giovedì 31 ottobre 2019

Jack Lanterna e i Teratartari


"La notte di Halloween è una notte diversa da tutte le altre, e sapete perché?
Perché ogni anno, durante quella notte, passa nel cielo una cometa, una cometa molto speciale, che può essere vista sia dal mondo dei vivi che dal nostro.
In quel momento, solo per quella notte, viviamo tutti nello stesso mondo. Noi siamo un po' più simili a loro, e loro un po' più simili a noi."

Oltre il corso del fiume Stige, sotto le cascate del Flegetonte, nel profondo di un vasto burrone sulla fiancata del monte Qaf, rischiarato dalla luna sotterranea e circondato dai fumi mefitici delle sorgenti del Cocito, si trova il paese Teratartara, i cui abitanti attendono ogni anno Halloween con grande trepidazione.
C'è un legame stretto come la morsa degli uncini della vergine di Norimberga, tra il modo in cui si dedicano alla festa gli abitanti di Pianodisopra, come loro usano chiamare noi vivi, e la brava gente di Teratartara. Tanto per cominciare, anche loro si travestono. Con la differenza che, nel loro mondo, la paura è il modo più raffinato di comunicare e di creare aggregazione. Per cui, come tra noi qui sulla terra fanno quelli che ancora festeggiano Halloween alla maniera di una volta, e tentano di sprigionare il massimo dell'orrore e del raccapriccio permessi dalle arti dei mortali, i teratartari si agghindano in modo da ispirare simpatia e affabilità nei loro simili.
Si potrebbe osservare che hanno una concezione di simpatia che potremmo trovare quantomeno discutibile: nello storico Halloween del 1966, il famoso Empusio Salassetto vinse il premio Zucca Scarnificata per aver fatto passare, attraverso l'ampia cavità che gli attraversava il petto all'altezza del cuore, un palo di legno cui aveva appeso scheletri di bambini, alternati a scheletri di gattini, facendoli scricchiolare mentre avanzava sulle sue gambe sbilenche. L'apice della festa fu raggiunto quando uno degli scheletri dei bambini riprese a parlare.
Cionondimeno, non è con meno che la più grande cortesia e il massimo rispetto verso l'un l'altro, che i teratartari mettono in atto i loro scherzetti, e sono soliti dispiacersi molto se questi inducono sensazioni spiacevoli nel loro prossimo. Perché, se anche la percentuali annuali di incidenti fatali dovuti a ghigliottine o cannibalismo sono sensibilmente più alte a Teratartara che da noi a Pianodisopra, vale la pena di osservare anche che per i teratartari la morte in sé e per sé non è un incidente molto più grave di quanto una macchia di sangue su una cravatta, o un escremento di scimmia nella ciotola del gatto, possano esserlo per noi, e se anche talvolta uno di loro si trova per errore a uccidere un suo concittadino, o anche una ventina, la cosa più educata da fare e rimettere in fretta insieme i propri mezzi e affermare di aver comunque gradito l'idea.
I teratartari, va inteso, hanno la fortuna di essere tutti d'aspetto abbastanza affine allo spirito di Halloween -sicché se girassero per Pianodisopra non avrebbero chiaramente il bisogno di camuffarsi- e anche l'uno diverso dall'altro. Sono tutti estremizzati in qualcosa, tozzi o ridotti all'osso, nani o spilungoni; alcuni hanno criniere, corna e becchi adunchi, altri invece tre teste e un occhio solo, mentre un numero discreto della loro gente somiglia, più che altro, a sacchi imbottiti con una faccia e capelli di setole di scopa, a ceppi d'albero che camminavano sulle radici, o a vecchi mobili abbandonati e dissestati cui erano cresciuti i piedi e almeno una lingua, che nel caso di persone come la signora Comodino, che a onor del vero era una poltrona scucita e ricoperta di muffa, è anche di troppo.
Per cui è qualcosa di strano, e forse di incomprensibile a meno di essere uno di loro, quello strano equilibrio tra l'abnorme e il lezioso che cercano di ottenere quando si dedicano ad Halloween. Una sorta di accrescimento di quella cosa che noi chiamiamo "grottesco", e che loro definiscono, invece, "moda autunno-inverno tardo-barocca".

Teratartara, si capirà, è piena di zucche. Campi di zucche, estesi fin dove occhio può vedere -anche se l'occhio è quello di un lumacocchio, che può spostarsi grazie ai piccoli tentacoli verminosi che reggono l'occhio il quale costituisce l'interezza del suo corpo, ma che di rado approfitta di questa possibilità di movimento per per percorrere i campi di zucche-, zucche sui davanzali delle finestre e lungo le balconate, zucche all'angolo delle porte. Zucche di Halloween, si intende.
E' da talmente tanto tempo che gli abitanti di Teratartara incidono le zucche del loro mondo che queste hanno cominciato a mettere su facce da sole, sicché i teratartari devono solo raccoglierle e inserire loro i lumi dentro.
Le usano per tutto, come vasi, portaombrelli, fermaporta, teste di ricambio, quando perdono la propria o quando i loro bambini la smarriscono giocando alla loro peculiare versione del nascondino, e naturalmente le cucinano in numerosi modi e le mangiano. Anche le zucche mangiano loro, di tanto in tanto.
Il conte di Teratartara è una tartaruga. Dal suo carapace escono sbuffi verdastri, e sul volto ha sempre un sorriso larghissimo, rugoso e privo di denti. E' ormai anziano, ma a suo dire non è che a metà della vita media di una tartaruga delle sue parti.
I paesi vicini sono pieni zeppi di tartarughe, originarie della regione del Tartaro, ma così numerose da aver colonizzato quasi ogni stato infero.
Solitamente, i teratartari non usano interferire con gli affari degli abitanti di altre regioni del mondo dei mostri, né di alcuno degli aldilà. Sanno però essere ospitali con i visitatori, anche se ultimamente è sempre più raro che se ne presenti qualcuno.



