lunedì 30 novembre 2015

Digimon: la prima grande storia che abbia conosciuto - parte I

Il mese di novembre di quest'anno lo attendevo per un evento straordinario, qualcosa che aspettavo da oltre un anno e che, prima di quell'anno, non avrei mai pensato sarebbe successa. Giorno 21 è uscito nei cinema giapponesi Digimon Adventure Tri - Saikai, cioè "Riunione" (che io ho visto il giorno prima grazie alle risorse di Internet).
Digimon Adventure Tri è una serie di sei film d'animazione, iniziata con quello che ho appena citato, che mostreranno una storia inedita dei protagonisti dell'anime Digimon Adventure, quello che uscì per la prima volta nel 1999, tre anni dopo gli eventi della seconda serie dell'anime, Digimon Adventure 02 (quindi sei anni dopo la prima). Ma perché sto parlando dei Digimon?
Ecco, io credo che quella dei Digimon sia stata la prima grande storia epica che ho conosciuto, e anche se non lo fosse, sarei lo stesso inequivocabilmente legato ad essa, perché le devo molto di quello che sono adesso.

Comincia tutto come per tanti bambini che adesso non sono più bambini (ma che non hanno ucciso la propria parte di bambino nel processo di trasformazione in grandi, quindi un po' lo restano): un giorno qualunque, in televisione, ho visto lo spot, mi sono rimasti impressi i mostri, il tema musicale (la sigla che ancora oggi tanti ragazzi e adulti canticchiano ancora) e ho deciso di vedere quella serie. Dopo di che, ho ricordi abbastanza confusi, in disordine, fra i vari episodi che mio nonno registrava sulle mitiche videocassette che dovevo riavvolgere ogni volta, i giocattoli di vario formato, trasformabili e non, comprati dai miei genitori -e lasciatemelo dire, erano infinitamente superiori ai giocattoli che vedo nei negozi adesso- e tutte quelle scene che mi sono rimaste impresse nella mente fino a divenire archetipi, criteri di catalogazione di tutti i contenuti acquisiti successivamente, figure cui associo le cose che scopro adesso. Ma sono ancora troppo vago.

I protagonisti della prima serie. Su cantate anche voi: "Tai, Matt, Sora, Izzy, Mimi e Joe...".
Digimon Adventure, che costituisce il franchise dei Digimon con i videogiochi, i manga e tanti altri prodotti di intrattenimento, narra di un gruppo di sette bambini (cui se ne aggiunge successivamente un'ottava) che vengono catapultati in un mondo parallelo, Digiworld, dove tutto, luoghi e creature, è costituito da dati informatici, come un enorme computer. L'isola in cui si ritrovano si chiama File, il continente che raggiungono dopo Server, la serie si inquadra in un periodo in cui l'uso del computer si stava affermando sempre di più ed era una novità, decisamente meno abituale rispetto ad oggi. I Digimon, gli abitanti di questo mondo, sono di una varietà infinita, e fra le tante peculiarità hanno quella di digievolvere, cioè assumere sembianze via via più complesse e maggiore potere; quella di passare attraverso livelli di evoluzione comuni a tutti (cioè Digimon dello stesso livello hanno una forza più o meno simile, un Digimon di un livello più alto di solito è più forte); quella di poter essere Antivirus, Dati o Virus, cioè buoni, neutrali o cattivi, e quello di essere ispirati ad animali, dinosauri, insetti, creature fantastiche, minerali od oggetti inanimati della nostra realtà. Come i Pokémon, con la differenza di saper parlare e soprattutto di poter svolgere un ruolo in un disegno più grande (in altri termini, il fine dei personaggi di Pokémon è competere fra loro e ottenere nuove creature, in Digimon sono tutti un po' più occupati a salvare il mondo e a comprenderlo. A questo proposito, i due franchise nascono più o meno contemporaneamente e in forme diverse, se vi dicono che i Digimon sono stati copiati dai Pokémon sappiate che probabilmente avete davanti un imbecille).

