Nell'omelia del Navigatore, però, c'è un tipo di impresa superiore alle altre, che il cristiano è chiamato a compiere: quella contro i
, che significa nemici in generale e demoni, fiend, in questo contesto, e contro il
, il diavolo. È allora che egli ottiene che "i figli degli uomini lo lodino dopo/ e le sue lodi continuino quindi con gli angioli/ per sempre -la gloria della vita eterna,/ la gioia con le falangi celesti." (77-80a).
, e ce lo ricordano profondamente, poiché parlano della decadenza dei tempi, tema tipico delle elegie, e come in the Wanderer, lamentano la mancanza dei donatori d’anelli, re e imperatori (questi ultimi, assenti nel mondo germanico e forse noti grazie alla letteratura latina, sono chiamati con un termine latino,
, Cesari), variando, come nota Leslie, il motivo dell'ubi sunt che dominava i famosi versi 92-96 di The Wanderer, cioè non esprimendo la domanda "Dove sono?", ma rispondendo direttamente "Se ne sono andati tutti". Un altro motivo frequente in molte letterature è anche l'indebolimento delle generazioni, presente fin dai poemi omerici, l'idea che il mondo passi nelle mani di uomini via via più deboli sia di corpo che di spirito. Il tutto si riallaccia a quel
del verso 49, il mondo che scorre e che lo fa verso la fine e verso la perdita. L'immagine della gloria del passato che si disperde è paragonata a quella dell'uomo che muore, consumato dall'età, e i versi 95-97 presentano un corpo che una volta persa l'anima non ha più sensibilità, non può "gustare la dolcezza e sentire il dolore,/ né muovere una mano, né pensare con la mente."
Il passaggio seguente (97-102), la sepoltura col ricco corredo d'oro, vede piuttosto una critica della nuova etica alla vecchia: è inutile colmare di beni e oggetti preziosi il tumulo del defunto, che non se ne servirà; più giusto, semmai, sarebbe darli ai bisognosi. I versi 101 e 102, leggendo il corpus anglosassone dopo mille anni, possiamo immaginarli rivolti all'ultimo padrone dell'oro visto all'inizio della terza parte del Beowulf, che tanto si è affannato a proteggerlo ed è morto solo e disperato (a meno di considerare l'idea che dopo la morte si sia trasformato in drago, per la quale vi rimando al mio più recente
).
Arriviamo così all'omelia vera e propria, ai versi in esaltazione del Signore, del Dio dei cristiani, che riassumono la parte precedente dell'elegia, anticipano i toni conclusivi e rivelano due cose molto interessanti, i limiti ancora presenti nella sintesi tra pagano e cristiano e una chiave di lettura, secondo Leslie, per la prima prima parte. "
La chiave di lettura cui accennavo è nei due versi seguenti: "Pensiamo dov'è la nostra dimora/ e quindi studiamo come possiamo arrivarvi". Leslie conclude il saggio immaginando che il poeta abbia dedicato la prima parte dell'esilio al primo interrogativo, dove sia la dimora dell'uomo, cioè la via dell'esilio verso il regno dei cieli, e la seconda al modo in cui raggiungerla, impartendo le sue lezioni a tal scopo. Questi versi hanno così il senso di somma di quelli precedenti e di inizio della conclusione: un invito a "raggiungere l'eterna beatitudine/ dove sta la vita al lato della Divina bontà,/ la giustizia dei cieli!", con un ultima lode rivolta al Creatore, Signore dei Cieli, Iddio eterno.
Siamo sull'Anima del Mostro, e spunti di lettura grotteschi o macabri sono ben accetti, ancor più se motivati.
Nella raccolta di Martin Green fa capolino un saggio di Raymond P. Tripp Jr. intitolato "Odin's Powers and the Old English Elegies", che ho consultato anche per il post di The Wanderer e osserva un dato molto interessante. Un antico genere della poesia germanica, il canto funerario in lode del defunto per propiziare il suo viaggio ultraterreno, presenta delle affinità con alcune parti delle elegie.
Riprodotto anche alla fine del Beowulf, nell'immagine della fanciulla geata che canta durante il funerale dell'eroe, il canto di morte è spesso in prima persona e affidato all'eroe che ripercorre le tappe della sua vita in modo da essere stimato degno di accedere al luogo spirituale "alto", Valhalla o anche Paradiso.