Un anno capitò un fatto bizzarro. Si avvicinava la notte di Halloween, e i preparativi fervevano come non mai.
Alcuni bambini, tre piccoli sacchetti di iuta e carne tritata ricuciti insieme, con degli adorabili tagli frontali da cui ogni tanto colava un po' di moccio, che si chiamavano Ematonio, Baretta e Tombino, erano particolarmente emozionati, più delle civette che facevano in continuazione"Uh! Uh!", persino più delle Efemere Trepidanti, che nascevano durante la festa, gridavano per l'emozione e morivano di crepacuore poco dopo.
Ecco, i tre piccoli teratartari erano più emozionati ancora: mostri di cioccolato che deponevano uova, scheletri di marmotta che li confezionavano, zombie che dipingevano le pareti con la propria bile e raccoglievano i resti di quelli pitturate il secolo prima, che alla fine si erano sciolte; vampiri che svolazzavano da una parte all'altra per consegnare gli inviti, salici fantasma che si strappavano i rami di dosso, per intrecciare i cestini di vimini che la gente usava per raccogliere i dolcetti, mummie che incartavano come regalo cagnolini e gattini imbalsamati, cui asportavano il cervello per confezionare i pasticcini da servire alle nonne teratartare che non avevano più i denti -i quali cadevano molto abbondanti, da quelle parti, visto l'alto consumo di zuccheri; ma dato che le scope le usavano per volare, e non molto per ramazzare la sporcizia, quei denti abbandonati erano diventati così tanti da fondare una propria repubblica indipendente nei sotterranei di Teratartara, dove tentavano, con scarsi risultati, di parlamentare con quelle maledette fatine che rapivano i dentini da latte e ci costruivano case abusive.
Baretta tirò la gonna di quella vecchia, brutta e bimaledetta strega che era la sua mamma, e chiese «Mammina, mammina, ma perché si festeggia Halloween? Mammina, mammina, ma perché si festeggia Halloween? Mammina, mammina, ma perché si feste...»
«Ora te lo dico, la peste ti colga!» rispose la mamma «Halloween è quando nel cielo passa la grande cometa, che ci guida verso le sponde di Pianodisopra»
«Ma perché passa la cometa, signora Bacucca?» chiese Tombino.
«Passa e basta, piccolo Tombino» rispose la strega «Possibile che voi bambini vogliate sapere tutto? Non vi hanno detto che i morti hanno la testa vuota?»
Ma i bambini non stavano più a sentirla: avevano deciso di andare a vedere quella cometa, e stavano correndo a vederla. Si chiedevano cosa fosse, poi, una cometa, e ognuno aveva la propria idea in proposito.
«Per me è la scorreggia di un angelo del paradiso» disse Ematonio, che era molto sensibile.
«Per me è un fantasma assassino che ogni anno ad Halloween uccide tutti i teratartari e poi li ricrea il giorno dopo all'infinito» disse Tombino, che aveva molta fantasia.
«Per me è morta» disse Baretta «e non passa più»
I bambini corsero per tutta la giornata, fino a quando non si resero conto che non sapevano mica dove andare, e allora decisero di tornare indietro e chiedere a qualche adulto, magari defunto, dove andare a cercare questa cometa.
Ma, forse perché era tardi e avevano iniziato a stancarsi, forse perché i loro piedi erano gli angoli del sacco che costituiva il loro corpo e quindi avevano i passi un po' brevi, e forse anche perché quando provavano a correre le cuciture saltavano, rotolini di carne gli cadevano intorno, e loro, golosi com'erano, si fermavano a raccoglierli per rimangiarseli, sicché poi erano ancora più affaticati, non riuscirono a fare molta strada prima di fermarsi, stanchi.
«Abbiamo combinato un pasticcio» disse Ematonio, pulendosi gli occhiali: lo faceva sempre, quand'era preoccupato.
«Io vorrei un pasticcio di occhi di ragno» brontolò Tombino, che era di buon appetito.
«È tutta colpa tua» gli disse Baretta, che era la più spaventata, perché temeva sempre che l'infame megera che diceva di averla messa al mondo la gettasse in un pentolone e ci facesse un pasticcio per davvero, o magari un polpettone «eri tu che volevi vedere quella stupida cometa»
«Che magari è solo una puzzetta...» disse Ematonio.
Atterriti, impauriti e con la pancia che brontolava, i tre teratartarini non sapevano che fare, e di conseguenza non fecero nulla, rimanendo lì a fissare le ombre della notte, che ogni tanto si innervosivano e sibilavano «Beh, che c'è da guardare?»
D'un tratto, quando si era ormai fatta ora di cena, udirono dei suoni morbidi e striscianti provenire dai dintorni: dal fitto del bosco dello Squartamento Ottuplice (vanto della scuola di tortura teratartarese, che consisteva nel legare il corpo da squartare a otto cavalli, anziché quattro) emersero delle basse sagome tonde, alcune piccole e alte grandi, alcune saltellanti e altre che strisciavano su lunghe radici verdi e tentacolari. Erano una banda di zucche.
«Oh no!» sussultarono i teratartarini.
La zucca più grossa esclamò «Guarda guarda, che bocconcini prelibati che abbiamo trovato!»
«Per favore, signora zucca, non ci mangi» supplicò Baretta.
«Stai scherzando?» si accigliò la zucca «Ogni anno, tutti voi cosiddetti "cittadini" coltivate, rapite e affettate migliaia di noi zucche, per mangiarci e per fare le vostre stupide lanterne decorate. Io dico: basta!»
«Ma, signora zucca» balbettò Tombino «io pensavo che a voi, ecco...piacesse, essere mangiate, o intagliate per fare le lanterne»
Tutte le zucche tacquero.
«Che cos'hai detto?» chiese la grande zucca, guardandolo torvo.
«Io...pensavo che vi piacesse, essere il nostro cibo e i nostri giocattoli ad Halloween»
«Ah! Hai ragione, è vero!» esclamò la zucca, scoppiando a ridere. Risero anche le altre zucche. «È proprio vero! Ah, e io che stavo per mangiarvi! Voi tre mi piacete, ragazzi. Ehi, venite con noi, vi facciamo conoscere il nostro capo e poi vi riaccompagniamo a casa, che ne pensate?»
«Urrà!» esclamarono i teratartarini.
Seduti sulla cima di tre grosse zucche, i bambini, reggendosi forte mentre queste saltellavano su e giù, percorsero insieme a loro un irto sentiero che passava intorno alle montagne, dove nessuno dei loro genitori era mai stato. Al centro del monte più grande di Teratartara si trovava una grotta, un'ampia cavità illuminata da alcune zucche di pietra, molto antiche. Fu proprio là che la banda portò i bambini.
Guardandosi intorno impressionati, perché non avevano mai visto niente di così grande, i sacchetti di carne si accorsero che c'era qualcun altro, in quella caverna, che non era una zucca.
«Scusi, signore» lo chiamò Ematonio «lei chi è?»
Videro alzarsi un personaggio alto, smilzo, con un lungo mantello stracciato e una grossa zucca al posto della testa. Nella zucca si accese una fiamma.
«Io? Ho il piacere di essere il vecchio Jack Lanterna, per servirvi, ragazzi miei!»
«Jack Lanterna?» chiesero all'unisono i fagottini «Mai sentito!»
L'uomo zucca sospirò «Non mi stupisce, cerco di far bene la mia parte senza prendermi troppi meriti. Ma dovete sapere, amici miei, che ho fondato io Teratartara, tanti anni fa»
Ora Ematonio, Baretta e Tombino lo fissavano con i fori facciali a "O".
«Una volta vivevo a Pianodisopra. Ero un pianodisoprese, o umano, come dicono lassù. E quando morii, non potei andare in nessuno dei luoghi dove vanno gli umani quando muoiono loro. Avevo in mano soltanto una zucca lanterna. Dopo aver girato a lungo senza concludere niente, ebbi un'idea: dato che non mi facevano entrare in nessuna casa, né quella dei buoni né quella dei cattivi, decisi di costruirmene una io»
«E come fece, signore?»
«Trovai un posto nell'aldilà dove nessuno sarebbe venuto a disturbare, un posto che nessun altro avrebbe voluto per sé. C'era questa grande vallata ai piedi della montagna, abitata da nessun altro che alcune zucche molto gentili: quando videro la mia lanterna, trovarono l'idea interessante, e decisero di farmi il loro capo. Insieme abbiamo reso abitabile questo posto, e costruito tutto quello che conoscete»
«E quindi tutti gli abitanti erano zucche?» chiese Tombino, al quale non sembrava di somigliare a una zucca.
«Oh, no. Ma hai ragione: avevo bisogno di abitanti. Così, dato che potevo ancora tornare sulla Terra, decisi di prendere un po' di gente di lì. Sapete, ogni anno c'è una notte in cui la soglia tra la Terra e l'aldilà si apre, e noi spiriti possiamo passare qualche ora lì. Decisi di approfittarne: iniziai a tornare ogni anno a Pianodisopra, durante la notte di Halloween, e a dire alla gente che c'era questo bel posticino nell'aldilà, dove si possono fare cose spaventose tutto l'anno e fare dolcetto o scherzetto tutti i giorni»
«E poi?» chiese Baretta, ammaliata dalla storia.
«E poi, con mia grande sorpresa, scoprii che c'era tantissima gente che desiderava proprio vivere in un posto come questo. Così mi misi in testa, facendo luce con la mia lanterna, e li guidai fin qui. Nessuno era costretto a rimanere qui per sempre, ma sempre più pianodisopresi si trasferivano senza tornare più indietro. Man mano la voce iniziò a girare, e ricevemmo visite da diavoli infernali, fate dell'Isola dei Beati, polipi volanti dello spazio e persino qualche angelo un po' annoiato. Oh, e i gatti, non bisogna dimenticare i gatti.
Alla fine, Teratartara si è riempita di persone. Ogni anno risalgo in superficie, portando con me i fantasmi che desiderano fare una visita ai loro vecchi mondi, sempre guidandoli con la mia lanterna. A quanto si sente dire, è il luogo più in di tutto l'aldilà. Alla fine, è stato il vecchio Jack a fare uno scherzetto a quelli del paradiso e dell'inferno, che non l'hanno voluto far entrare!»
«Signor Jack, ma allora, la cometa di Halloween, che passa ogni anno attraverso il nostro cielo...» disse Tombino.
«...è la mia lanterna, hai indovinato» concluse Jack, sorridendo, cioè sollevando una delle zucche stese ai suoi piedi, su cui era inciso un volto sorridente.
«Ora dovete tornare a casa. Manca ancora qualche giorno ad Halloween. Mi raccomando: festeggiatelo sempre, festeggiatelo con allegria, con spirito festoso e con il cuore leggero, perché è la festa della libertà, la festa delle scelte che durano oltre la morte. Buon Halloween a tutti voi! Dolcetto o scherzetto? Cosa vi toccherà? Io non ne ho idea, ma so per certo che vi divertirete moltissimo!»

