giovedì 19 gennaio 2017

Sfidanti del Fato: gli antieroi della Terra di Mezzo - Tolkien, il signore della mitopoiesi V

Quanto ho detto nel post precedente su Eärendil, Elwing, Lúthien, Beren, Aragorn e Arwen, è un concetto che ho trovato ricorrere nelle loro storie, molto simili tra loro per tanti motivi (senza contare che tutti questi personaggi sono imparentati). Una bella metafora di un bel tipo di eroismo.
Ciò non significa che tutti gli eroi del legendarium siano simili, per carattere e per vicenda vissuta.
Soprattutto, non significa che tutte le loro storie abbiano un lieto fine.

La selezione di questo post presenta alcuni personaggi -sempre in numero esiguo, in modo da dare più spazio alla loro storia, e sempre estesamente, per informare chi non la conosce e dilettare me stesso raccontandola- che è certamente corretto chiamare eroi, perché agiscono in maniera eccezionale, guidati da un carattere, una passione, uno spirito infuocato (e tale è il significato del nome d'uno di essi) che opera potentemente sul mondo fino a cambiarlo immutabilmente, ma che lo fanno in maniera poco o affatto virtuosa, per sé stessi, per un ideale distruttivo, perché, semplicemente, su di loro gravava un fato avverso, e magari perché hanno provato a sfidarlo (o non hanno potuto che soccombergli).

Fëanor, figlio di Finwë, è colui che mette in moto, insieme all'oscuro signore Morgoth, la vicenda del Silmarillion, in quanto è l'artefice dei Silmaril egli stesso. Manifesta un tipo di personaggio che emana un'aura romantica e byroniana, l'eroe maledetto, assoluto ed estremo, è la causa di molti dei mali che si compiono nella Prima Era, ed è anche il mio personaggio preferito all'interno del Silmarillion.  Finwë suo padre è il re dei Noldor, che insieme ai Vanyar e ai Teleri sono una delle stirpi di Elfi originarie che, comparse sulla Terra di Mezzo, vengono guidate dai Valar, le Potenze del Mondo, nel Paese Beato di Valinor. I Noldor progrediscono incomparabilmente nella forgiatura, nell'oreficeria e in tutte le arti creative, grazie anche alla guida di Aulë, il Vala della Terra e della Metallurgia, e fra essi Fëanor, primogenito di Finwë, si distingue per un'abilità ancora più progredita, oltre che per la forza fisica e spirituale (il suo nome, come anticipavo, significa "spirito di fuoco") massime fra tutti gli Elfi di ogni epoca.
"Fëanor" di Catherine Karina Chmiel.
Egli, che è anche colui che perfeziona l'alfabeto Tengwar, realizza, grazie alla luce dei Due Alberi, che illuminano il mondo in quest'epoca in cui sole e luna non esistono ancora, i tre Silmaril, cristalli di pura luce, gli oggetti più mirabili di quella e di tutte le altre epoche. Uno splendore tale da suscitare l'invidia e la bramosia di Morgoth, che in quell'epoca non ha ancora questo nome e viene chiamato Melkor, come all'inizio del mondo: dopo lunghe ere di prigionia, è stato liberato dai Valar e ha promesso il suo aiuto ai Figli di Iluvatar, e tale aiuto ha anche elargito, senza però mai smettere di covare brame perfide e tiranniche, tanto da allearsi con una delle creature che vivono nel Vuoto oltre il mondo, la Maia ragno Ungolianth.
Approfittando di un momento di festa in cui Elfi e Valar sono riuniti nella città di Tirion, Morgoth e Ungolianth si recano a Formenost, dove si trovano i Silmaril, e dopo aver ucciso Finwë, versando il primo sangue della storia, Ungolianth uccide i due alberi con il suo veleno e Morgoth ruba i Silmaril, per poi dirigersi, i due malvagi, verso la Terra di Mezzo.
"Il giuramento di Fëanor" di Jenny Dolfen.
Quando questi avvenimenti vengono conosciuti, Elfi e potenze angeliche restano sconvolti, e più di tutti lo è Fëanor, privato del padre e della sua creazione, dell'opera delle sue mani che tutti adoravano e di cui lui era orgoglioso. Fëanor, che adesso è re dei Noldor, parla alla sua gente e pronuncia discorsi di fuoco e di orgoglio, e proclama, contro il decreto dei Valar, che impedisce a lui come a chiunque altro di partire da Valinor, che seguirà Melkor -cui è proprio lui a dare il nome di Morgoth- nella Terra di Mezzo e fino in capo al mondo per riprendere i suoi Silmaril. E qualora ciò non fosse abbastanza blasfemo, pronuncia un atroce giuramento che impegna lui e tutti i suoi sette figli. Maedhros, Maglor, Celegorm, Caranthir, Curufin, Amrod e Amras:

« Che sia amico o nemico, dannato o innocente,
progenie di Morgoth o luminoso Vala,
Elfo o Maia, o Creatura ancora non vivente,
Uomo ancora non nato sulla Terra di Mezzo,
né leggi, né amore, né legioni di spade,
né terrore, né perigli, né il Fato stesso,
difenderanno da Fëanor, o dalla stirpe di Fëanor,
colui il quale giammai nasconda, possieda, afferri,
trattenga o porti via seco un Silmaril.
Questo giuriamo tutti insieme:
morte gli daremo, fino alla fine dei Giorni,
sventura, fino al collasso del mondo!
Ascolta le nostre parole, o Eru, Padre-di-tutti!
Alla Tenebra Eterna condannaci, se mancheremo ai nostri propositi.
Il Sacro Monte ci ascolti in testimonio,
e ricordate il nostro voto, o Manwë e Varda! »