A questo genere viene associato nel saggio un elemento ricorrente sia nella poesia pagana che in quella cristiana, quello dei morti richiamati in vita per raccontare la loro storia.
Odino, col suo uso delle rune, è il dio "necromante" per eccellenza, che rivela nell'
chiama tranquillamente "vecchi uomini che vivono nei boschi" quelli che Thor sa essere morti nelle tombe.
, a evocare la veggente perché racconti l'origine dell'universo e la sua fine, e nel
, a rianimare una strega perché gli riveli la sorte di Baldr.
Meno noto è il fatto che, nella poesia anglosassone, anche Dio convoca i morti a raccontare la loro storia. Nel poema
, già ricordato in passato su queste pagine, nel momento del Giudizio Universale:
"...si destarono dai morti i figli degli uomini, tutta la razza degli uomini, per decreto di Dio attraverso il Suo maestoso potere, [Egli] comandò loro, ai portatori di parola, di sollevarsi dalle loro tombe di terra."
Il saggio di Tripp mette in luce la differenza tra il risveglio individuale operato da Odino e quello collettivo operato da Dio; possiamo scorgere la dimensione eroica dell'etica germanica, dove ogni uomo combatte per acquisire gloria per sé stesso, contrapposta all'aspirazione alla salvezza di tutta l'umanità del Cristianesimo; quello che ci interessa, in ogni caso, è la frequenza di questo ricorso ai morti e al racconto della loro esperienza nella letteratura germanica in generale e anglosassone in particolare, che sarebbe interessante vedere confermata da testi pagani di quest'ultima lingua. Purtroppo non ne permangono, e quanto di più vicino abbiamo a quel mondo perduto sono appunto le elegie.
Da questo deriva la continuità di un genere in un altro: il tono di una persona che rimpiange la vita passata non dev'essere molto diverso da quello di un morto che rimpiange la vita -anche se, ricorda Tripp, le death-song germaniche non sono lamenti, ma dichiarazioni consapevoli e orgogliose. Infine, lo spunto suggerito dal saggio è la possibilità che in qualche modo, in qualche fase, in qualche caso, le voci delle elegie siano voci di morti. Voci di rimpianto che parlano di chi sono state e dell'esilio in cui si trovano, convocate dal comando divino perché la loro storia possa ancora aiutare qualcuno.
Lo spunto va opportunamente collocato: se vi è qualcosa di tutto questo nelle elegie, appartiene probabilmente a uno strato antico, magari a forme orali precedenti alla trasmissione scritta, e nel caso di The Seafarer, che non parla di una vita passata quanto del suo presente e del suo futuro, è meno rivelante che nelle altre. Forse è oggi, dopo tutto questo tempo, che le elegie tornano a quell'antico ruolo, oggi che quel mondo è passato e molti l'hanno dimenticato, ma che può ancora raccontarci qualcosa, che ogni volta che lo nominiamo e leggiamo questi versi, gli uomini del passato tornano a parlare con noi.
Seguono il testo di The Seafarer e la sua traduzione.
Occorre precisare che ho in certa misura alterato la traduzione di Ricci: questi ha abbracciato una teoria secondo la quale all'interno dell'elegia si alternano due voci, un vecchio che ha già sperimentato il viaggio per mare e un giovane che ancora deve affrontarlo. Il traduttore ha dunque diviso l'elegia e in alcuni versi ha attribuito la prima metà a una voce e la seconda all'altra. Poiché oggi la maggior parte degli studiosi non segue questa teoria, e fondamentalmente perché Leslie traduce e analizza il verso come espressione di un'unica voce, ho riportato la traduzione di Ricci senza separazioni.
Segnalo anche che, in accordo alle esigenze comportate da un dialogo, in alcuni versi la parola
forþon, che solitamente significa "perciò", "pertanto", è resa con "eppure". Traduzioni che non riportino questa divisione danno a forþon il suo significato più tipico.
I versi 113-115a, a causa di alcune lacune del testo, non sono stati tradotti, ma potete leggere il loro contenuto più sopra.