Quella notte, le zucche riaccompagnarono i bambini al limitare della città, augurarono loro buona notte, dissero che avrebbero comunque considerato l'eventualità di mangiarli, se li avessero rivisti, e se ne tornarono sulle colline.
I genitori dei bambini li punirono in modo esemplare. L'infinitamente disgraziata strega impiccò Baretta a testa giù, mentre i genitori di Tombino distrussero effettivamente il bambino, e lo ricucirono soltanto la mattina di Halloween, ma solo perché era una festa importante, altrimenti avrebbero aspettato anche per mesi. In ogni caso, i bambini si considerarono più che felici, perché avevano scoperto un segreto importantissimo, e sapevano perché si festeggiava Halloween.
Quando la notte del 31 sopraggiunse, in lontananza, nel cielo nebbioso, si accese un lumino, che lentamente arse attraverso il cielo e lo percorse fino a sparire.
«Ciao Jack» gridarono in coro i bambini «buon Halloween!». Si guardarono l'un l'altro mentre ridevano: i loro volti sembravano quasi umani. Quasi vivi.
E come disse loro il buon vecchio Jack Lanterna, buon Halloween a tutti noi. Dolcetto o scherzetto?



giovedì 17 ottobre 2019

Devil May Cry 5 - Eucatastrofi demoniache


Buonasera, e ben ritrovati sul blog originale dell'Anima del Mostro, dopo lo iato più lungo della sua vita. Finora.
Rispetto all'ultima volta, sono cambiate molte cose. Molte delle cose che aspettavamo e su cui fantasticavamo insieme sono accadute, e hanno assunto una forma intorno alla quale non possiamo fantasticare più.
Perché le cose di cui mi piace scrivere di più sono quelle possibili. Il fantastico, oltre che una serie di modi di parlare di ciò che è, dato che naturalmente occorre sempre ribadire, è pur sempre anche un discorso su ciò che potrebbe essere. È il motivo per cui tante volte qui abbiamo dato uno spazio enorme alle concept art: una possibilità vaga, definita ma non del tutto.
Devil May Cry 5 è uscito, Godzilla II è uscito, e intanto L'Anima adesso è anche una pagina Instagram che vi invito a seguire se non ci siete. Ormai l'attività su Facebook e su quest'altra pagina è consolidata, e il fatto che sia passato il lasso di tempo di inattività del blog più lungo di tutti non l'ho vissuto problematicamente, visto che l'attività procedeva in modo anche interessante.
Questo post sarà il primo degli ultimi nove sulla via del centesimo.
Sì, ultimi.
Nel senso che finiremo?
Sì.
No no, scherzo, non finirà niente!
Dopo il centesimo post, L'Anima cambierà impostazione. Abbandonerò il metodo del "un solo post lungo alla volta" e tutta una serie di altre regole che mi ero imposto, per pubblicare i contenuti qui in modo più libero. Nel frattempo, spero che per allora sarò riuscito a concretizzare un paio di altri progetti, grazie ai quali le cose prenderanno una svolta molto ma molto più interessante.
Penso però che un cambiamento come questo non vada preso di punto in bianco e in un momento casuale. Per questo non l'ho fatto prima. Così, voglio arrivare al post numero 100, perché penso che dopo quel momento potrò farlo.
Finiti i chiarimenti, passiamo a questo novantaduesimo post dell'Anima del Mostro.