Fëanor, che ha infiammato lo spirito della maggior parte dei Noldor, inclusi quelli che formano il corteo dei suoi fratelli, Fingolfin e Finarfin, si avvia, con un gran seguito, verso il porto di Alqualondë, dove si trovano le navi dei Teleri, le uniche imbarcazioni a sua disposizione: allorché i Teleri gli si oppongono, Fëanor dà inizio al secondo spargimento di sangue a Valinor, il primo (di molti) compiuto da Elfi contro altri Elfi.
"Il Fratricidio di Alqualondë" di Ted Nasmith.
Continuando la strada verso nord e giunti nella regione di Araman, ecco venire loro incontro un messaggero, che si dice essere Mandos, il Vala della morte: e Mandos maledice a sua volta la stirpe di Fëanor, cui profetizza mali, tradimenti, la distruzione di qualunque cosa tentino di costruire, e per ultima la loro morte e la "stanchezza di vivere" di quelli che non moriranno; e mentre i Noldor tacciono, scossi per tali detti, e Finarfin si ritira per implorare il perdono dei Valar, Fëanor replica a quei detti e annuncia al suo popolo che, rispetto ai tanti mali che vengono loro prefigurati, «una cosa, però, non ci vien detta: che soffriremo per codardia, per via di codardi o per paura di codardi. Pertanto io dico che proseguiremo, e questo parere soggiungo: le imprese che compiremo saranno materia di canto fino agli ultimi giorni di Arda.»
Fu così che la sua schiera, quella di Fingolfin e quella guidata da Finrod figlio di Finarfin, giungono al punto ove si estende, fra Aman e la Terra di Mezzo, una strada congelata chiamata Helcaräxë, "ghiaccio stridente": attraversarla significherebbe gravi perdite; e poiché le navi non sono sufficienti (alcune le hanno perdute) e il tradimento profetizzato da Mandos oscura già i cuori degli Elfi, Fëanor, consapevole di come alcuni dei Noldor lo ritengano causa del loro male, parte senza preavviso, portando con sé i figli e quanti ritiene devoti, prendendo tutte le navi; e, una volta giunto nella Terra di Mezzo, le incendia. La marcia di Fingolfin e dei suoi attraverso l'Helcaräxë, che pure li decima, resterà una delle imprese più dure e disperate della storia dei Noldor.
La presenza dei Noldor non passa a lungo inosservata, e prima che Fëanor abbia finito di allestire il campo, viene circondato dagli eserciti di Orchi di Angband: e quivi Morgoth impara a temere i Noldor, in quanto, nel corso di una battaglia di dieci giorni, Dagor-nuin-Giliath -"battaglia sotto le stelle"- pur molto inferiori numericamente i Noldor trionfano e non lasciarono che pochi superstiti dell'enorme esercito di Morgoth. Tuttavia, Fëanor, ebbro di sangue e ignaro delle difese di Angband, continua ad avanzare, macellando i nemici, fino a lasciarsi alle spalle il suo esercito e a proseguire, credendo la sua vendetta ormai a portata di mano e ridendo al suo pensiero: il suo impeto è tale da portarlo a ritrovarsi accerchiato dai Balrog, i demoni di fuoco, Maiar caduti, che costituiscono la maggior forza di Morgoth, e dal loro capo, Gothmog. E combatte ancora, da solo, noncurante delle ferite, fino allo stremo, quando, ormai caduto, viene salvato dal resto dell'esercito che lo raggiunge e mette in fuga i nemici. Ma la sua ora è ormai giunta, e così, dopo aver scorto da lontano le torri di Angband, comprendendo che i Noldor non le distruggeranno mai con le loro forze, maledice Morgoth tre volte, ingiunge ai figli di onorare il giuramento, e muore, liberando il suo spirito, che è così ardente da incenerire il suo corpo appena lo lascia.
"L'incendio delle navi" di Ted Nasmith.

Questi è dunque Fëanor, il campione di tutte le arti, l'assoluto nell'epopea dei Silmaril, colui più in alto del quale, ad eccezione degli dèi, non si potrebbe andare: il più forte, il più audace, il migliore artefice, il maestro della parola che porta gli altri dalla sua parte grazie al suo talento, Fëanor è insuperabile, ed è come se lo spirito infuocato che alberga dentro di lui fosse sempre in tensione verso qualcosa di più grande, non solo bruciando il suo corpo, ma spingendo un intero mondo insieme al suo volere, scatenando qualcosa che muterà e continuera a crescere e ad espandersi anche dopo la sua morte. Fëanor osa, osa sempre, osa compiere un'opera cui nessuno ha pensato, osa sfidare Morgoth, osa ribellarsi ai Valar, osa infrangere la pace di Valinor, osa attraversare il mare, osa caricare a testa bassa verso Angband e continua a combattere anche contro nemici più potenti e numericamente insormontabili. È dannato? Pochi lo sono più di lui: non solo si  ribella, ma provoca la morte dei Teleri ad Alqualondë, poi degli Elfi di Fingolfin sull'Helcaraxë, e soprattutto è causa indiretta, attraverso il giuramento, della morte di migliaia di Elfi nel corso della Prima Era, fino alla distruzione del Doriath e della dimora degli Elfi del Sirion, ad opera dei suoi figli.
Insieme a Morgoth, col quale ha in comune più di quanto non avrà voluto ammettere, Fëanor è il maggiore agente del male nella storia del Silmarillion: oserei dire che tra i due si possano scindere le due figure, tradizionalmente associate, di Satana e di Lucifero: per quanto Morgoth sia stato un angelo, più bello e potente di ogni altro, caduto e diventato causa del male per la sua superbia, è Fëanor a provocare la caduta degli Elfi, a spezzare il patto con Dio e a portarli a seguirlo, condotto dal proprio egoismo, mentre persegue uno stato di esistenza che li porti a raggiungere il rango degli dèi (come farà, nella Seconda Era, Sauron con il popolo di Númenor). Tolkien suggerisce, non posso dire se intenzionalmente, una lezione che ho fatto mia da un po' di tempo, vale a dire, se esiste un male, se è possibile essere malvagi, quel male ha la sua prima radice nell'egoismo, in maniera speculare al bene, che significa porre qualcun altro davanti a se stessi, come fanno tutti quegli eroi di cui non parlerò qui, Fingolfin, Finrod, Tuor, oltre che Lúthien, Beren, Eärendil, Aragorn, Arwen, Frodo e Sam.