Mæg ic be me sylfum soðgied wrecan, Posso dar voce a un canto verace su me stesso
siþas secgan, hu ic geswincdagum raccontare i miei viaggi; come nei giorni faticosi
earfoðhwile oft þrowade, spesse volte soffersi ore di strazio,
bitre breostceare gebiden hæbbe, come ebbi a sopportare amare pene del cuore,
gecunnad in ceole cearselda fela, come esplorai con la mia nave molte dimore del dolore 5
atol yþa gewealc, þær mec oft bigeat lo spaventoso cozzare delle onde. Là spesso la faticosa
nearo nihtwaco æt nacan stefnan, guardia notturna mi tratteneva alla prua,
þonne he be clifum cnossað. Calde geþrungen quando la nave era sbattuta dai marosi, presso le
[scogliere;
wæron mine fet, forste gebunden trafitti dal freddo erano i miei piedi, avvinti dal gelo
caldum clommum, þær þa ceare seofedun con catene di ghiaccio; là i tristi pensieri palpitavano 10
hat ymb heortan; hungor innan slat cocenti nel mio cuore; e la fame dilaniava
merewerges mod. Þæt se mon ne wat il petto di me stanco del mare. Questo non sa colui
þe him on foldan fægrost limpeð, a cui è concesso vivere felicemente sulla terra ferma,
hu ic earmcearig iscealdne sæ come in tristezza io m'indugiassi in inverno
winter wunade wræccan lastum, sul mare gelato, sulla via dell'esilio, 15
winemægum bidroren, privo dei miei cari,
bihongen hrimgicelum; hægl scurum fleag. coperto di ghiaccioli: in turbini cadeva la grandine.
þær ic ne gehyrde butan hlimman sæ, Là null'altro sentivo che il boato del mare,
iscaldne wæg. Hwilum ylfete song e la gelida onda a volte e il canto del cigno.
dyde ic me to gomene, ganotes hleoþor Per mio svago avevo il grido della procellaria; 20
ond huilpan sweg fore hleahtor wera, invece del riso degli uomini, il gracchiare degli
[uccelli marini;
mæw singende fore medodrince. il canto del gabbiano invece dei conviviali banchetti.
Stormas þær stanclifu beotan, þær him stearn oncwæð, Là la tempesta si avventava contro gli scogli,
[là rispondeva la rondine marina,
isigfeþera; ful oft þæt earn bigeal, l'uccello dalle gelide penne; e ben spesso strideva l'aquila
urigfeþra; nænig hleomæga dalle rugiadose penne. Nessuno dei miei cari 25
feasceaftig ferð frefran meahte. poteva consolare l'animo straziato.
Forþon him gelyfeð lyt, se þe ah lifes wyn Ben poco dunque, colui che fruisce delle gioie della vita
gebiden in burgum, bealosiþa hwon, e nessun dolore ha sofferto nelle città
wlonc ond wingal, hu ic werig oft ed è altero e riscaldato dal vino, ben poco egli può
[credere come spesso
in brimlade bidan sceolde. affranto io dovessi trattenermi sulle vie dell'oceano. 30
Nap nihtscua, norþan sniwde, Le ombre della notte infittivano; nevicava da settentrione
hrim hrusan bond, hægl feol on eorþan, il ghiaccio incatenava la terra, e sulla terra cadeva la
[grandine
corna caldast. Forþon cnyssað nu il più freddo dei grani! Eppure i miei più riposti pensieri
heortan geþohtas þæt ic hean streamas, mi agitano ora perché io stesso vada ad esplorare
sealtyþa gelac sylf cunnige -- le profonde correnti, il giuoco delle onde salate; 35
monað modes lust mæla gehwylce sempre il desiderio del mio cuore mi spinge
ferð to feran, þæt ic feor heonan a partire, onde, lontano da qui,
elþeodigra eard gesece -- io cerchi le terre degli stranieri.
Forþon nis þæs modwlonc mon ofer eorþan, Perciò non vi è uomo in terra sì gagliardo d'animo,
ne his gifena þæs god, ne in geoguþe to þæs hwæt, né sì generoso nei suoi doni, sì valoroso nella
[sua gioventù 40
ne in his dædum to þæs deor, ne him his dryhten to þæs hold, sì ardito nelle sue gesta, sì amato
[dal suo principe
þæt he a his sæfore sorge næbbe, che non abbia sempre la bramosia dei viaggi sul mare,
to hwon hine Dryhten gedon wille. qualunque sia la fortuna che il Signore vorrà concedergli.
Ne biþ him to hearpan hyge ne to hringþege Né trova egli gioia nell'arpa o nel ricevere anelli,
ne to wife wyn ne to worulde hyht né felicità nella sua sposa, né gioia nel mondo, 45
ne ymbe owiht elles nefne ymb yða gewealc; né in altra cosa alcuna che non nel cozzar delle onde;
ac a hafað longunge se þe on lagu fundað. sempre languisce chi sospira il mare.
