suo raggio ogni sera,
Sull'ombra cupa del palagio:
Che lei si mostrerà.
* * *
E a passo a passo dietro lei
Lui filtra nella stanza,
Tessendo un laccio di bagliore
Dai suoi freddi raggi.
Pur quando si adagia al letto
La figlia per dormire,
Le sfiora il petto e le mani,
Le chiude il dolce ciglio;
E dallo specchio irraggiando
Innonda il suo corpo,
Gli occhi chiusi che palpitan,
Il suo viso assorto.
Lei lo guardava sorridente,
Lui nello spechio avvampa,
Giacché nel sogno l'inseguiva
Per irretirle l'alma.
E lei nel sonno sospirando,
Gli parla con gran pena:
Oh, tu signor delle mie notti,
Perché non vieni? Vieni!
Scendi da me, Èspero blando
Fluendo su un raggio,
Pervandi casa e pensiero,
Rischiara la mia vita!
Lui ascoltava abbrividendo,
Più vivo s'accendea
E come folgore piombava,
Nel mare affondando;
E l'acqua ove è caduto,
In cerchie s'arruota
E dal profondo più occulto
Un fiero giovin sorge.
Al par di soglia varca lui
Il davanzale, lieve,
E tiene in mano un bordone
Di canne coronato.
Pareva un giovin voivoda
Con chiome d'oro molle,
Un velo livido s'annoda
Alle ignude spalle.
E l'ombra del diafan volto
È cereo candore -
Un morto bello, dagli occhi
Viventi di bagliore.
- Dalla mia sfera venni appena,
Risponderti al richiamo,
Il cielo ho per mio padre,
Per madre, ho il mare.
Che nella tua stanza venga,
Guardarti da vicino,
Col mio azzurro sono sceso
E nacqui dalle acque.
Oh, vien! tesoro senza pari,
Il mondo abbandona;
Io sono l'altissimo Èspero il superno
E tu mi sarai sposa.
Là, nei palagi di corallo,
Per secoli di fila
Il mondo dell'oceano, intero,
Sara per ubbdirti.
- Sei bello come solo in sogno
Un angelo s'affaccia,
Ma io mai camminerò
La via che mostrasti;
Straniero il motto, il cospetto,
Tu brilli senza fiato,
Che io son viva, tu sei morto,
Il tuo occhio, ghiaccio.
* * *
Passò un giorno e poi tre
Ed Èspero, di notte,
Sta risorgendo su di lei,
Nei suoi raggi, vero.
Onde di lui, nel suo sonno,
Dovette ricordare;
L'anelito le morde il cuor
Per il signor dell'onde:
- Scendi da me, Èspero blando
Fluendo su un raggio,
Pervadi casa e pensiero,
Rischiara la mia vita!
Quando dal cielo la udì,
Si spense di dolore,
Il ciel si mise a rotear
Dov'egli si disperde;
Purpuree nell'aria fiammate
Pervadon tutto il mondo,
E dalle faglie del caos
Si plasma un fiero volto;
Sopra le sue nere chiome
Il serto par che bruci,
Giungea a volo in verità
Flutto d'ardor solare.
Dal nero velo si dispiegan
Marmoree le braccia,
Avanza assorto, triste, lui,
E pallido in faccia,
Sol gli occhi grandi e profondi
Chimerici risplendon,
Due aneliti mai sazi
Di tenebra ricolmi.
- Dalla mia sfera venni appena
Per ubbidirti ancora,
Il sole ho per mio padre,
Per madre ho la notte;
Oh, vien tesoro senza pari,
E abbandona il mondo;
Io sono Èspero il superno
E tu mi sarai sposa.
Oh, alle tue bionde chiome
Io appenda serti astrali,
Perché nei miei cieli spunti
Piu fiera degli astri.
- Sei bello come solo in sogno
Un demone s'affaccia,
Ma io mai camminerò
La via che mostrasti!
Dal tuo crudo amor mi dolgon
Del petto i precordi,
I grandi occhi grevi angoscian,
Il tuo sguardo arde.