Inizialmente i protagonisti sono su una piccola isola, scoprono gradualmente la natura del mondo in cui si trovano e fanno conoscenza con i sette Digimon che divengono i loro partner, per affrontare insieme a loro il primo dei Digimon malvagi, Devimon: per farlo è necessaria l'apparizione di Angemon, l'angelo della luce contrapposto al diavolo che utilizza il potere delle tenebre, il quale riesce a sconfiggere la sua nemesi sacrificando se stesso secondo il principio "l'uno non può esistere senza l'altro". Ecco, adesso dovrei scrivere un post solo su questo, sul significato di questo singolo episodio: è in questo modo che viene inserito il concetto della morte in questo anime, un concetto che sconvolge e lascia disarmati; al contempo, la morte non è definitiva per i Digimon, poiché quando muoiono regrediscono alla forma di uovo e hanno la possibilità di ricominciare il loro ciclo vitale, e questo può essere un messaggio di speranza valido per tutti, l'idea che dopo la morte la nostra vita ricominci, magari in un modo diverso, oppure può essere una metafora della resurrezione dopo la morte secondo la visione cristiana, fate un po' voi.
Angemon e Devimon.
Comunque sia, in seguito la storia diviene più complessa, perché l'azione si sposta in un continente più grande e per affrontare il nuovo nemico è necessario ottenere un potenziamento (le digipietre) ottenibile attraverso un processo di crescita individuale e di introspezione dei ragazzi; dopo ancora, le battaglie fra Digimon si spostano nel mondo reale, in Giappone, e l'ultima fase, con toni più apocalittici, avviene in un Digiworld sconvolto dalle trasformazioni operate dai Padroni delle Tenebre. Qui, dopo una lunga serie di battaglie, il sacrificio di molti amici e molti risvolti sulla storia di Digiworld, alcuni dei quali tuttora oscuri, avviene la battaglia finale contro Apocalymon.
Sapete cos'è Apocalymon? Sapete cosa hanno inventato gli autori di un cartone per bambini? Apocalymon è l'agglomerato di tutti i Digimon che non sono riusciti a evolvere come gli altri, e di conseguenza non hanno avuto la possibilità di vivere, costretti a osservare le vite degli altri Digimon senza potere interferire: parlando al plurale ("Volevamo solamente vivere") Apocalymon si sfoga davanti ai ragazzi che non riescono nemmeno a rispondere alle sue rivendicazione del diritto di sopravvivere e di essere felici, legittimo per ogni essere vivente; ma poiché per questa sua rivendicazione egli vorrebbe cancellare dall'esistenza anche le altre creature, minacciando sia il mondo digitale che quello reale, devono sconfiggerlo, e nonostante lui abbia il potere di privarli dei loro strumenti, riescono ugualmente a vincere traendo l'energia direttamente dai propri sentimenti.

Questa complesso dodecaedro, che sicuramente ha un significato filosofico che io ignoro, è Apocalymon.

Questo signore sta sul poliedro ed è la parte di Apocalymon che interloquisce con i personaggi.
Apocalymon non è che un esempio di quanto sia ricca e profonda l'ambientazione di questa storia, nella quale man mano i riferimenti (mitologici, storici, letterari) diventano più ricercati: i nemici assumono l'aspetto di vampiri, esseri sovrannaturali, mostri mitologici, alcune creature hanno costumi e nomi della tradizione medievale giapponese, senza contare gli innumerevoli rimandi al mondo greco. Nell'episodio 38, uno dei miei preferiti, è presente una profezia che cita direttamente il libro dell'Apocalisse a proposito dell'apparizione sulla Terra di un Digimon colossale(precisamente il "numero della bestia" che il padre di due dei ragazzi rivela essere 666, che significava esattamente il tempo in ore, minuti e secondi all'arrivo della creatura), che si manifesta come un gigantesco diavolo rosso, un'autentica bestia apocalittica. Da parte loro, neanche i buoni scherzavano; ed è proprio per questo, da amante dei mostri, che amo questo cartone, perché i Digimon buoni assumevano sembianze spesso spaventose, colossali dinosauri con arti e inserti metallici, insetti mostruosi senza occhi, lupi mannari. E anche qui riferimenti mitologici, l'attacco di uno di loro si chiamava "Thor's hammer", martello di Thor (benché questo si perdesse nella traduzione italiana), mentre un altro, Garudamon, ereditava l'aspetto di una divinità minore indù. Ed era solo un assaggio.
"Buona Apocalisse a tutti"