Bearwas blostmum nimað, byrig fægriað, I boschi si vestono di germogli, i monti si abbelliscono,
wongas wlitigað, woruld onetteð: le pianure si adornano, il mondo risboccia alla vita;
ealle þa gemoniað modes fusne e tutto sprona l'audace d'animo, 50
sefan to siþe þam þe swa þenceð il cuore di chi così vuole, al viaggio,
on flodwegas feor gewitan. a partire per lontane plaghe sulle vie del mare.
Swylce geac monað geomran reorde; Così pure il cucùlo ammonisce con malinconica voce,
singeð sumeres weard, sorge beodeð il guardiano dell'estate canta e predice amari dolori
bitter in breosthord. Þæt se beorn ne wat, nel cuore. Questo non sa l'eroe, 55
sefteadig secg, hwæt þa sume dreogað il ricco guerriero, che cosa soffrano alcuni di coloro
þe þa wræclastas widost lecgað. che più lontano di tutti vanno sulle loro vie d'esilio!
Forþon nu min hyge hweorfeð ofer hreþerlocan, E per questo, fuori del mio petto, la mia anima viaggia
min modsefa mid mereflode, il mio pensiero vaga con le onde del mare
ofer hwæles eþel hweorfeð wide, sulla dimora della balena, ben lungi 60
eorþan sceatas -- cymeð eft to me per la superficie del mondo e torna nuovamente a me
gifre ond grædig; gielleð anfloga, avido e bramoso; l'errante solitario chiama,
hweteð on hwælweg hreþer unwearnum sospinge irresistibilmente il mio cuore sulle vie della balena,
ofer holma gelagu. Forþon me hatran sind sulla distesa del mare. E quindi assai più mi sono care
Dryhtnes dreamas þonne þis deade lif le delizie del Nostro Signore che questa morta vita 65
læne on londe. Ic gelyfe no transitoria sulla terra: io non credo
þæt him eorðwelan ece stondað. che le ricchezze terrene dureranno eterne.
Simle þreora sum þinga gehwylce Sempre è dubbio fino all'ora
ær his tiddege to tweon weorþeð: del suo arrivo, quale di tre cose -
adl oþþe yldo oþþe ecghete il morbo, la vecchiaia o la violenza - 70
fægum fromweardum feorh oðþringeð. torranno la vita ai condannati che dovranno partire da
[questo mondo.
Forþon biþ eorla gehwam æftercweþendra E perciò questa sarà per ogni guerriero la lode dei vivi,
lof lifgendra lastworda betst, di coloro che parleranno dopo la sua morte, la migliore
[fama postuma:
þæt he gewyrce, ær he on weg scyle, che prima che debba partirsene da questa vita, egli faccia sì,
fremum on foldan wið feonda niþ, con atti benefici contro la malizia dei Demoni 75
deorum dædum deofle togeanes, e con gesta valorose contro il Diavolo,
þæt hine ælda bearn æfter hergen, che i figli degli uomini lo lodino dopo
ond his lof siþþan lifge mid englum e le sue lodi continuino con gli angioli
awa to ealdre, ecan lifes blæd, per sempre - la gloria della vita eterna,
dream mid dugeþum. Dagas sind gewitene, la gioia con le falangi celesti. Passato è il tempo 80
ealle onmedlan eorþan rices; e [sono passate] tutte le pompe del regno terrestre;
nearon nu cyningas ne caseras ora più non vi sono né re né imperatori,
ne goldgiefan swylce iu wæron, né distributori di oro, come v'erano un tempo,
þonne hi mæst mid him mærþa gefremedon quando, l'uno contro l'altro, compivano le gesta più gloriose
ond on dryhtlicestum dome lifdon. e vivevano coperti di gloria, nel fasto più principesco; 85
Gedroren is þeos duguð eal, dreamas sind gewitene; caduta è la falange di guerrieri, passate sono le gioie;
wuniað þa wacran ond þæs woruld healdaþ, rimangono i deboli e posseggono la terra,
brucað þurh bisgo. Blæd is gehnæged, e solo a stento ne fruiscono. La gloria è distrutta,
eorþan indryhto ealdað ond searað, la nobiltà della terra invecchia e sfiorisce,
swa nu monna gehwylc geond middangeard. come ogni uomo che è sulla terra; 90
Yldo him on fareþ, onsyn blacað, la vecchiaia lo sorprende, la sua faccia impallidisce,
gomelfeax gnornað, wat his iuwine, e, canuto, egli si lamenta: ha visto i suoi antichi amici,
æþelinga bearn eorþan forgiefene. i figli di nobili, consegnati alla terra.