Túrin Turambar è l'eroe tragico per antonomasia. Nella lettera a Milton Waldman del 1951, pubblicata dopo la prefazione del Silmarillion dalla seconda edizione in poi, Tolkien riferiva i nomi dei personaggi letterari da cui Túrin deriva: Sigurdhr (Sigfrido) per il mondo germanico, Edipo per quello greco e Kullervo per quello finnico -aggiungendo comunque che il senso del personaggio non è racchiuso nei modelli da cui deriva. Kullervo, che rispetto agli altri due è meno comunemente noto, è uno dei quattro protagonisti del Kalevala, il poema nazionale finlandese, ed è un giovane dotato di poteri magici che vive una serie di peripezie dall'esito drammatico, la somiglianza della sua storia con quella di Túrin è quanto ha incentivato la vendita del libro "La storia di Kullervo", pubblicato nel 2016 e contenente un inedito in prosa e versi, incompiuto, scritto da Tolkien intorno al 1914.
Túrin Turambar di Alan Lee.
Túrin è un Uomo, discendente di una delle tre case degli Edain, gli amici degli Elfi, la casa di Hador, ma la sua è una stirpe maledetta: suo padre, Húrin, dopo essersi battuto come un dannato contro Morgoth nella Nirnaeth Arnoediad, la Battaglia delle Innumerevoli Lacrime che ha sconvolto il Beleriand, è stato da lui fatto prigioniero e segregato nella sua fortezza di Angband, incatenato, condannato a vedere e sentire tutto ciò che avesse sentito Morgoth e quindi conoscere i suoi turpi disegni senza poterli impedire. Sua moglie, Morwen, cresce il figlio nel Dor-lómin, una regione settentrionale vicina al territorio di Morgoth, insieme a una sorellina, di nome Urwen, che muore da piccola a causa di una pestilenza proveniente da Angband, prima delle molte perdite che Morgoth causa a questo eroe.
Túrin viene preso sotto la protezione di Thingol, re del reame elfico del Doriath, che solo alcuni anni prima aveva ospitato Beren e gli aveva concesso in sposa Lúthien sua figlia. Quivi egli si lega di profonda amicizia a Beleg Arcoforte, il più grande arciere degli Elfi dei Tempi Remoti, e diviene il più accanito sostenitore della guerriglia sostenuta dagli Elfi contro le forze di Morgoth, al punto da insistere per passare allo scontro aperto. Durante uno dei suoi viaggi causa la morte, primo di molti a lui legati che incontreranno il proprio fato per sua mano, di Saeros, un Elfo del Doriath che dopo uno screzio con lui fugge e cade nella corrente di un fiume, e per questo motivo, piuttosto che tornare da Thingol e affrontarne il giudizio, sceglie l'esilio e si unisce a una banda di fuorilegge umani. Beleg, inviato a cercarlo per comunicargli il perdono del re, lo trova insieme alla sua nuova compagnia e non riesce a convincerlo a tornare, ma, una volta nel Doriath chiede nuovamente a Thingol di potersi recare di nuovo dall'amico, e Thingol, offrendogli in dono la spada che desidererà, accetta, benché a malincuore, che Beleg prenda Anglachel, la spada nera forgiata secoli prima dall'Elfo oscuro Eöl (padre di quel Maeglin che contribuisce alla caduta di Gondolin), sapendo che quella spada è malvagia.
Túrin e i suoi catturano Mîm, appartenente alla razza dei Nanerottoli, che riscatta la sua libertà offrendo di mostrare loro la sua dimora di Amon Rûdh.
"Beleg è ucciso" di Ted Nasmith.
Passa altro tempo e Mîm, catturato dagli Orchi, rivela anche a loro dove si trova la sua dimora, con Túrin e i briganti: sulla strada, Beleg, che nel frattempo ha incontrato Gwindor, Elfo di Nargothrond fuggito dalla prigionia di Angband cui era stato costretto dopo la Nirnaeth Arnoediad, riesce a raggiungere gli Orchi e a liberare Túrin, che ha perso conoscenza per via delle torture che ha subito. Ed ecco: durante quella notte, mentre una tempesta infuria su di loro, Beleg utilizza Anglachel per tagliare i lacci che avvingono Túrin, ma sbaglia, la lama manca i lacci e ferisce la carne del figlio di Húrin, il quale, reagendo d'istinto, afferra l'arma ed infilza quello che ritiene un altro aguzzino, per poi levarsi in piedi e scoprire, nell'agghiacciante durata di un lampo, di avere ucciso il suo amico più caro.