DMC IS BACK!!!
Quale sarà il modo giusto per parlare di questo gioco? Le sue conseguenze sono state molto diverse da quel che mi immaginavo.
Come ricorderete dal post precedente, quello che descriveva l'attesa del gioco, un grandissimo peso avevano le aspettative sui contenuti in termini di quello che mi interessava di più, la storia della saga di Devil May Cry in primo luogo, la lore e i dettagli sui demoni e la loro mitologia che sarebbero stati espressi, e i punti di congiunzione tra le due cose, vale a dire in che modo le gesta dei cacciatori di demoni si sarebbero intrecciate con la Storia con la esse maiuscola del mondo demoniaco.
E poi, c'era un pensiero rivolto allo stile. Perché il motivo per cui mi piace questa saga, insieme al legame con il suo protagonista, è quel modo in cui combina elementi vari al fine di rendere un'impressione di attrazione, di farci desiderare quel mondo, sentendo come tutto lì avviene nel modo più affascinante, più figo possibile. E poi, per me, questo risultato è direttamente proporzionale alla quantità di colore rosso presente nel gioco, dagli ambienti alle schermate fino agli artwork promozionali. Il rosso accompagna ed enfatizza il sapore di spettacolo e di passione, come se richiamasse non già il sangue presente in gran quantità sullo schermo, ma il mio, che ribolle davanti allo spettacolo e ne gode appieno. È anche per questo che i primi tre -incluso il due- hanno su di me un potere visivo unico.

Avengers May Cry

Devil May Cry 5 non è un Devil May Cry rosso.
Non potrei dirlo più chiaro di così.
Ed è come se questo avesse determinato un cambiamento, sulla base del quale l'ho dovuto leggere in base alle sue connotazioni specifiche, e non quelle del resto della saga, per trovare il suo senso nel mio sistema di suggestioni e sensazioni.
Farlo è stato molto particolare, mi ha lasciato sensazioni nuove e sconosciute.

Devil May Cry 5 cambia genere estetico e passa dall'anime alla live action.
Punta al realismo cinematografico, ha una direzione estetica spettacolare, tesa a coniugare i modelli gotici e macabri, con cui ha sempre presentato i demoni, con un'ambientazione metropolitana e un tono da film d'azione, magari supereroistico, pieno della polvere, del grigiore e dell'oggettistica che questo comporta.
Il rosso diminuisce perché Dante ha solo un terzo dello spazio complessivo del gioco -o qualcosa di più-, e dominano i colori di Nero e V, gli altri due protagonisti, e il grigio dell'ambiente metropolitano. Il rosso è maggiore nei livelli ambientati nelle dimensioni sovrannaturali, combinato con altri colori caldi, ma non è esattamente quel misto di rosso e nero, e di tratteggi sfumati, cui collego i primi tre. Perché quelli erano ambientati in una dimensione fumettistica, basata sui cliché, ed era come se Dante avesse il pieno controllo di quella dimensione, un genius loci dello sballo action-horror. Qui, a bordo del fedele camper di Nico, lui e la sua banda sono sbarcati in un mondo più vasto, un mondo in cui i vecchi stilemi non bastano più, e la narrazione acquisisce così multimedialità, notazioni cronologiche e topografiche, mentre i rimandi a una storia del mondo si fanno più fitti.
Perché la saga di Devil May Cry, per la maggior parte degli aspetti, pare ambientata in un mondo fantastico: città e luoghi immaginari come Mallet Island o Vie de Marli, nessuna menzione alla geografia reale se non in due casi (sappiamo che la città di Fortuna si trova in Europa, e che Dante negli altri capitoli opera in America), una generica menzione a proposito di un medioevo in cui esistevano cavalieri (nella descrizione di Shadow del primo Devil May Cry); soprattutto, regole proprie: l'umanità è consapevole dell'esistenza dei demoni, il negozio di Dante non è un caso isolato, ma le attività di Devil Hunter rendono bene anche altrove. Anche la fisica sembra distorta, ma quello è sempre per via dei poteri di Dante...e un pochino del taglio registico.
Per curioso che possa sembrare, Devil May Cry 5 aggiunge un tassello che sembra tenerlo più legato al nostro mondo, inserendo una persona realmente esistita, forse l'unica mai nominata: William Blake.
A meno di considerare l'ipotesi, che io non scarterei, che il nostro Blake, uomo pieno di risorse, non abbia viaggiato in altre dimensioni e pubblicato i suoi libri anche lì.
Nel gioco, uno degli oggetti più importanti sia ai fini della storia che della componente ludica è un libro, il libro con cui gira sempre V, contenente le poesie e le incisioni di William Blake. Sarebbe futile congetturare su che libro possa essere in termini "editoriali", se una selezione delle opere migliori, una miscellanea, un testo contenente tutto il Blake poeta concentrato in uno spazio ridotto (perché possiedo un libro con tutta la poesia di Blake, e nella rilegatura del libro di V non ci entra). Diciamo che allora che il libro di V è un pretesto, un oggetto la cui funzione è simbolica, un dispositivo che serve a dare all'insieme quello che occorre.
Così, nel mondo di Devil May Cry questo autore esiste. Il che avvicina questo universo al nostro un po' di più. Senza che, al contempo, manchino altri fattori che acuiscono la distanza, come la menzione del leggendario fabbro di armi Machiavelli (che in realtà era già stato menzionato nel Devil May Cry Drama CD, del 2008). Direi insomma che questa è una saga che non tenta di creare un'ambientazione perfettamente definita e delimitata da delle regole, ma continua anche qui a giocare con quelle regole, inserendo ciò che sceglie di inserire esclusivamente sulla base della stilosità e di quanto renda tutto ancora più figo. Con la differenza che lo fa a più livelli rispetto al passato.
A definire questo episodio, al di là del mio evanescente discorso sui colori, sono il tono e le scelte autoriali.
Devil May Cry 5 segue un registro narrativo inedito, che intreccia l'intreccio in un modo che non sempre aggiunge significato, ma dà indubbiamente un aspetto più autoriale al tutto.
In primo luogo, possiede una cronologia ben determinata e puntualmente documentata: all'inizio di ognuna delle venti missioni, del prologo, degli epiloghi, e anche in diversi momenti all'interno della stessa scena, veniamo sempre informati del giorno e dell'ora, sì da poter ricostruire dettagliatamente la successione degli eventi, avendone voglia.
Giusto per darvene un assaggio, e per definire anche qui la materia del nostro discorso anche in termini temporali: Devil May Cry 5 è ambientato principalmente il 15 giugno.
La Missione 1 inizia alle 04:24 di notte, la missione 20 alle 16:27.
Il Prologo, quando inizia la nostra avventura, è ambientato il 16 maggio. Il Prologo è costituito dalla prima battaglia tra i Cacciatori di Demoni, dunque i protagonisti Nero, Dante e V, ma anche le cacciatrici Trish e Lady, e l'antagonista Urizen. Lo stesso giorno ha visto emergere dagli inferi, nella metropoli immaginaria di Red Grave City, il gigantesco albero del Qliphoth, ambientazione della maggior parte del gioco, causa della morte della maggior parte degli abitanti, attraverso le sue radici semoventi che uccidono gli esseri umani per assorbirne il sangue, e veicolo dell'invasione di demoni forse più grande della saga.
Il primo evento in ordine di trama, però, avviene il 30 aprile, ed è il furto del braccio di Nero da parte di un misterioso sconosciuto. Quello sconosciuto, cioè Vergil, torna il 1 maggio nella casa in cui lui e il fratello abitavano da bambini, ridotta a un rudere dopo l'attacco dei demoni, e lì opera l'atto dal quale prendono vita Urizen e V.
V contatta Morrison, l'agente di Dante, presumibilmente uno o due giorni dopo, magari dopo essersi rimesso in sesto dopo la sua "nascita", e Morrison a sua volta lo accompagna alla Devil May Cry il 3 maggio; di lì a pochi giorni Patty Rowell festeggia il suo compleanno (no no, è importante).
Il 15 maggio, un mese prima degli eventi principali del gioco, il Qliphoth emerge dalla terra di Red Grave City, e ben presto (alle 16:44) Dante, insieme a Trish, Lady, V e Nero, si reca al suo interno per affrontare il demone che ha causato il tutto. La missione 10 è l'unica ambientata in un periodo differente, e segue per l'appunto Dante che attraversa le vene pulsanti del Qliphoth. Uno dopo l'altro vengono tutti sconfitti -ad eccezione di V, che non prende parte allo scontro- e mentre quest'ultimo e Nero si mettono in salvo, gli altri tre rimangono indietro. Questo, come dicevo, nel Prologo.
Dopodiché, l'azione si sposta avanti di un mese, e tutti gli altri eventi sono ambientati in seguito.