Ne mæg him þonne se flæschoma þonne him þæt feorg losað Né quando l'anima se ne diparte può
[questa veste terrena
ne swete forswelgan ne sar gefelan gustare la dolcezza e sentire il dolore, 95
ne hond onhreran ne mid hyge þencan. né muovere una mano, né pensare con la mente.
Þeah þe græf wille golde stregan Benché egli volesse ricoprire d'oro
broþor his geborenum, byrgan be deadum la tomba del proprio fratello, e seppellire con i morti congiunti
maþmum mislicum, þæt hine mid wille, in tesori svariati ciò che egli vorrebbe con sé,
ne mæg þære sawle þe biþ synna ful mai potrà l'oro, nell'anima carca di peccati, 100
gold to geoce for Godes egsan, tener luogo del timore di Dio -
þonne he hit ær hydeð þenden he her leofað. quell'oro ch'egli tenne nascosto mentre qui viveva.
Micel biþ se Meotudes egsa, forþon hi seo molde oncyrreð; Grande sia il timore di Dio, perché il mondo
[si trasformerà;
se gestaþelade stiþe grundas, Egli creò le solide basi della terra,
eorþan sceatas ond uprodor. la superficie del mondo ed i cieli. 105
Dol biþ se þe him his Dryhten ne ondrædeþ: cymeð him se deað unþinged. Pazzo è colui che non teme
[Iddio: la morte lo coglierà inaspettata.
Eadig bið se þe eaþmod leofaþ; cymeð him seo ar of heofonum. Beato è colui che vive umilmente:
[su lui ricadrà la misericordia dal cielo;
Meotod him þæt mod gestaþelað, forþon he in his meahte gelyfeð. il Creatore gli rinsalda l'anima perché
[egli crede nella Sua potenza.
Stieran mon sceal strongum mode, ond þæt on staþelum healdan, Si deve frenare la volontà ostinata
[e guidarla rigidamente
ond gewis werum, wisum clæne. ed essere sinceri verso gli uomini, puri verso le donne. 110
Scyle monna gehwylc mid gemete healdan Ognuno deve saper tenere la misura
wiþ leofne ond wið laþne * * * bealo. verso l'amico e verso il nemico
þeah þe he hine wille fyres fulne
oþþe on bæle forbærnedne
his geworhtne wine, Wyrd biþ swiþre, il Destino è più forte. 115
Meotud meahtigra, þonne ænges monnes gehygd. Iddio è più potente di qualsiasi volontà umana.
Uton we hycgan hwær we ham agen, Pensiamo dov'è la nostra dimora
ond þonne geþencan hu we þider cumen; e quindi studiamo come possiamo arrivarvi
ond we þonne eac tilien þæt we to moten e cerchiamo anche noi di poter raggiungere
in þa ecan eadignesse l'eterna beatitudine, 120
þær is lif gelong in lufan Dryhtnes, dove sta la vita al lato della Divina bontà,
hyht in heofonum. Þæs sy þam Halgan þonc la delizia dei cieli! Sien dunque rese grazie al Creatore,
þæt he usic geweorþade, wuldres Ealdor ché Egli, il Signore dei Cieli, ci ha onorato,
ece Dryhten, in ealle tid. Amen. Iddio eterno, per tutti i secoli! Amen!
The Seafarer - Ezra Pound
 |
Ezra Pound nel 1913. |
Posto qui di seguito anche il testo, riportato dal sito Poetry Foundation, della traduzione di The Seafarer scritta da Ezra Pound (1885-1972) e pubblicata sulla rivista New Age il 30 novembre 1911. Nel rimuovere totalmente gli elementi cristiani del testo, la versione di Pound contiene solo i primi 99 versi, ricchi di allitterazioni come tipico nella poesia anglosassone.
May I for my own self song's truth reckon,
Journey's jargon, how I in harsh days
Hardship endured oft.