L'esito di quell'atto (non dirò "dolore" o "disperazione", perché un male così grande non potrei racchiuderlo in un nome) lascia Túrin completamente privo di voglia di vivere o di stimoli. È Gwindor a condurlo alle acque di Ivrin, che permettono a Túrin di riprendere a vivere e di comporre un canto in memoria di Beleg; dopodiché, lo conduce nel Nargothrond.
Anche qui, Túrin è rapido a ritagliarsi un posto, divenendo caro a re Orodreth e al suo popolo, e più ancora, alla di lui figlia Finduilas, che aveva amato Gwindor prima della guerra, e che pure è felice di ritrovarlo, ma che finisce per legare il suo destino a quello del figlio di Húrin. Le imprese che questi compie a danno delle forze di Angband, per affrontare le quali convince gli Elfi a costruire un ponte che permetta ai loro eserciti di spostarsi rapidamente attraverso le mura, diffondono la sua fama al punto che ovunque, nella Terra di Mezzo, si sente parlare del Mormegil, "Spada Nera", benché non si sappia chi egli sia (la spada, in quel mentre, viene ribattezzata Gurthang). Il suo parere diviene forte all'orecchio di Orodreth, tanto che, quando dei messaggeri inviati da Ulmo, Vala del mare, che sa che Morgoth sta apprestando un'armata contro di loro, lo esortano a barricarsi nella città e abbattere il ponte, Orodreth ne ignora il consiglio, confidando, ormai oltremisura, nelle sue forze.
Túrin incontra Glaurung sul ponte di Nargothrond
Kip Rasmussen.
È così che l'esercito di Morgoth, guidato da Glaurung, Padre dei Draghi, il primo drago della Terra di Mezzo e tra i più letali servi dell'Oscuro Signore, riesce a distruggere la resistenza degli Elfi e a compiere il Sacco di Nargothrond. Orodreth e Gwindor muoiono quel giorno, e quando Túrin raggiunge le porte sfondate dal drago, questi lo paralizza e lo confonde con l'incantesimo del suo sguardo, tanto da impedirgli di vedere Finduilas e le altre donne portate via dagli Orchi, e lo inganna, spingendolo a tornare nel Dor-lómin dove, dice, sua moglie e sua sorella soffrono per causa sua, quando esse, in realtà, si sono da lungo trasferite al sicuro nel Doriath. Túrin corre per giorni fino alla regione settentrionale della sua infanzia, solo per scoprire di aver fatto il gioco del drago, che adesso si è impossessato del Nargothrond e del suo tesoro, e riparte alla ricerca di Finduilas. Nella regione del Brethil, viene infine a sapere da alcuni Uomini dei boschi guidati da Brandir che la figlia del re elfico è morta, perché, dopo essersi allontanati dal Nargothrond, gli Orchi erano stati attaccati dagli Uomini del Brethil e avevano trucidato le prigioniere prima che questi potessero liberarle. Davanti a Haudh-en-Elleth, il tumulo eretto per lei, Túrin si ritrova nuovamente senza spirito e col cuore pieno di tenebra; ma quegli Uomini lo convincono a restare con loro, e Túrin, sperando di potersi lasciare il passato alle spalle, rimane con loro e decide di chiamarsi Turambar, che significa "padrone del destino".

Nel frattempo, Morwen e Nienor, dopo aver udito, tra le tante voci del tempo, che la Spada Nera di Nargothrond potesse essere Túrin, hanno lasciato il Doriath per cercarlo; gli Elfi inviati in loro ricerca, guidati da Mablung, riescono a trovarle, ma prima che possano riportarle indietro il gruppo viene attaccato da Glaurung in persona, che ne ha scorto l'arrivo, e nella confusione, il Padre dei Draghi isola Nienor e usa il suo sguardo su di lei, lasciando preda di uno stato di apatia e amnesia. Dopo che il drago si è allontanato, Mablung ricompone il gruppo e tenta di riportare indietro Nienor, ma un ulteriore attacco, questa volta operato dagli Orchi, li separa nuovamente, e Nienor fugge lontana fino ad arrivare al Brethil, dove si attarda sul tumulo di Finduilas: ed è proprio lì che Túrin la incontra, Túrin che non ha mai conosciuto sua sorella e che si lega subito alla sconosciuta, che inizialmente non è nemmeno in grado di parlare e ha bisogno che glielo si insegni, e che piange quando le si domanda il suo nome tanto che Túrin gliene assegna uno, Niniel, "fanciulla in lacrime"; e anche dopo essere guarita dall'amnesia, non ha memoria del suo passato, ma resta con Túrin innamorandosi di lui e coronando l'amore con le nozze e con una gravidanza.

"Túrin e Nienor" di Ted Nasmith.

Quello stesso anno gli Orchi si spingono nel Brethil, costringendo Túrin ad uscire allo scoperto: ciò fa sì che anche Glaurung si rechi nel Brethil. Túrin si arrampica sul colle ove si è stanziato il drago, appostandosi vicino al fiume che separa le due sponde tra le quali questi ha disteso il corpo, e come Sigurdhr il Volsungo lo trafigge nel ventre con la spada.
Glaurung non muore subito, benché inizialmente sembri di sì: il suo spirito rimane saldo al corpo per compiere ancora due sortilegi: il primo è un altro sguardo malefico rivolto a Túrin dopo l'uccisione, che gli perdere conoscenza; il secondo è danno di Nienor-Niniel, che, nel frattempo, è fuggita dal villaggio dopo essere stata insidiata da Brandir, e da questi inseguita ha raggiunto il colle in cerca di Túrin -molto più coraggiosamente di tutti gli Uomini del Brethil che non hanno voluto accompagnarlo- fino a ritrovarsi davanti il corpo del mostro, che con un ultimo spasmo le rivela l'inganno e spezza il maleficio che avviluppava la sua memoria: così Nienor ricorda il suo passato, realizza di essere incinta di suo fratello, e infine, sconvolta, si getta nelle rapide.
La spettacolare visione di John Howe
dell'uccisione di Glaurung.
Brandir, che ha visto e sentito ogni cosa, torna a raccontare l'accaduto agli Uomini del Brethil, inclusa la notizia della parentela fra i due sposi, e proprio allora riappare Túrin, ridestatosi, che crede che Brandir stia gettando infamia su lui e su di lei e lo uccide con Gurthang. Le sue parole, però, l'hanno ferito, così che, in un'ulteriore fuga dissennata, ritorna presso le spoglie del drago, dove nel frattempo sono giunti gli Elfi di Mablung; e vedendoli, Túrin domanda loro che cosa sia stato di sua madre e sua sorella, e loro gli rispondono, e lui lo apprende, e capisce che, nonostante il suo nome, il fato lo ha raggiunto di nuovo e lo ha dominato. E in quell'ora più nera di ogni altra, si rivolge alla sua spada, Gurthang, e allo spirito funesto che dentro vi alberga, e le offre la sua vita; e la spada, assetata di sangue, la accetta in pagamento di quella di Beleg e di quelle di Brandir, uccisi ingiustamente. Túrin si getta su di essa come un eroe omerico, ponendo fine alla sua sventura e compimento alla maledizione di Morgoth; gli infelici Elfi lo pongono sotto una pietra che porta il suo nome e quello di Nienor.