Urizen: One King, One God, One Law
«And it grew both day and night, till it bore an apple bright.»
Devil May Cry 5 inizia con una citazione. È la prima volta che accade.
Iniziare un'opera con una citazione in chiave postmoderna (cioè inserita esclusivamente come citazione, come siamo abituati a vedere) le dà invariabilmente un tono più rilevante, più autoriale, non tanto per motivazioni intrinseche quanto perché ci siamo abituati.
La frase, naturalmente, è di Blake. Sono due versi della poesia A Poison Tree. Capiamo ben presto che si riferiscono al Qliphoth, che Urizen sta nutrendo notte e giorno perché produca il Frutto dal quale otterrà il potere. Ma se leggiamo la poesia troviamo bene come essa rispecchia lo svolgimento della vicenda di Devil May Cry 5:

I was angry with my friend; 
I told my wrath, my wrath did end.
I was angry with my foe: 
I told it not, my wrath did grow. 

And I waterd it in fears,
Night & morning with my tears: 
And I sunned it with smiles,
And with soft deceitful wiles. 

And it grew both day and night. 
Till it bore an apple bright. 
And my foe beheld it shine,
And he knew that it was mine. 

And into my garden stole, 
When the night had veild the pole; 
In the morning glad I see; 
My foe outstretched beneath the tree.

La figura centrale della storia è Vergil. È lui che dà vita a tutto ciò che accade. E il sentimento da cui derivano tutte le sue azioni, sia in questo capitolo, che, sulla base dei retroscena che esso contiene, anche del resto della sua vita, è la rabbia verso Dante, 'amico' in quanto fratello e unico simile che possieda, 'nemico' da quando la vita li ha contrapposti. Ha coltivato la sua rabbia con le lacrime... e con la paura.
«The truth is... I wanted to be protected and loved...»
La sua rabbia, mediata dalle risorse del mondo demoniaco, è divenuta il Qliphoth, la cui funzione principale è proprio produrre il Frutto.
Così, le ultime due strofe, in cui il nemico assiste allo splendore del frutto e tenta di fermare il poeta, sembrano anticipare l'incontro di Dante e Urizen, nel campo davanti alla casa di infanzia dei figli di Sparda, durante la Missione 17. Espropriate del messaggio di Blake, chiaramente.


Il Prologo e il video iniziale della Missione 1 sono estremamente emblematici nella definizione dell'opera, nel mostrare come essa sia approdata altrove rispetto al passato, dal punto di vista estetico.
Il primo, come scrivevo nell'articolo precedente, mostra un'apocalisse demoniaca che coinvolge in modo più manifesto la città e i suoi abitanti. Persone alle prese con la vita di tutti i giorni che vengono impalate e smembrate da tentacoli mostruosi, il tutto enfatizzato da brani tragici.
Urizen si palesa come il tiranno. Siede su un grande trono poggiando il capo su una mano che si regge sul gomito posato su un bracciolo. L'impressione che gli artisti vogliono trasmettere è quella di un essere che ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità, la forma di potere più alta esistente -o meglio, della cui esistenza era al corrente- e che dunque prova noia davanti a qualunque cosa, che ormai non può più interessargli. Tutto ciò che esiste può solo dargli altro potere.
Parlando la lingua degli archetipi, possiamo vedere nella sua posizione un segnale di malinconia, che lo accomuna a quelle figure mitologiche, come Saturno o Lucifero, re dell'Età dell'Oro, che dopo la fine della loro epoca perdono il loro stato e si ritrovano in una dimensione infera e ctonia, sospesi nella non-vita, in attesa che torni il loro momento. Urizen, cioè Vergil, è effettivamente un angelo caduto, passato a un'esistenza nascosta, dolorosa e intollerabile, e adesso l'albero gli consente il ritorno.
Urizen prende il nome da uno dei personaggi più importanti della mitologia di Blake. Identificabile con il Dio del Vecchio Testamento, è lo spirito della tradizione e della ragione, che ha provocato la separazione dell'Uomo primordiale, il gigante Albione, nei Quattro Zoa, ognuno dei quali è una delle parti che solo insieme costituiscono la natura dell'uomo, la ragione appunto, la natura, l'amore e la creatività. Urizen è il Nemico per eccellenza in tutte le fasi in cui si evolve la mitopoiesi blakeana, a partire dalle poesie giovanili in cui è chiamato Nobodaddy, "Papà Nessuno" (o Babbonemo, come lo tradusse Ungaretti), incombe su tutte le passioni mentre tenta di stroncarle, e in questo ruolo antagonistico è assimilabile a Satana, come nel fatto che in molti episodi si trasforma in un drago, o a un drago viene paragonato.
«This demon is your reason. Your reason for fighting.»
Difficile, naturalmente, non vedere le similitudini con quanto avviene nel gioco. Sventando tutti i timori che Urizen fosse solo un nome, gli scrittori del gioco hanno saputo integrare la loro fonte letteraria con la trama che stavano sviluppando: Urizen, la ragione di Vergil, presente in lui fin dall'inizio, è ciò che lo ha portato a scindersi in due entità diverse, per mantenere una forma che fosse libera dalle ferite lasciategli dalla vita come Nelo Angelo, liberarsi della parte più debole e umana e perseguire la ricerca del potere in una forma che non avesse limiti. Un essere freddo, vuoto, che operasse per puro calcolo.