- Come vorresti ch'io scenda?
Tu non hai mai compreso
Che io sono fuori morte
Mentre tu sei mortale?
- Non cerco apposite parole,
Né so come spiegarmi -
Benché tu parli chiaramente,
Non posso penetrarti;
Ma se tu vuoi che in buona fede
Io t'abbia sempre caro
In terra scendi a trovarmi,
Sii come me, mortale.
- Mi chiedi l'immortalità
In cambio di un bacio.
Eppure voglio che tu sappia
Quanto io possa amarti;
Sì, nascerò con il peccato,
Subendo un'altra legge;
Sono legato all'eterno,
Slegato voglio esser.
E se ne va... Se ne andò.
L'amor per la fanciulla,
Dall'orbita del ciel lo sradicò,
Parecchio tempo spento.
* * *
In questo mentre, Cãtãlin,
Infante assai furbo,
Che empie i calici di vino
Degli ospiti al convivio,
Paggio che porta a passo a passo
Lo strascico regale,
Abbandonato trovatello
Ma dallo sguardo audace,
Con due gote l'imbroglione,
Peonie vermiglie,
Lui si insinua furtivo
Guardando Cãtãlina.
Oh, come bella mi sbocciò!
E altera! Da nel cuore;
Sù, Cãtãlin, tocca a te
Metterti alla ventura.
E dolcememte, di passaggio
La prese in un angol;
- Che vuoi, sta' buono, Cãtãlin!
Ma bada ai fatti tuoi.
- Che voglio? Tu non stia più
Soprappensiero sempre,
E rida invece e mi dia
Un bacio, solo uno.
- Non so neppur che mi domandi,
Lasciami star, va' via -
Per Èspero del cielo, ahi,
Mi colse un duol di morte.
- Se non lo sai, t'insegnerei
L'amore a poco a poco,
Ma non sdegnarti, ci vorrebbe
Del bello e del buono.
Qual cacciator che mette al folto
Il laccio all'uccello,
Allorche un braccio porgerò,
Tu cingimi col braccio;
E i tuoi occhi si trattengan
Nei miei occhi, intenti...
Se per la vita t'alzerò,
Sollevanti sui piedi;
Quando ripiego il mio volto,
In alto ferma il tuo,
Ci guarderemo dolcemente
Per sempre vagheggianti;
E che l'amore pienamente
Ti sia rivelato,
Quando baciandati m'inclino,
Rispondimi con baci.
Lei dava ascolto al garzone,
Stupita e distratta;
E vereconda e carina,
Non vuole eppur si lascia.
Poi sottovoce: -Ti sapevo
Così sin da bambino;
Pettegolo e perdigiorno,
Saresti un par mio...
Ma un Èspero, emerso da
La quiete dell'obblio,
Dà orizzonte infinito
All'eremo del mare.
E di nascosta abbasso gli occhi,
Che il pianto me li affoga
Quando dell'acqua l'onde scorron
Verso di lui viaggiando;
Con senza pari amore splende,
Per spegnere il mio duolo,
Solo che sempre piu s'innalza
Che giungerlo non possa.
Pervadon tristi i freddi raggi
Dal mondo oltreumano,
Per sempre l'amerò ma sempre
Se ne terrà lontano...
Sicché i miei giorni sono
Deserti come steppe,
Le notti invence - fascino divino -
Che non posso intender.
- Tu sei ingenua e come...
Su, scappiam pel mondo!
Di noi le tracce andranno perse
E ci oblieranno.
Saremo tutt'e due saggi
Saremo lieti e salvi;
Non più rimpiangerai parenti
Né èsperi vorrai.
* * *
Si mosse Èspero. Ai cieli
Sue ali aggrandivan,
Correvan vie di millenni
In altrettanti istanti.
Un ciel di stelle al di sotto,
Di sopra un ciel di stelle -
Sembrava fulmine incessante
Fra d'esse tumultuando.
Dal cupo caos dei burroni,
A sé intorno in giro
Vedeva, come al primo giorno,
Le luci scaturire.
E scaturendo lo avvolgon