Túrin è inseguito per tutta la sua vita da un male oscuro la cui presenza è palpabile, anche quando intorno a lui non ci sono Orchi o Draghi. È la maledizione di Morgoth, scagliata su lui e su Nienor per colpe (che per noi sono meriti) di un padre maledetto a sua volta ad assistere a tutte le loro pene senza poter intervenire -e senza, ci dice l'autore, pregare Morgoth per avere misericordia per sé o per loro- ; è il Fato, quello senza volto che nessuno potrà mai fare a meno di affrontare, quello cui lui si è rivolto per nome quando si è chiamato Turambar, ma che non gli ha permesso di onorare quel titolo; è questo, ma anche qualcos'altro. Come oscuri sono il sangue da cui è nato e la morte cui andava incontro, oscuro era anche lui, di una natura diversa da quella degli altri abitanti della Terra di Mezzo, tra i quali, ogni volta che si è unito a loro, ha dominato in un primo tempo, forte del potere del suo cuore e del suo corpo, finendo poi sempre per allontanarsi, mentre il suo tristo compagno lo seguiva e portava la distruzione ad Amon Rûdh, nel Nargothrond e nel Brethil. Straziante è pensare a come lui abbia più volte la possibilità di evitare il disastro, nel Doriath, dove Thingol gli avrebbe concesso il perdono, e poi a Nargothrond, dove gli era stato detto che si sarebbe salvato se fosse rimasto vicino a Finduilas. Possibilità illusorie, poiché al suo destino non sarebbe sfuggito comunque.
La morte di Túrin raffigurata da John Howe.
Ma ciò che veramente grava su di lui è la sua anima, un'anima che ha bisogno del sangue e della violenza, che ricerca la battaglia ovunque vada e sacrifica le vite degli altri sul campo, trascinandole dietro ogni volta che (sia nel Doriath che nel Nargothrond che nel Brethil) convince i popoli che incontra a muovere guerra aperta contro gli Orchi; che dopo ogni massacro è offuscato dalla tenebra, la tenebra del male che compie o quella di Glaurung, ma che finisce sempre per riprendersi: ed ecco, e qui voglio solo intessere un mio ricamo intorno alla storia, ecco, dicevo, che la battaglia contro il drago, la manovra più importante che lui compia in un'ottica macroscopica delle guerre del Beleriand, il momento che costituisce il punto più alto del cammino degli eroi nella maggior parte delle storie, una prova che avrebbe potuto annientarlo, non lo finisce, ma lui gli sopravvive, e tale è il punto cui arriva la sua gloria che l'unico nemico che costituisce ancora una sfida è lui stesso, sì che è solo con la sua morte che la sua sete di sangue si può placare.

giovedì 5 gennaio 2017

Una luce al di là delle tenebre: gli eroi della Terra di Mezzo - Tolkien, il signore della mitopoiesi IV

Il primo post dell'anno nuovo, per buon augurio, per continuità con l'ultimo dell'anno vecchio, ma soprattutto per la ricorrenza, il 3 gennaio, del 125esimo anniversario della nascita del professore di Oxford, sarà una nuova passeggiata per la Terra di Mezzo, un altro spunto su cui riflettere e dal quale partire per costruire qualcosa di più grande, che è quello che John Ronald Reuel Tolkien (3 gennaio 1892 - 20 dicembre 1973 - ad infinitum) ha fatto e ci ha insegnato a fare.

Uno dei temi portanti del legendarium è l'eroismo, si parla di saghe, di tempi remoti, di guerre, di spade, non occorre aggiungere molto sul perché si parli di eroismo. Quello che ci interessa è il come, dell'eroismo.
Le fonti di quest'epica contemporanea sono, tra le tante, le epiche medievali -e in parte minore anche quelle classiche- che sugli eroi si spendono molto.
Beowulf, forse l'opera prediletta da Tolkien, in quanto unica epica anglosassone e considerato il lavoro come filologo e come critico che lui svolse su di essa, è, prima di ogni altra cosa, la storia di un eroe. Un eroe di cui ci viene narrato dalla giovinezza alla vecchiaia, con le imprese della sua formazione, quelle lotte prima contro Grendel e poi contro sua madre, che gli valgono fama, gloria, riconoscimento, ricchezza, che egli acquista presso i Danesi e che riporta con sé tra i Geati, dei quali diviene re dopo la morte dello zio, e con l'impresa finale -prima della quale viene detto solo che regnò a lungo e garantì al suo popolo sicurezza e protezione grazie anche alla sua fama-, la battaglia contro il drago, che lo riveste di una gloria ancora superiore, ma che lo vede cadere, col tesoro che ha conquistato "inutile com'era sempre stato", e con il suo popolo che, durante il funerale, già paventa la triste sorte che incombe ora che è rimasto senza il suo protettore.
Ciò che fa Beowulf è creare qualcosa di grande, di unico, di splendido, che non può tuttavia durare per sempre. Il regno cadrà, gli uomini moriranno, resterà solo il ricordo. Per qualcuno vale poco, per qualcuno vale tanto.
L'Edda contiene storie su molti eroi, e il più grande, cui Tolkien dedica pure un'opera incompiuta, è Sigurdhr (Sigfrido), che uccide un drago e conquista un tesoro all'inizio della sua storia, e che arriva "bello di fama e di sventura" presso i Nibelunghi, sposando l'inclita Gudhrun e diventando l'uomo più celebre di tutta l'Europa settentrionale. La sua fama è veramente eterna, ma la sua gioia verrà meno, allora che, per l'odio di Brunilde, suscitato in quanto Sigurdhr ha assunto le sembianze del re nibelungo Gunnarr per sconfiggerla in duello e ottenere così la sua mano per Gunnarr (motivo per cui Brunilde si sente tradita), per la paura di Gunnarr dato il prestigio di Sigurdhr, e per la maledizione che gravava sul tesoro, l'eroe viene ucciso da Hogni. E la vendetta che compirà Gudhrun sarà ancora più drammatica e cruenta.
Persino il re più grande di tutti i tempi, Artù Pendragon, che unifica e porta la pace in tutta la terra fino a legare le sorti di essa alle sue, dovrà conoscere il declino a causa delle macchinazioni di Morgana e di Mordred, il suo regno finirà e lui, dopo aver ucciso il malvagio figlio, perirà e sarà portato ad Avalon dalle fate (e anche su di lui abbiamo un'opera postuma di Tolkien, La caduta di Artù). Il suo regno è la più ampia materia di leggenda del mondo, ma la durata della leggenda è stata molto superiore a quella del fatto.