L'albero della dannazione

Acquista allora un grande valore la sua compenetrazione con il Qliphoth, altro elemento chiave del sistema di mitologia e riferimenti mitologici di Devil May Cry 5, che sono ancora più ricchi e più fitti degli episodi precedenti.
Il Qliphoth, internamente al gioco, è una pianta parassitaria proveniente dal mondo demoniaco, e, a detta di V, persino più antica del mondo demoniaco stesso. Non è la prima forma di vita vegetale demoniaca che compare nella saga -se di forme di vita si può parlare a proposito del Netherworld- basti pensare alle radici rampicanti di Devil May Cry 4, ma certamente è la più importante. Il Qliphoth si nutre di sangue umano, penetrando nel mondo mortale se evocato da qualcuno in grado di farlo, e man mano che cresce protende le sue radici sempre più in alto, verso il cielo, mentre il fusto e i rami si estendono nel mondo demoniaco. In tal senso, il Qliphoth funge anche da collegamento tra le due dimensioni. La sua funzione principale, o perlomeno più unica, è la creazione di un frutto attraverso il sangue che assorbe, un frutto che detiene un potere tale da porre chiunque lo possieda al di sopra di ogni altro demone. Fu proprio il frutto, come spiega Trish all'inizio della Missione 13, a rendere Mundus imperatore del mondo demoniaco molti millenni fa...il che dischiude ai nostri occhi, per la prima volta, il pensiero che Mundus non sia sempre stato il sovrano dei demoni.
Non abbiamo mai sentito parlare prima del Qliphoth perché Sparda, duemila anni fa, nel corso della sua opera "demiurgica", l'ha bloccato grazie al sigillo che ha posto per separare i due mondi: senza la possibilità di nutrirsi, il Qliphoth rimane inattivo.

Il nome dell'albero è di origine cabalistica, e indica forse ciò che meglio corrisponde, all'interno della tradizione esoterica ebraica, al male: Qliphoth, קליפות‎, che in ebraico è un genitivo plurale, significa gusci e designa degli strati di scorie che separano l'uomo dalla santità, da intendere come forze spirituali negative, le tentazioni, il male. Le qliphoth, contrapposte alle sephiroth, che sono invece i gradi di perfezionamento risalendo i quali l'uomo raggiunge lo stato divino, sono ciò che allontana l'uomo da Dio. Se fosse possibile disporre le qliphoth e percorrerle, probabilmente condurrebbero verso lo stato di maggior lontananza da Dio e di totale asservimento alla materia e alla bassezza. Il Qliphoth di Devil May Cry, letto in questo senso, è la scala che porta verso l'inferno, e dopo averlo percorso tutto ed essersi completamente integrato allo stato inferiore dell'esistenza, Urizen è divenuto il demone supremo, supremo perché più in basso di tutti in un universo capovolto, il cui vertice raggiunge infatti il fondo del mondo demoniaco.
Mitologicamente, il Qliphoth di Devil May Cry è il perfetto Axis Mundi, cioè l'asse al centro dell'assetto cosmologico che sostiene e collega i mondi, come Yggdrasill nella mitologia eddica e l'Albero della Vita in quella ebraica. Ai quali, naturalmente, è ispirato.
La forma di albero, che naturalmente non deriva direttamente dalle qliphoth cabalistiche, è ripresa da questi alberi mitologici, dei quali Yggdrasill è il più famoso anche a livello popolare, e con il quale il parallelismo è esplicitato da un'altra componente del gioco, la razza dei Nidhogg, che prendono il nome dal grande drago che rode eternamente una delle tre radici di Yggdrasill, tormenta i morti ed è destinato a portarli via dal cosmo dopo la fine del Ragnarök.
Fin dalle prime Missioni ci approcciamo all'unica effettiva meccanica "puzzle" di Devil May Cry 5 -insieme ai pozzi di sangue da riempire nella Missione 12, che non si trovano al di fuori di essa-, i viticci del Qliphoth che è possibile superare solo attaccando loro una delle larve di Nidhogg, che con la loro azione parassitaria le consumano fino a dissolverle. Malgrado in queste prime fasi non si palesi nessun drago, è interessante la rilettura del mostro mitologico norreno come di un parassita dell'albero del mondo -che è a sua volta un parassita di sangue.
In realtà, scopriamo alla fine della quarta missione, Nidhogg possiede un aspetto più grande e più "draconico" delle piccole e inermi larve che troviamo sparse in piccole culle demoniache: un mostro ibrido di natura arborea che emerge dalle radici del Qliphoth, costituito da un corpo da cui si sviluppano alcuni tentacoli, uno culminante nel mostro principale, mentre gli altri tre sono teste serpentine che ne seguono le indicazioni. Resta da stabilire se il mostro sia il centro dell'organismo Nidhogg, o lo stadio adulto che tutte le larve possono raggiungere dopo la maturazione, e il fatto che, anche dopo averlo sconfitto, è possibile trovare e usare una delle sue larve nella Missione 12 -ma non farlo ci garantirà un bonus extra alla fine della missione- potrebbe provare la seconda ipotesi, o essere semplicemente una piccola errore dello sviluppo del gioco. Io penso di optare per l'altra spiegazione.


Nidhogg è un demone originale del gioco, il cui bestiario contiene molte vecchie conoscenze, ma ricorda sotto molti aspetti, al punto da portarci a ipotizzare una parentela, un boss di Devil May Cry 4, la serpentiforme Echidna, anch'essa formata da un corpo da drago, un torso antropomorfo, e varie appendici di natura vegetale. Nel mondo di Devil May Cry, dove i demoni si originano spesso dai sentimenti umani e organizzare una tassonomia è impossibile e insensato, esistono legami canonici tra categorie il cui aspetto è simile, come tra i demoni della serie Sin e Death, o i Blade e i Frost; Nidhogg ed Echidna, entrambi eredi della ricca tradizione mitologica dei serpenti, potrebbero essere un altro esempio.
Inoltre, voluto o meno che sia, attraverso di loro si crea un parallelismo e una potenziale fonte di coesione della lore tra gli elementi del quarto e del quinto Devil May Cry: l'oggetto chiave per superare gli alberi demoniaci di DMC4 è un frutto chiamato "Sephirothic Fruit", ottenuto dopo aver sconfitto Echidna e proveniente dal suo stesso ventre, come fosse un uovo. La sua descrizione riporta che esso detiene il potere che lega le piante demoniache; come detto sopra, il Sephiroth è esattamente contrapposto al Qliphoth nella Cabala. Così, dai due demoni-serpente derivano dei "frutti" capaci di consumare e distruggere le radici dei due alberi demoniaci; in tal senso, il loro aspetto ofidico riporta alla mente il serpente dell'Eden, causa della caduta dell'Uomo, anche se questi dimorava non sull'Albero della Vita, ma su quello della Conoscenza.