Perché nel corso degli anni, fra le serie successive, i videogiochi e i tanti Digimon nati nelle une e negli altri, l'elemento mitologico è cresciuto sempre di più, fino ad avere una cosmologia ricchissima: ci sono Dodici Dei Olimpici, Tredici Cavalieri Reali che esercitano il volere di Yggdrassil, il dio del mondo digitale, poi c'è un'Area Oscura dove sono precipitati i Digimon angelici che hanno perso la grazia, fra i quali spiccano i Sette Grandi Signori dei Demoni; dalla tradizione orientale provengono i quattro Supremi che riprendono i quattro animali sacri della tradizione giapponese, i dodici Deva che rappresentano i segni dello zodiaco cinese, e sono numerose le creature ispirate al mondo dell'antico Egitto. La letteratura arriva anche qui, fra Boltmon, reinterpretazione del mostro di Frankenstein, o Dagomon, ispirato ai racconti di Lovecraft (sul rapporto fra i Digimon e Lovecraft scriverò sicuramente qualcosa in futuro).
Tutto questo per spiegare che la mia passione per tutte le mitologie del mondo, il desiderio di andare a cercare l'origine, quel "ma da dove derivano questo nome e questo aspetto?", quindi una delle basi della mia personalità e del mio carattere, un elemento fondante della mia forma mentis, derivano dai Digimon.
C'è ancora molto altro da dire, su quello che mi hanno lasciato questi personaggi, sulle riflessioni morali, e anche sull'emozione provata nel vedere il nuovo film, e già mi ritrovo per le mani un post di dimensioni non indifferenti. Se la discussione vi ha appassionato, ci vediamo al prossimo post.
Due delle digievoluzioni di tutti gli otto Digimon della prima serie.

giovedì 19 novembre 2015

Preghiera della notte #2

Oggi mi ricollego al discorso con cui è partito tutto: cos'è "mostro"? Sulla base di quale criterio si stabilisce che qualcuno sia un mostro? Se indichi qualcuno come tale, non implichi che lui la pensi allo stesso modo.
Come nasce la mostruosità? Si è mostri perché è una natura che ci viene imposta, o perché qualcosa ci rende tali?
Innanzitutto, non credo che un'intera comunità di mostri, si riterrebbe mostruosa. È il fatto che ci siano tanti individui simili fra loro a decretare che un altro, diverso, sia il mostro. Se noi vedessimo un uomo con un solo occhio al centro della fronte lo chiameremmo mostro; se tanti uomini con un solo occhio vedessero me che ne ho due, chiamerebbero me mostro. Questo per dire che non c'è un criterio universale che stabilisca che qualcuno sia, da qualunque punto di vista lo vediamo, un mostro, senza la possibilità che esista almeno una situazione in cui non lo è.

Non intendo, nella maniera più assoluta, dire che dei terroristi che uccidono più di un centinaio di persone innocenti intente a vivere le loro vite non siano creature aberranti.
Intendo dire che, se ci riteniamo disposti a fare a qualcuno la stessa cosa, non siamo migliori.
Ho letto tantissime cose stupide in questi giorni, su Internet, oltre a sentirne di persona. E mi viene in mente un pensiero: la Seconda Guerra Mondiale è finita settant'anni fa, e l'Occidente (definizione data con tutta la delicatezza che occorre) non ha più visto conflitti sul proprio territorio. La guerra però è continuata altrove, continua ancora, tutti i giorni ne sentiamo parlare e la viviamo, comunque, come una cosa lontana che non ci sfiora: per questo, gli attentati che sono avvenuti in Francia quest'anno ci turbano così tanto. Non sto qui a discutere se sia giusto o meno reagire così quando dei morti degli altri paesi non ci preoccupiamo; il mio pensiero è che se adesso ci ritrovassimo coinvolti in una guerra, sarebbe la prima guerra che viviamo con i social network, e ciò sarebbe a dir poco grottesco.
Penso a questo perché sono turbato dalla gente che scrive di guerra, di ucciderli tutti, che fa esattamente ciò che i terroristi si aspettano che facciamo. La storia non ci ha insegnato nulla? Non sappiamo che ogni "chi mi ha fatto del male deve pagare" si trascina dietro un sacco di vittime che con quel male non c'entrano nulla, e che raccoglie cadaveri da ambo le parti? Evidentemente no, evidentemente chi scrive oggi è troppo lontano dalle sofferenze che ci hanno preceduto - e indifferente nei confronti di quelle attuali, ma lontane - per ragionare un minimo e usare il buonsenso.