Veniamo agli eroi di Tolkien. Non posso enumerarli tutti, anche perché, per facilitare la comprensione al lettore occasionale, nonché per piacere mio nel raccontare (o forse soprattutto per questo), impiegherò già abbastanza spazio a raccontare le storie di alcuni dei più celebri e importanti. Qual è, fra loro, il rapporto fra ciò che costruiscono e il tempo?

Il più antico eroe tolkieniano è Eärendil il Marinaio. Lui quest'anno farà 103 anni, perché la poesia in cui compare, "The Voyage of Earendel the Evening Star" risale al settembre del 1914; dopo essere stata riscritta tre volte, la poesia comparirà nel Signore degli Anelli, capitolo "Molti incontri" (e ne esiste anche una versione arricchita in seguito), mentre una formulazione in prosa della storia del Mezzelfo si trova nel Silmarillion ("Del viaggio di Eärendil e della Guerra dell'Ira") e nel Libro dei Racconti Perduti.
"Eärendil il Marinaio" (con Elwing stretta al petto)
di Jenny Dolfen.
Eärendil nasce in una delle ore più buie della storia, quando tutti i regni del Beleriand (Gondolin, Nargothrond e il Doriath, nel cui caso però la causa furono prima i Nani e poi i figli di Fëanor) sono caduti nella guerra contro Morgoth e non ci sono più possibilità di sconfiggerlo in battaglia. Discendente degli Uomini degli Edain e degli Elfi Noldor, Eärendil, uno dei migliori navigatori mai esistiti, parte sulla sua nave alla volta dell'Occidente, sperando di raggiungere i Valar nel Reame Benedetto e poter impetrare per il loro aiuto, nonostante l'impossibilità del viaggio. E il viaggio sarebbe davvero impossibile, se non fosse per la sua sposa, Elwing, che in forma di uccello marino lo raggiunge -fuggita dopo che i figli di Fëanor hanno distrutto il loro regno del Sirion e preso prigionieri i loro figli, Elros ed Elrond, e trasformata da Ulmo, il Vala del mare- portando con sé un Silmaril, uno di quei Silmaril per i quali è accaduta la vicenda, nonché la rottura del rapporto di armonia tra gli Elfi Noldor e gli dèi. Il fatto che Eärendil voglia raggiungere l'Occidente per amore di tutta la Terra di Mezzo sull'orlo della fine, e che stia portando il Silmaril, quando tutto era cominciato perché Fëanor, artefice delle gemme, le aveva rivendicate per sé escludendo i Valar e qualunque altro popolo ad eccezione dei suoi discendenti, è il motivo per cui i Valar gli consentono di approdare e lo accolgono festosamente, chiamandolo "l'atteso che giunge inaspettatamente, il desiderato che arriva al di là di ogni speranza". I Valar partono, come non facevano dagli anni dei due Luminari, molto, molto prima della nascita degli Elfi, con la loro armata di Elfi, Maiar (angeli), Aquile e infinite altre forze della luce, sconfiggono l'esercito di Morgoth e i suoi nuovi draghi alati grazie anche all'aiuto di Eärendil, al quale hanno concesso la grazia di far prendere il volo alla sua nave, ponendo fine, con quella che verrà ricordata come la Guerra dell'Ira, alla guerra del Beleriand e al regno dell'Oscuro Signore.
In quanto Mezzelfo, a Eärendil viene chiesto di scegliere fra il destino degli Elfi e quello degli Uomini, fra l'immortalità legata alle sorti del mondo e una morte con una conclusione oltre il mondo. Eärendil sceglie la prima, il suo desiderio più grande è continuare a navigare, e poiché egli ha raggiunto le coste di Aman e non può dunque tornare alle rive mortali, i Valar stabiliscono che, per tutta l'eternità, Eärendil solchi il cielo sulla sua nave, portando con sé il Silmaril per illuminare il mondo con una piccola parte della, ormai perduta, luce dei Due Alberi. La sua rotta intorno alla terra è la rotta della stella Venere.
A Eärendil viene dunque concesso uno spazio suo, qualcosa che non si era visto prima di lui, e, come i più grandi eroi classici, Perseo, Eracle, diviene una parte del cielo. In cambio del suo sacrificio ottiene un prodigio che costituisce la sua unicità.