Del ciclo vitale del Qliphoth fa parte poi una razza demoniaca che vale la pena di approfondire qui, costituendo il grosso dei nemici affrontati nel gioco, erede delle Marionette, dei Msira, dei Sette peccati capitali e degli Spaventapasseri che costituivano la carne da cannone dei quattro capitoli precedenti: le insettoidi Empuse. Indubbiamente i miei minion preferiti della saga.
Le Empuse sono demoni insettoidi, vagamente simili a delle formiche antropomorfe con solo quattro arti, il cui design, a mio modesto ma attento parere, è tra i più geniali di Devil May Cry. Ciò è soprattutto per via delle loro teste, in cui la forma tipica della testa di una formica è costituita da tre volti umanoidi dai lineamenti raccapriccianti, uno centrale che pare urlare -ricordando in ciò i Red Orb, la valuta di gioco con cui si acquistano le abilità, che a sua volta somigliano molto al Bejelit di Berserk- e due laterali che si protendono nelle mascelle dell'insetto. Questo, accompagnato dalle escrescenze sul capo, che un personaggio cinematografico popolare in questo periodo chiamerebbe "sacche scrotali", rende il loro un volto difficile da dimenticare. Soprattutto perché questo assortimento di orrore contrasta con la loro debolezza: si tratta di demoni deboli, lenti e privi di intelligenza, la cui funzione è quella di bere il sangue delle vittime del Qliphoth, per poi trasportarlo all'interno dell'albero, anzi, se non attaccati, cercheranno le fonti di sangue disponibili per poi scavare dei tunnel e allontanarsi dal combattimento.
Le varianti di Empusa presenti nel gioco svolgono differenti funzioni, e oltre a quella basilare si incontrano l'Empusa verde, volante e simile a una mosca, che trasporta al posto del sangue un nettare verde con cui cura i demoni di ogni specie, preferibilmente quelli più pericolosi, e che dopo averlo fatto si rifornisce di sangue per produrre ulteriore nettare, e l'Empusa rossa, nella quale il sangue assorbito si è cristallizzato ed è una risorsa per i Devil Hunter che colpendo il loro addome possono accumulare i Red Orb.
Come in ogni alveare che si rispetti, al comando si trova l'Empusa Regina, simile a una massiccia mantide religiosa, capace non solo di infliggere gravi danni con i suoi arti a falce, ma di afferrare e azzannare i Devil Hunter (combatterla mi ha ricordato le Aranee di Devil May Cry 3); come mostra la prima scena in cui la si incontra, l'Empusa Regina non si fa scrupoli a uccidere anche le sue stesse operaie -e in generale qualunque demone le sbarri la strada- soprattutto perché consumare il sangue che hanno assorbito le permette di entrare in uno stato potenziato, una sorta di ebbrezza. Anche quando viene sconfitta è pericolosa, perché si lascia esplodere in modo da portare con sé anche il suo uccisore.
Il nome di questa disgustosa razza di parassiti deriva dalla mitologia greca, e designa, opportunamente, dei mostri femminili ascrivibili alla macro-categoria dei vampiri. Le Empuse mitologiche costituiscono il corteo di Ecate, la dea della magia, patrona della caccia e delle potenze infere; sono simili a donne, ma possono assumere qualunque aspetto, e prediligono quelli degli animali sacri a Ecate, come il cane. Gli autori le descrivono spesso con una gamba di asina, o di bronzo, che rimane in vista anche quando l'Empusa si trasforma. Similmente ad altri esseri demoniaci femminili del folklore antico, come la Lamia, erano temute specialmente perché si credeva che, mentre scorrazzavano di notte, si introducessero nelle case per bere il sangue e divorare la carne degli abitanti. Infine, possiedono il potere del fuoco, che possono usare a proprio piacimento, grazie al quale, se uccise, provocano devastanti incendi. In questo caso, Devil May Cry non si appropria solo di un nome, come in altri casi, ma crea una razza demoniaca che corrisponde alla sua controparte mitologica in più punti, il consumo di sangue e l'infido attacco finale.


Nero e Nico

Torneremo sui mostri e l'ambientazione nel corso dei prossimi paragrafi, ma questa è più o meno la situazione di partenza, il mondo in cui i Devil Hunter devono affrontare la loro nuova battaglia in Devil May Cry 5.
L'inizio del gioco vero e proprio è con la Missione 1, ambientata il 15 giugno, ore 16:24 del pomeriggio, che si apre con una delle sequenze più spettacolari di tutta la saga: i titoli di testa. Una giostra di acrobazie in slow motion concepita per una ragione chiara, restituire a DmC il servizio che questo aveva reso a DMC. DmC: Devil May Cry, il famigerato reboot, che nelle intenzioni dichiarate voleva rendere la saga più figa in un'ottica occidentale, riuscendo bene in molti ambiti ma non esattamente in questo qui, iniziava con una scena in slow motion simile -ma non così bella, andiamo. Come se non bastasse, la scritta alla fine dei titoli di DMC5, "This game does not promote smoking or the use of cigarettes", sfotte la presenza di queste in DmC, sempre nell'ottica di dare una certa caratterizzazione al protagonista.

Le prime Missioni scorrono così, con questa coppia che un po' scoppia che attraversa una metropoli fantasma vittima di un'invasione demoniaca. Un'invasione le cui tracce più spaventose, più degli edifici in rovina, del vuoto e del silenzio (spesso e volentieri spezzati dalla comparsa dei demoni) sono i corpi pietrificati delle vittime del Qliphoth e delle Empuse, disseminati per tutti gli ambienti urbani.
Nero in Devil May Cry 5 è stato realizzato sulla base di due criteri, la somiglianza fisionomica con Vergil, dopo le conferme ufficiali del loro rapporto, e il raggiungimento del massimo della prestanza fisica. Il percorso che affronta in questo gioco è molto interessante, perché Nero non è Dante e non è neanche un nuovo protagonista alle prime armi: è la sua seconda apparizione in un episodio di Devil May Cry, e si appresta a compiere una missione importante, ben più dello sventare i piani di una sette religiosa dissennata come in DMC4; un po' come Dante, la cui prima avventura, Devil May Cry 3, lo vedeva fermare il tentativo di un altro uomo, Arkham, di possedere il potere demoniaco di Sparda. Tre volte su cinque, le trame dei Devil May Cry contrappongono gli eroi a uomini ambiziosi che organizzano folli rituali per ottenere il potere di un demone, mentre negli episodi restanti, appunto, il primo e il quinto, l'antagonista è un potentissimo sovrano demoniaco che invade la Terra. Come Dante ha fermato Mundus nel primo Devil May Cry, così Nero dovrà fermare Urizen questa volta. Ed è interessante come tra i due antagonisti sia stato tracciato un legame mediante il Qliphoth, o come ricorrano diversi demoni del primo capitolo.
Insomma, Devil May Cry 5 può essere considerato il Devil May Cry 1 di Nero. Ma, poiché le acque del fiume del tempo scorrono sempre diverse, le circostanze sono profondamente diverse, sia perché Dante ai tempi aveva qualche anno in più (la sua età è sempre stata una materia complicata, ma è chiaro che nel primo episodio è un uomo adulto) sia perché Nero si trova nell'interessante situazione di non essere l'unico Devil Hunter impegnato nel caso, e di non avere la pesante eredità di Sparda sulle sue spalle. Nero è solo Nero, non conosce le sue origini come non le conoscono gli altri, ed è libero di essere chi vuole. Anche se le vicende del suo viaggio cambieranno profondamente questa situazione.