C'è un'altra cosa che voglio includere nella mia preghiera.
La mancanza di obiettività: ognuno vede in questi fatti una prova di quello che vuole credere.
Chi odia l'Islam, vede una prova del fatto che i musulmani siano una feccia da estirpare, e se ne convince ulteriormente.
Chi odia le religioni, vede una prova del fatto che le religioni condizionano gli uomini e li predispongono a scannarsi fra di loro, e se ne convince ulteriormente.
Chi odia il Rock, vede nel fatto che al Bataclan suonassero gli Eagles Of Death Metal l'impronta digitale del demonio in questo evento...oh no, scusate, quello è un altro blog.
Per quanto tanti l'abbiano già detto, voglio unire la mia voce alle loro: la religione, in quello che è successo, non c'entra. Ci sono dei fini che riguardano ben altro, obiettivi economici, il mantenimento di uno stato appena fondato da un popolo abituato a migrare di volta in volta e che questa volta non vuole, trattative con potenze di tutto il mondo incluse quelle con le quali stanno combattendo, intrecci talmente vomitevoli da far perdere la fiducia nel genere umano a chi ancora ne avesse...no, non è per la religione. Neanche le crociate furono per la religione.
E l'Islam, con i versetti del Corano sul fatto che uccidere una persona è come uccidere l'umanità intera, e i versetti in risposta sull'uccidere gli infedeli...indipendentemente da cosa dica (nella mia esperienza prima di giudicare un libro è meglio leggerlo tutto) ci sono tante persone devote all'Islam che riescono a vivere nei paesi occidentali senza fare del male a nessuno, condividendo le proprie diversità con quelle delle persone di fede differente. Queste sole persone non bastano come prova del fatto che quella non sia per forza un religione violenta?
Non è asfissiante vivere in un paese in cui il cittadino medio non si scomoda nemmeno a riflettere bene sulla situazione in cui vive, ma pensa in maniera pressapochista giungendo a conclusioni affrettate...e in cui tantissimi membri del governo hanno la stessa identica forma mentis e predicano gli stessi ideali razzisti, imprecisi e pericolosi della massa ignorante?

Cosa propongo io? Io ammetto di non sapere cosa proporre, perché vedo esiti drammatici qualunque decisione si prenda; ma mi piace pensare che, almeno, il buonsenso di non scrivere idiozie spacciandole per i pareri di un esperto, come a molti piace fare ultimamente, quello ce l'abbia e valga la pena consigliarlo anche ad altri.

giovedì 12 novembre 2015

Il Metal è catarsi

Per due giovedì non ho pubblicato post.
In realtà due settimane fa ne ho pubblicato uno di sabato, perché sabato era Halloween.
La settimana scorsa, invece, non l'ho fatto per impossibilità oggettiva, ma non me la passavo certo male: ero in viaggio, e quella sera mi trovavo a Bologna per assistere a un concerto Metal con i controfiocchi.
Ho deciso perciò di dedicare questa settimana ad introdurre bene l'argomento Metal, che sarà abbastanza ricorrente nell'Anima del Mostro.

Cominciamo dal chiarire perché mi piace questo genere, e ancora di più, perché, prima di scoprirlo, non avevo nemmeno il pensiero di ascoltare musica, mentre da allora ho cominciato a seguirla, a provare a studiare uno strumento e a fare parecchi chilometri per vederla dal vivo.
Conoscete i Black Sabbath? Certo che sì, tutti conoscono i Black Sabbath. Ebbene, su di loro sono sorte negli anni infinite leggende, ed una di queste vuole che, prima di fondare una band, Ozzy e gli altri fossero andati a vedere un film dell'orrore e all'uscita avessero commentato "Se la gente è disposta a pagare per spaventarsi vedendo un film, non potrebbe farlo anche per spaventarsi con della musica?".
Che sia vero o meno, il primo Black Sabbath è un album che tuttora è in grado di mettere inquietudine, a partire dalle campane della canzone omonima a inizio disco.
Ora, lasciamo perdere il discorso dei soldi, perché questo è un genere col quale, io credo, se vuoi fare soldi non dovresti nemmeno cimentarti: i Black Sabbath ce l'hanno fatta, ma non è stato certo così per tutti. Parliamo invece della paura.

Il Metal è il genere musicale in cui più di ogni altro vive quel lato oscuro della realtà di cui parlavo nel post su Halloween: un genere che è nato parlando di storie horror, gotiche, di esoterismo, e sì, in diversi casi anche al satanismo, cosa che pregiudica l'intero genere per tantissime persone che lo riducono tutto a quest'unica faccia quando il realtà esso ne ha tantissime.
Il Metal è però anche il genere musicale in cui più di ogni altro vive anche un altro lato, che costituisce insieme a quello oscuro una delle Due Anime di questo blog, vale a dire il mito, la fantasia, la leggenda, il vagheggiamento di tempi lontani. Un numero impressionante e sempre in crescita di band o artisti singoli prendono ispirazione dall'opera di Tolkien per i loro testi o i nomi di canzoni, band, degli artisti stessi. Molti altri la prendono da Lovecraft, a cominciare dai Metallica. In effetti, credo che questo sia il genere che più degli altri trae spunto dalla letteratura, da Milton a Baudelaire a Dante, passando per il Kalevala finnico fino a Omero. Altre preferiscono parlare di filosofia, con Nietzche come massima influenza, o dedicare un intero album a Galileo, o trattare di scienza, fino ad arrivare a testi impegnati politicamente. E chi ha detto che non ci siano band che scrivono canzoni sulla loro religione?