Poco meno antichi del Marinaio, ma di più all'interno della storia, sono altri due massimi eroi del Silmarillion, Beren e Lúthien. I due amanti più celebri del legendarium, un precedente illustre ad Aragorn e Arwen, vengono concepiti da Tolkien come specchio della storia di lui e di Edith, la ragazza che conobbe da giovane e che fu sua moglie fino alla vecchiaia.
Beren e Lúthien non desiderano che una cosa, fin dall'inizio, stare insieme senza limiti o restrizioni. Il loro amore è descritto con tinte tali da far sbiadire quelle del tempo di guerra in cui vivono. A opporsi a loro è innanzitutto Thingol, padre di lei e re del Doriath, che impone a Beren la prova di conquistare uno dei Silmaril, tutti e tre in mano a Morgoth, e portarglielo per ottenere il suo consenso all'unione con sua figlia. La prima, incredibile prova è quella che vede Beren prigioniero di Sauron in persona a Tol-in-Gaurhoth, l'isola dei lupi mannari, dalla quale, oltre che il sacrificio di Finrod Felagund che muore per difenderlo da un grosso lupo, sono Lúthien e il cane Huan a salvarlo. L'azione più straordinaria è però ad Angband, dove, superato il mostruoso lupo Carcaroth, Beren e Luthien si introducono camuffati con le pelli del mannaro Draugluin e della pipistrello-vampiro Thuringwethil, comparendo al cospetto di Morgoth, nel pieno del suo dominio e dei suoi attributi. Mi permetterei di osservare quanto fosse pericolosa e disperata l'impresa di Frodo e Sam, incaricati di gettare l'Anello a Monte Fato contro il volere di un signore del male inconsapevole e senza il corpo, e quanto ancor più rischioso e disperato potesse essere comparire al cospetto del primo signore del male, in mezzo alla sua mostruosa corte. Rispetto a Frodo e a Sam, in ogni caso, Beren aveva Lúthien. E Lúthien, in virtù del suo lignaggio di Elfa e di Maia, poteva contare su molti doni. Al cospetto di Morgoth, ella danzò splendida e immacolata, destando nella mente del malvagio "turpi disegni", e intonò un canto che addormentò tutti gli altri astanti e accecò Morgoth, dopodiché, gettando sui suoi occhi la pelle con cui si era camuffata, fece crollare anche lui in preda al sonno "come una collina che franasse". È stata vista in questo episodio la realizzazione della frase di Dostoevskij "La bellezza salverà il mondo". Assopito il malvagio, Beren usò il suo coltello per cavare un Silmaril dalla sua corona; avrebbe voluto prenderne un altro, ma la lama si spezzò e risvegliò Morgoth, dando inizio a una fuga che si concluse con Carcaroth, il lupo, che morse la mano con cui Beren puntava il Silmaril contro di lui, tranciandola e condannandosi a una lunga agonia, perché a contatto del male i Silmaril bruciano intensamente.
"Beren e Luthien" di Ulla Thynell.
Salvati dalle Aquile e ricondotti nel Doriath, i due amanti raccontarono la storia a Thingol, che partì per una caccia al lupo alla quale partecipò anche Beren: fu in quell'occasione che Carcaroth fu finalmente ucciso da Huan, il lupo di Valinor, e che il Monco potè restituire a Thingol la preziosa gemma. Dopodiché, l'uomo e il cane perirono insieme per le ferite.
Fu così, ancora una volta, che Lúthien compì un miracolo: la tristezza e il dolore per la morte del suo amore furono tali da separare il suo spirito dal corpo, e a permettergli di raggiungere le Aule di Mandos, il luogo dove sostano gli spiriti dei morti prima di partire per il loro destino. Davanti a Mandos, il Vala della morte, ella intonò un canto che lo mosse a pietà, "come mai era stato prima né fu in seguito", e pertanto, riferita la preghiera a Manwë, egli concesse a Lúthien due alternative, vivere a Valinor, senza Beren, o vivere nel mondo mortale destinata a morire seguendo il destino degli Uomini, con Beren. Lúthien scelse Beren, e i due vissero, per gli anni concessi dalla sorte, nell'isola di Tol Galen in mezzo al corso del fiume Adurant, che da allora, insieme alle terre circostanti, fu chiamata Dor Firn-i-Guinar, "la terra dei morti che vivono".
Oltre ad essere la più bella di tutte le storie del legendarium, quella di Beren e Lúthien rappresenta un caso unico, quello di una viva che raggiunge il mondo dei morti e ne esce insieme ad uno che era morto (cosa che non riuscì a Orfeo, almeno stando alla versione ufficiale), di qualcuno che ottiene una vittoria su Morgoth senza combatterlo, ed anche la prima storia di amore tra un Uomo e un Elfo, benché non l'ultima. Dalla loro unione nacque Dior, che fu sposo dell'elfa Nimloth, da cui nacque Elwing.