Bitter breast-cares have I abided,
Known on my keel many a care's hold,
And dire sea-surge, and there I oft spent
Narrow nightwatch nigh the ship's head
While she tossed close to cliffs. Coldly afflicted,
My feet were by frost benumbed.
Chill its chains are; chafing sighs
Hew my heart round and hunger begot
Mere-weary mood. Lest man know not
That he on dry land loveliest liveth,
List how I, care-wretched, on ice-cold sea,
Weathered the winter, wretched outcast
Deprived of my kinsmen;
Hung with hard ice-flakes, where hail-scur flew,
There I heard naught save the harsh sea
And ice-cold wave, at whiles the swan cries,
Did for my games the gannet's clamour,
Sea-fowls, loudness was for me laughter,
The mews' singing all my mead-drink.
Storms, on the stone-cliffs beaten, fell on the stern
In icy feathers; full oft the eagle screamed
With spray on his pinion.
Not any protector
May make merry man faring needy.
This he little believes, who aye in winsome life
Abides 'mid burghers some heavy business,
Wealthy and wine-flushed, how I weary oft
Must bide above brine.
Neareth nightshade, snoweth from north,
Frost froze the land, hail fell on earth then
Corn of the coldest. Nathless there knocketh now
The heart's thought that I on high streams
The salt-wavy tumult traverse alone.
Moaneth alway my mind's lust
That I fare forth, that I afar hence
Seek out a foreign fastness.
For this there's no mood-lofty man over earth's midst,
Not though he be given his good, but will have in his youth greed;
Nor his deed to the daring, nor his king to the faithful
But shall have his sorrow for sea-fare
Whatever his lord will.
He hath not heart for harping, nor in ring-having
Nor winsomeness to wife, nor world's delight
Nor any whit else save the wave's slash,
Yet longing comes upon him to fare forth on the water.
Bosque taketh blossom, cometh beauty of berries,
Fields to fairness, land fares brisker,
All this admonisheth man eager of mood,
The heart turns to travel so that he then thinks
On flood-ways to be far departing.
Cuckoo calleth with gloomy crying,
He singeth summerward, bodeth sorrow,
The bitter heart's blood. Burgher knows not —
He the prosperous man — what some perform
Where wandering them widest draweth.
So that but now my heart burst from my breast-lock,
My mood 'mid the mere-flood,
Over the whale's acre, would wander wide.
On earth's shelter cometh oft to me,
Eager and ready, the crying lone-flyer,
Whets for the whale-path the heart irresistibly,
O'er tracks of ocean; seeing that anyhow
My lord deems to me this dead life
On loan and on land, I believe not
That any earth-weal eternal standeth
Save there be somewhat calamitous
That, ere a man's tide go, turn it to twain.
Disease or oldness or sword-hate
Beats out the breath from doom-gripped body.
And for this, every earl whatever, for those speaking after —
Laud of the living, boasteth some last word,
That he will work ere he pass onward,
Frame on the fair earth 'gainst foes his malice,
Daring ado, ...
So that all men shall honour him after
And his laud beyond them remain 'mid the English,
Aye, for ever, a lasting life's-blast,
Delight mid the doughty.
Days little durable,
And all arrogance of earthen riches,
There come now no kings nor Cæsars
Nor gold-giving lords like those gone.
Howe'er in mirth most magnified,
Whoe'er lived in life most lordliest,
Drear all this excellence, delights undurable!
Waneth the watch, but the world holdeth.
Tomb hideth trouble. The blade is layed low.
Earthly glory ageth and seareth.
No man at all going the earth's gait,
But age fares against him, his face paleth,
Grey-haired he groaneth, knows gone companions,
Lordly men are to earth o'ergiven,
Nor may he then the flesh-cover, whose life ceaseth,
Nor eat the sweet nor feel the sorry,
Nor stir hand nor think in mid heart,
And though he strew the grave with gold,
His born brothers, their buried bodies
Be an unlikely treasure hoard.
Scoperte in tempi abbastanza recenti, le elegie non hanno influenzato la letteratura medievale e moderna come altri testi più o meno antichi; vedremo tra poco un autore molto rilevante che a questo fa eccezione, e abbiamo già nominato Ezra Pound. Ciascuna di esse, però, tocca temi pregnanti e slegati dal tempo, e The Seafarer, pur nelle finalità omiletiche del poeta, riguarda qualcosa di molto intimo per l'uomo, e cioè il suo rapporto col mare.