Come dei mari, a nuoto -
Lui vola - spirito che anela,
Finchè scompare tutto.
Che dove giunge non c'è fine,
Né occhio che conosca,
Invano il tempo si ingegna
Di nascere dal vuoto...
Non vi è nulla, pure c'è
La sete che l'assorbe,
Un cupo vuoto che pareggia
Il più cieco obblio.
- Dal peso del brumoso eterno,
Scioglimi, sacro Padre,
Ti sia il nome lode eterna
Sull'universa scala;
Chiedimi, Padre, ogni prezzo,
Ma dammi un'altra sorte,
Giacché tu sei fonte di vita,
Dispensator di morte;
Toglimi il nimbo immortale
E il fuoco degli sguardi,
E dammi in cambio di tutto
Un attimo d'amore...
Dal caos sono nato, Padre,
Ritornerei nel caos...
Sono il figlio della quiete,
Anelo alla quiete...
- Iperion che dai burroni
Spunti coll'universo,
Non chieder segni e prodigi
Che non han nome e volto;
Tu vuoi valere quant'un uomo,
Rassomigliarti a loro?
Periscan gli umani tutti,
Ne nasceranno ancora.
Solo nel vento essi plasman
Deserti ideali -
Quand'onde trovan una tomba,
Addietro sorgon onde;
Essi han solo le lor stelle,
Di buona e mala sorte,
Noi oltre tempo, oltre spazio
Siamo oltre morte.
Del grembo, dell'eterno ieri
Vive l'oggi che muore,
Un sole se si spegne in ciel,
Ancor s'accende sole.
Di sorgere per sempre illuso,
Morte l'incalza e pasce,
Che tutti nascon per morire
E muoion per rinascer.
Ma tu, Iperion, perduri
Dovunque tramonti...
Chiedimi ii detto primordiale -
Offrirti la saggezza?
Vuoi ch'io dia a quella boca,
Tal voce che il canto
Rimuova i monti e le selve
E l'isole del mare?
Vuoi forse compiere coi fatti
Giustizia e valore?
Il mondo a pezzi di darei
A farne il tuo regno.
Ti do velieri e velieri,
Eserciti a percorrer
In lungo e in largo l'orbe,
La morte non consento...
Per chi vuoi tu morire, sai?
Rivolgiti e torna
A quella terra errabonda:
Vedrai ciò che t'attende.
* * *
Al suo posto destinato
Risale Iperione
E come tutti i giorni d'ieri,
Riversa la sua luce.
Giacché la sera è al tramonto,
La notte sta calando;
La luna sorge piano piano
Tremante, dalle onde.
E inargenta di faville
I sentier dei folti.
Sotto il filar di alti tigli
Due giovini sedean.
- Accogli la mia fronte al seno,
Amore, a riposare
Ai raggi del sereno occhio
Inenarrabil dolce;
Col fascino del freddo lume
Pervadi i miei pensieri,
Eterna quiete spandi su
La notte di tormenti.
Del tuo raggio vegliami
A spegnere il mio duolo,
Che il mio primo amore sei
E l'ultimo mio sogno.
Dall'alto Iperion guardava
Quant'eran trasognati;
Appena lui le cinse il collo
Che lei lo abbracciava...
Odoran fiori argentini
E cadon, dolce pioggia,
Sui capi di quei pargoli
Con bionde lunghe chiome.
Ebbra d'amore, lei innalza
I suoi occhi. Vede
Il suo Èspero. Gentile
Gli affida i desii:
- Scendi da me, Èspero blando,
Fluendo su un raggio,
Pervadi il bosco, il pensiero
Rischiara la mia sorte!
Lui tremola com'altre volte
Sui boschi e sui colli,
Guidando solitudini
Di tumultuose onde;
Ma più non piomba come allora
Nei mari dagli alti:
- Che importa te, volto di polve,
Se fossi io od altri?
Vivendo nell'angusto cerchio
Vi fa da scorta il fato,
Mentre nel mio mondo sono
Eterno, freddo, alto.