Aragorn, figlio di Arathorn e di Gilraen, ha una gestazione soggetta a diverse evoluzioni, nasce come Hobbit, il suo nome inizialmente è Trotter, dovuto ai piedi di legno con cui ha rimpiazzato i suoi, sfigurati per delle torture ricevute a Mordor; da Trotter si arriverà a Strider (Grampasso), da Hobbit a Uomo, e questo personaggio diviene uno dei più forti punti di collegamento tra il Signore degli Anelli e le storie dei Tempi Remoti (le informazioni sulla versione più vecchia del personaggio provengono dal nono volume di The History of the Middle-Earth, intitolato Sauron Defeated).
"Aragorn e Arwen" di Matthew Stewart.
Prima della nascita di Aragorn, sua madre Gilraen ed Elrond previdero che egli avrebbe potuto portare un grande cambiamento nelle sorti della stirpe di Elendil e della Terra di Mezzo tutta, ma avrebbe dovuto formarsi opportunamente prima di incontrare il suo destino: per questo, a circa vent'anni, Elrond gli rivelò il suo vero nome (prima era stato chiamato Estel, che significa "speranza"), e gli consegnò alcuni cimeli della sua famiglia, l'anello di Barahir (padre di Beren), e i frammenti di Narsil, la spada di Elendil. Nello stesso periodo incontrò Arwen, figlia di Elrond, e, poiché stava cantando, mentre passeggiava per Granburrone, il lai di Lúthien, quando la vide la chiamò Tinúviel ("usignolo"), proprio come aveva fatto Beren al suo primo incontro con lei. Aragorn si innamorò di lei in quel momento, ma prima di rincontrarla avrebbe dovuto aspettare ventinove anni, tanti furono quelli che trascorse, mandato da Elrond, nelle Terre Selvagge, dove divenne grande amico di Gandalf e combatté con Gondor e con Rohan, che lo conobbero col nome di Thorongil, contro le forze di Sauron che si stava ridestando.
In un viaggio a Lothlórien, incontrò nuovamente Arwen; se la prima volta la differenza fra lui, giovane umano, e lei, dama elfica con molti secoli di vita, era parsa insormontabile, adesso, negli abiti bianchi e argentati donatigli dagli Elfi, Aragorn aveva davvero l'aspetto di un Edain, un discendente di un popolo risalente ai Tempi Remoti. A quel punto, dice l'autore, il loro destino fu stabilito e congiunto, e nonostante il dolore che ciò significava per Elrond, Arwen compì la scelta, già compiuta da Lúthien tanto tempo prima, di rinunciare all'immortalità per rimanere nella Terra di Mezzo con Aragorn. E tuttavia, sarebbe occorso molto tempo, prima che il loro sogno potesse avverarsi.
Aragorn tornò nelle Terre Selvagge, riprese i suoi viaggi e, insieme a Gandalf, cacciò Gollum per molti anni (non sapendo che in quel mentre era stato fatto prigioniero a Mordor), finché, una volta che la creatura fu stata liberata, riuscì a catturarla e a interrogarla.
Il resto della sua storia è noto: Aragorn incontrò Frodo, Sam, Merry e Pipino a Brea, li condusse a Granburrone, dove i frammenti di Narsil vennero riforgiati in una nuova spada, Anduril; partì con la Compagnia dell'Anello, guidandola dopo la caduta di Gandalf a Moria, fino alla sua separazione nei pressi del corso dell'Anduin; con Legolas e Gimli fu uno dei "Tre cacciatori", inseguendo gli Uruk-hai di Isengard fino a Fangorn, dove, riunitosi a Gandalf il Bianco, lo seguì a Edoras. Accompagnò gli uomini di Rohan verso il Fosso di Helm, che protesse dal grande assedio delle forze di Isengard; fu raggiunto dagli ultimi Dunedain del Nord, con i quali, e con gli inseparabili amici Legolas e Gimli, attraversò i Sentieri dei Morti fino a Pelargir, dove l'esercito di spettri gli permise di conquistare le navi dei corsari e fu da lui liberato dalla sua maledizione: la grande forza che aveva radunato la condusse a Gondor, riportando la vittoria nella Battaglia dei Campi del Pelennor. Nelle case di guarigione di Minas Tirith rivelò il suo lignaggio curando i feriti della battaglia, tra cui dama Eowyn di Rohan, Faramir di Gondor e il suo amico Pipino ("le mani di Re sono mani di guaritore"), e infine guidò le forze rimaste contro il cancello del Morannon, in modo da attirare allo scoperto le forze di Sauron e permettere a Frodo e Sam di adempiere alla missione.
Il suo ritorno a Minas Tirith (prima non vi era entrato) fu trionfale: egli riunì i regni di Arnor, Gondor e Rohan -concedendo a Elrond, re dei Rohirrim, una sua autonomia e a Faramir, ultimo dei Sovrintendenti, il titolo di principe dell'Ithilien- in un unico regno, ricevette l'ultimo cimelio della casa di Elendil, lo Scettro di Annuminas, da Elrond, si pronunciò perché ogni popolo, ogni razza, ogni storia della Terra di Mezzo fosse preservata e sopravvivesse in modo armonioso con le altre.
Infine, poté coronare l'amore per Arwen: i due vissero insieme per centoventi anni, ebbero un figlio, Eldarion, e delle figlie, e quegli anni furono lieti e benedetti.
Ma anche per loro ciò non durò per sempre: Aragorn sentì incombere la sua ora, e, per via di un altro dei privilegi concessi alla sua stirpe, che gli concedeva di potersi addormentare per sempre quando sentisse la prossimità della morte, fece preparare il suo letto di morte e vi si stese, salutando i suoi cari e, per ultima, la sua sposa. E in quel momento Arwen comprese il dolore della mortalità e la paura che tanto tempo prima aveva spinto i Numenoreani, pur molto longevi, a muovere contro i Valar per carpirne l'immortalità, soffrì una pena indicibile, e qualche tempo dopo, si lasciò morire anche lei dove un tempo si era trovata la foresta di Lothlórien.
Queste sono tra le pagine più struggenti mai scritte da Tolkien, e mostrano l'essenza della sua poetica, la bellezza che raggiunge il suo apice in forme inimmaginabili e che poi, inesorabilmente, svanisce.

Gli eroi esaminati in questa sede hanno in comune molto altro, si tratta di innamorati, di padri e di madri, di viaggiatori che scendono nel mondo infernale (Eärendil viaggia oltre le Mura della Notte dove, nel vuoto, si trovano creature mostruose come Ungolianth; Beren e Lúthien passano prima per Tor-in-Gaurhoth e poi entrano ad Angband, e Lúthien raggiunge anche le Aule di Mandos; Aragorn attraversa i Sentieri dei Morti) e ne escono vincitori (Eärendil che attraversa quel mondo a suo piacimento, Lúthien che torna in vita insieme a Beren, Aragorn comanda l'esercito di morti), hanno oggetti magici con sé, e una funzione chiave negli eventi del loro tempo.
Quello che più volevo evidenziare però è questo, l'essere riusciti a creare qualcosa di nuovo, di unico, di splendido, capace di eternare la loro storia. E inoltre, rispetto agli eroi dell'epica medievale, non è di questa fama che vivono, ma della gioia che trovano in vita, del loro amore, del valore dei miracoli che compiono, di questo piccolo spazio che riescono a trovare per sé laddove il mondo intorno a loro è minaccioso e pare senza speranza. Proprio della loro speranza essi fanno forza, e questa speranza, una piccola fiamma che riesce a rischiarare un intero mare di tenebra, riesce a realizzare i loro desideri, proprio come, all'inizio di ogni cosa, il Fuoco Segreto di Eru, quel potere di creare che egli aveva e che Morgoth desiderò ma non ottenne mai, forse anche perché gli mancava la speranza, realizzò il disegno nato dalla Musica degli Ainur, disegno dove non mancavano già la tristezza e il dolore, ma dove era, molta di più, la bellezza.