Il mare, temuto e ammirato come tutto ciò che è grande, luogo e simbolo del divino, che invita e che distrugge chi risponde al suo invito, è banco di prova di uomini ed eroi da quando esistono le storie, nella misura in cui le storie sono sin dal principio ricerche, esperienze di scoperta e arricchimento, cui non si perviene mai senza il sacrificio e il dolore. La nostra stessa immagine di tensione oltre il limite, di bisogno di conoscenza, di eroismo come superamento di sé, è quella di Odisseo/Ulisse, che è anche la mia immagine dell'Uomo, colui "che sul mare patì molti dolori".
Già nel post su The Wanderer abbiamo visto che Tolkien, oltre a conoscere bene questi testi, abbia inserito l'elegia dell'Errante in una poesia del Signore degli Anelli, attraverso il celebre verso "Dove sono il cavallo e il cavaliere?".
Ora è tempo di cercare in Tolkien il marinaio, che troviamo addirittura in versi scritti in anglosassone e affidati a uno dei primi personaggi del legendarium, l'Eriol protagonista del viaggio raccontato in "The Lost Tales", scritto a partire dal 1917, abbandonato nelle successive stesure del Silmarillion. In "The Lost Road", uno dei volumi della "History of the Middle-Earth", Christopher Tolkien inserisce questi versi, fornendone una traduzione in inglese. Il libro non è mai stato tradotto in italiano, la terza versione è mia.
Monað módes lust mid mereflóde
forð tó féran, þæt ic feor heonan
ofer héan holmas, ofer hwæles eðel
elþéodigra eard geséce.
Nis me tó hearpan hyge ne tó hringþege
ne tó wífe wyn ne tó worulde hyht
ne ymb ówiht elles nefne ymb ýða gewealc.
[The desire of my spirit urges me to journey forth over the flowing sea, that far hence across the hills of water and the whale's country I may seek the land of strangers. No mind have I for harp, nor gift of ring, nor delight in women, nor joy in the world, nor concern with aught else save the rolling of the waves.]
"Il desiderio del mio spirito mi spinge a viaggiare lontano oltre il mare ondoso, sì che lontano sulle colline d'acqua e il paese della balena possa cercare la terra degli stranieri. Non ho pensiero per l’arpa, per il dono di anelli, né piacere per le donne, né gioia nel mondo, né preoccupazione per nient'altro che l'infrangersi delle onde."
Eriol, il cui nome diviene poi Ælfwine, è il marinaio umano che in un'antica Inghilterra parte alla ricerca di nuove storie e raggiunge l'isola di Tol Eressëa, dimora di Elfi che gli raccontano le storie dei Tempi Remoti.
Bibliografia
L'elegia pagana anglosassone, Aldo Ricci, G. C. Sansoni, Firenze, 1921.
The Old English Elegies, a cura di Martin Green, Fairleigh Dickinson University, 1983.
Navigai tra i ghiacci e la grandine, con la sola compagnia dei gabbiani e delle sterne, cercando la divinità che Gojira aveva detto che avrei trovato. Nel canto del mare riconobbi le voci di Ulisse, di Beowulf, di Eärendil e di quanti avevano inseguito il loro destino tra i flutti, e composi a mia volta il mio, sperando che alla fine del viaggio qualcuno l'avrebbe potuto ascoltare.
Dopo sette giorni vidi uno spruzzo in lontananza, e poi un altro in risposta; forme oscure scorrevano sotto la mia barca, grandi abbastanza da gettare il mio cuore nello sgomento: avevo trovato la via delle balene. Sembravano seguire un punto in lontananza. Presto nuotarono così fitte da formare un tappeto sul mare, ma intorno a me continuarono a lasciare spazio, perché la mia barca non si ribaltasse.
E vidi che il cielo spalancava un varco tra le nubi, e gli angeli, ancora una volta, mostrarsi a me nella loro luce distante. Alcuni di loro scesero dal cielo e volarono verso il mare, e i più erano simili a piccole luci, visti da lontano, ma poi ne discesero altri, più grandi, e a vederli somigliavano alle balene; così, sotto il dorso del mare, anche le balene somigliavano agli angeli.
Infine vidi un'isola. Era illuminata dalla luce del cielo, e le balene parevano indicarmela. Approdai, grato di essere finalmente a terra. Fu solo dopo molte ore che l'isola iniziò a muoversi.