(Traduzione di Geo Vasile)

giovedì 3 dicembre 2015

Digimon: la prima grande storia che abbia conosciuto- parte II

Torniamo a parlare dei Digimon, la prima grande storia che mi ha segnato.
Ho già accennato al fatto che i Digimon mi piacquero fin da subito a causa del loro aspetto: esso poteva essere mostruoso, maestoso, inquietante, leggiadro o evocativo, una varietà che rispecchiava tantissime forme e gusti diversi, e questo non pregiudicava il loro schieramento dalla parte del bene o del male. Qui c'è qualcosa che sta alla base dei miei gusti e interessi, il fatto che mi piacciano così tanto i mostri e il loro aspetto, che sia abituato a vederli perdere davanti al kalòs kai agathòs, l'eroe buono e il cui aspetto non genera spaesamento, senza artigli e senza squame; ma che preferisca di gran lunga un'altra situazione, quella in cui l'azione eroica, quella che riempie di pathos e di emozione, viene compiuta da un mostro, perché indipendentemente da quello che pensino gli altri lui non è schierato automaticamente da una parte piuttosto che da un'altra: ha la sua autonomia e la possibilità di scegliere cosa fare.
Paildramon vs Triceramon.
Non è limitato da quello che è per gli altri, e ti porta a domandarti cosa sia in realtà. Le lotte corpo a corpo fra Digimon simili a draghi e demoni, o scontri a mezz'aria fra guerrieri con armature asimettriche, tutte queste cose mi riempivano di quell'emozione e di quel senso di ammirazione in maniera diversa dai canoci scontri fra il cavaliere buono e quello cattivo, e mi riempiono ancora quando le rivedo.

A questo, poi, si ricollega un altro tema: nei Digimon il bene e il male non sono fissi e non sono banali. Quasi tutti gli antagonisti hanno dietro di sé chiare motivazioni e una personalità ben definita che corrisponde alle azioni che compiono, e con alcuni si riesce a simpatizzare. Non solo, ma nelle varie serie si assiste alle storie eroiche di personaggi partiti come emissari del male, distruttori o perseguitori del proprio fine egoistico, che a un certo punto cambiano, scelgono gli altri e la vita, e nella maggior parte dei casi mettono a repentaglio la propria. Alcuni la perdono, e quei momenti mi hanno segnato più degli altri.
Un caso su cui voglio soffermarmi è quello di BlackWarGreymon, forse il mio personaggio preferito in Digimon Adventure 02: un Digimon creato artificialmente da un altro Digimon malvagio con lo scopo di eliminare i protagonisti, che però non riconosce l'autorità del proprio creatore e combatte per se stesso. Nel corso delle battaglie si rende conto però di non avere idea del perché lo faccia, giungendo a domandarsi il perché delle sue battaglie e della sua stessa vita: "vorrei capire perché esisto". E per quanto al tempo questa storia mi colpisse e mi facesse riflettere, solo in seguito ne ho riconosciuto la reale portata: in un cartone animato fatto per dei bambini, un personaggio -un nemico, tra l'altro- si poneva i grandi interrogativi universali cui tuttora nemmeno noi siamo riusciti a rispondere! E lo faceva con una profondità che mi parla ancora, attraversando un percorso complesso ed eroico culminante, dopo aver accettato i consigli dei "buoni", che gli parlavano di amicizia e di vivere la vita cercando di essere felici, con il sacrificio per una persona che nemmeno conosceva. E che pianti, quando lo vidi accadere.
Lo scrivente, mentre cercava un'immagine da postare, ha avvertito una fitta al cuore ripensando a tutti quei momenti.
I Digimon mi hanno mostrato questa e molte altre storie individuali di grande valore, insieme all'unica storia epica che le riunisce, e mi hanno lasciato tante piccole lezioni di importanti: non arrendersi, fidarsi dei propri amici anche quando si ha paura di farlo, non permettere alla propria oscurità interiore di prendere il sopravvento. Mi hanno insegnato tantissimo sui rapporti di amicizia, su quelli con la propria famiglia, sul rapporto con l'altro, col diverso, così tante cose da non poterle elencare tutte.
Una delle più straordinarie, però, è il finale di Digimon Adventure 02, dopo la sconfitta dell'ultimo avversario e l'avvento della nuova, strabiliante possibilità, di viaggiare fra il mondo reale e quello digitale liberamente: tutti i protagonisti di questa serie e della precedente vengono mostrati da adulti, con i loro Digimon e le loro nuove famiglie, tutti con altri Digimon; alcuni hanno coronato i sogni che avevano, altri hanno scelto un lavoro o si sono sposati con persone che mai avrebbero ipotizzato di scegliere. Era una prima finestra, per dei bambini, sul futuro che aspetta chi cresce e va avanti, dal punto di vista di altri bambini che ci erano arrivati.
E non dimenticherò mai quando mio padre  (che ha visto con me tutte e quattro le serie trasmesse in Italia) disse in quel momento che quella che stavo vedendo era la vita, per come va davvero. Le ultime parole della serie, poi, erano rivolte, per la prima volta direttamente a noi, al pubblico; dicevano «Ci sono luci e ombre nella vita di tutti gli esseri umani e spesso il confine tra il bene e il male è molto sottile. Avrete tanti momenti felici e tante delusioni, tuttavia, finché terrete accesa la luce nel vostro cuore e allontanerete le tenebre, avrete la forza per trasformare i sogni in realtà e per lanciarvi in qualsiasi avventura.»