Di tutto questo e molto altro, il Metal parla attraverso un codice espressivo che comprende tutto quello che posso amare, insieme a tante alternative possibili: la distorsione degli strumenti, naturalmente, è perché preferisco sentire una chitarra distorta ad una acustica che ascolto Metal -e quando entrambi gli strumenti si alternano o suonano insieme viene fuori qualcosa di ancora più grande- , il modo in cui si combinano tra loro, e ancora di più il modo in cui possono combinarsi con qualsiasi cosa, un violino, una cornamusa, un'intera orchestra. Poi per la voce: oltre al lirico, al falsetto, alle tecniche che tutti siamo abituati a sentire, i cantanti Metal ne usano altre, il cosiddetto cantato distorto o sporco; fondamentalmente si può ridurre a due concetti, il growl (ruggito) una voce cavernosa e gutturale, e lo scream (urlo), una voce sporca, alta, gracchiante. Di questi esistono vari tipi e contaminazioni, e al primo impatto rimangono tutti sconvolti se non disgustati. Nemmeno a me piaceva, all'inizio. Ma col tempo, e la comprensione, sono arrivato a preferire queste tecniche a tutte le altre, nelle canzoni di questo genere. Esse rappresentano quella stessa anima del Metal: qualcosa di altro rispetto alla realtà, nella realtà le persone non si esprimono ruggendo o strillando come dannati, ma ciò accade nel Metal perché esso va oltre la realtà, in quei reami dell'onirico e del surreale dove le regole sono completamente diverse. Questo cantato esprime una rabbia che altrimenti non si potrebbe esprimere, una disperazione, uno sfogo...è la voce della nostra anima quando si trova davanti l'abisso, ed è anche la voce che sale dall'abisso, poiché diviene interprete di tutte le forze oscure che permeano la nostra vita senza che le vediamo.

È sul concetto di sfogo che mi voglio soffermare: il Metal è uno sfogo, ed ha una funzione catartica.
Me ne rendo conto ogni volta che arrivo a un concerto e la band sale sul palco per esibirsi: il pubblico reagisce acclamando rumorosamente i musicisti, facendo il gesto delle corna che è divenuto un simbolo di questo genere (e del Rock più in generale), e ricorrendo, se la musica è pesante, al pogo, un ballo collettivo in cui ci si urta a vicenda, cercando di divertirsi senza farsi male.
Cosa rappresenta tutto questo, se non il recupero di una qualche forma di costume barbarico del passato (e già questo non sarebbe privo di senso)? Una reazione, al fatto che la nostra società ha assunto una forma che non ci piace più; una manifestazione, di un lato della nostra anima che ha bisogno di alzare la voce, di esprimersi liberamente, di farsi largo a spintoni, ma che non può farlo perché quella società richiede che tutti ci si comporti in un'unica, spersonalizzata, maniera; e poi una passione, perché il coinvolgimento che dà questa musica è tale che, almeno nella mia esperienza, è difficile frenarsi quando si ascolta qualcosa che riempie ed emoziona così tanto.

Non mi aspetto di convertire qualcuno al Metal, con questo post, ma di aver spiegato, questo volevo farlo. Il Metal ha meno fortuna in Italia rispetto ad altri stati (come pubblico, i gruppi italiani non sono secondi a nessuno), c'è un certo genere di mentalità molto diffuso che snobba completamente questo genere, che non prova nessun interesse, e ne consegue che non se ne senta parlare spesso: quando faccio menzione di questo genere con chi non lo conosce trovo perplessità e incomprensione. E credo che se lo si spiegasse nel modo giusto, molte più persone, anche senza apprezzarlo, capirebbero.
Se avete capito, provate ad ascoltare qualcosina qui di seguito: queste cose le ho sentite suonare dal vivo!
Eluveitie - Inis Mona
Epica - Martyr Of The Free Word
Ne Obliviscaris - And Plague Flowers The Kaleidoscope