Tutti i personaggi di Adventure e Adventure 02 con i Digimon, i figli e i Digimon dei figli.
Beh, tutti tranne Davis, lui arrivava sempre in ritardo.
TK da adulto invece era il narratore delle due serie.










È dopo tutto questo, e dopo altre quattro serie (la terza, Digimon Tamers, un altro capolavoro, le successive un po' inferiori) che giunge Digimon Adventure Tri.
La notizia giunge l'anno scorso in estate, in occasione del quindicesimo anniversario dei Digimon (l'1 agosto, nella storia, è la data in cui i protagonisti della prima serie arrivano a Digiworld), e sconvolge tutti quanti. Nessuno se l'aspettava, o osava sperare una cosa del genere. La cosa più bella era che il trailer si rivolgeva esplicitamente "a tutti i digiprescelti del mondo" e diceva, citando frasi dell'anime, "questi Digimon sono cresciuti con noi, sono diventati nostri compagni" (e pensare che quella pubblicità che me li fece scoprire in quel lontano 1999 diceva anch'essa "diventeranno i vostri migliori amici"); si rivolgeva, dunque, a tutti quelli che come me avevano seguito la serie all'inizio e in quei quindici anni erano cresciuti ed erano cambiati, ma avevano lasciato un posto speciale nel proprio cuore per questo mondo e i suoi abitanti. Fu un'emozione incredibile, e l'attesa, di oltre un anno, costellata di teorie, speculazioni, speranze. Inizialmente si era parlato di una serie a episodi, poi fu chiarito che sarebbero stati sei film, ma nonostante il disappunto, quando vidi le prime immagini mi commossi come non mai.
Finalmente, ho visto questo film. È una premessa a quello che accadrà, non siamo per nulla nel vivo, ma intanto i vecchi eroi sono tornati e hanno combattuto i primi, spettacolari scontri.
La cosa più bella è proprio il loro ritorno. Nel film sono passati solo tre anni dal precedente, ma in qualche modo è come se gli autori fossero riusciti a riprodurre, non so perché mi sembri così, il lasso di tempo molto più lungo trascorso nella realtà.
Certamente mi sarebbe piaciuto poter scrivere un post incentrato su questo film, sulle mie impressioni e sulle teorie che mi sono venute in mente su questo film (basti dire che esso si apre con un racconto su un "Demiurgo" che crea il mondo, e sul caos che si diffonde in questa creazione), ma non avrebbe senso, sarebbe un post precluso a coloro che non conoscono la storia.

Ma mi auguro che, oltre alla mia strabordante passione per questo mondo, questi due post abbiano trasmesso curiosità, interesse, rispetto per qualcosa di così ricco e complesso, e per un cartone animato che contiene ben più di quello che basta ad intrattenere. Possibilmente, spero di aver dimostrato che un cartone animato, che nell'opinione media perde il suo valore una volta finita l'infanzia, ha in realtà un'importanza che va ben oltre, perché le storie belle, le emozioni umane e le lezioni di umanità, non conoscono età.
Ci sono molti modi per vedere tutte le stagioni dei Digimon, pagine Facebook, siti di streaming, posso indicarveli. E presso le stesse fonti è possibile vedere il nuovo film, che la community italiana ha prontamente sottotitolato. Così, nel continuare questo viaggio di eroismo, amicizia, paura e coraggio, cominciato sedici anni fa e ripreso dopo una lunga pausa, saremo di più.

Locandina di Digimon Adventure Tri.