L'esercito degli ultimi giorni

Ultima creatura da associare al Qliphoth è Gilgamesh.
Gilgamesh condivide il nome con un'arma di Devil May Cry 4, il set di guanti e gambali usato da Dante (e acquisito subito dopo l'uccisione di Echidna, proprio come Gilgamesh il demone appare dopo quella di Nidhogg, se proprio dobbiamo essere pignoli), caratterizzato dalla capacità di tramutare il materiale organico con cui entra in contatto in un metallo indistruttibile.
Finalmente, Devil May Cry 5 espande anche questo punto della lore: Gilgamesh è in realtà il nome di un metallo reperibile solo nel mondo demoniaco, dotato appunto della proprietà sopra descritta. Nel momento in cui una delle radici del Qliphoth, in continua espansione, è entrata in contatto con una lastra o un giacimento di quel metallo -ma Nico suggerisce che qualcuno abbia provocato tale unione deliberatamente- hanno provocato la nascita di questo gigantesco orrore meccanico, uno dei nemici più grandi affrontati in Devil May Cry. Richiami particolari tra l'arma, il demone e il Gilgamesh dell'epica mesopotamica non se ne vedono.
La lotta di Nero contro Gilgamesh occupa l'interezza della Missione 6, una missione che spicca in quanto inusuale per Devil May Cry, sia perché, fino al quarto capitolo, solo le missioni finali erano state costituite soltanto da una boss fight, sia perché si tratta di una boss fight in movimento, in cui Nero segue gli spostamenti di Gilgamesh, combattendolo sia a terra che salendo sul suo stesso dorso, sul modello di Shadow of the Colossus ma con uno stile più à la Horizon Zero Dawn. Opinione forse impopolare, ma mi è piaciuto molto, perché ha aggiunto qualcosa di nuovo, concentrato solo in un livello, all'interno di Devil May Cry, saga caratterizzata anche dal prendere a piene mani dalla cultura pop e inserire tutto ciò che risulti abbastanza figo da entrare. Inoltre, Nero che affronta Gilgamesh rinvia a un tipo di immaginario tipico dei film supereroistici che DMC5 ha come modello.

Al di fuori di questi demoni, le forze di Urizen sono costituite dalle numerose specie di demoni minori che compaiono nel corso del gioco, benché non sia mai certo quali siano ai suoi ordini e quali siano semplicemente comparsi in quel luogo di passaggio che è il Qliphoth per cacciare.
Spiccano, poi, due generali, come vediamo nel corso della Missione 5: un cavaliere nero e una strega con tre volti, sopra un orribile uccello. Mentre il Cavaliere Nero è un'armatura alimentata da Trish, dopo che è stata catturata da Urizen, la strega, Malphas, è interessante in quanto unico demone di statuto maggiore che troviamo agli ordini di Urizen.
Malphas è il nome di un demone classico della demonologia, sovente associato e rappresentato come corvo, ricorrente anche nei videogiochi. La Malphas di Devil May Cry appare come, appunto, tre busti di donna riuniti al centro di alcune pietre magiche, il tutto trasportato da un mostruoso demone simile a un gigantesco pulcino deforme, ed è tra le presenze più affascinanti del gioco per diverse ragioni.
La prima è che inserisce un tipo di suggestione particolare, relativo alla stregoneria e alla concezione trina della Dea, che si ricollega direttamente a Ecate, citata poco più su. Piuttosto che richiamarsi al cinema o ad altri videogiochi, il suo aspetto richiama alla memoria magia ed esoterismo.
La seconda è che in molti hanno visto in Malphas Devil May Cry che cita Bayonetta, saga che in parte ne deriva e con la quale sono stati diversi i contatti nel tempo, dove Malphas è un demone corvino che può essere evocato dalla protagonista. Anche se, osservandolo, è molto più simile al nuovo Griffon.
La cavalcatura di Malphas, dal canto suo, ricorda molto da vicino una vecchia concept art di DMC1, caro a molti appassionati, raffigurante quello che sembrava essere un cucciolo del Griffon adulto dalle caratteristiche horror, in linea con lo stile di Resident Evil. Quella bozza, come molte altre che raffiguravano demoni simili a manipolazioni genetiche, fu scartata, e riscoperta anni dopo grazie alla Devil May Cry HD Collection e agli artbook. Finalmente, anche se in formato molto diverso da quelle che dovevano essere le idee iniziali -così diverso da avermi lasciato insoddisfatto- il concept è riuscito ad arrivare nel gioco.
Dalle informazioni del gioco, sembra che inizialmente la strega e il mostro fossero due entità distinte, fuse per magia, e che questo somigli a un pulcino perché effettivamente è un pulcino, trasformato in questa forma prima di raggiungere lo stadio adulto, che sarei molto curioso di vedere.



Bibliografia

Devil May Cry: 3124 Graphic Arts, Udon Entertainment, 2015.
Devil May Cry HD Collection, Capcom, 2012.
Devil May Cry 5, Capcom, 2019.
Devil May Cry 5 - Official Art Works, KADOKAWA, 2019.
Devil May Cry 5 - Visions of V -, Tomio Ogata, LINE MANGA, 2019.
https://devilmaycry.fandom.com

giovedì 21 febbraio 2019

Devil May Cry 5 Introibo - In dimidio dierum meorum vadam ad portas inferi

"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita."
Dante, Inferno, I, 1-3.
Ben ritrovati. È passato del tempo, come le altre volte, ma siamo di nuovo insieme, e iniziamo un viaggio molto importante che ci terrà impegnati per un po'. Entreremo all'Inferno, tanto per cambiare, ma questa volta non lo faremo per vedere il doloroso regno o i suoi abitanti, bensì per capire meglio chi compie il viaggio, chi è l'uomo che si addentra nella selva oscura nonostante essa sia selvaggia, aspra e forte, e forse proprio per quello; perché si addentra, cosa cerca, e cosa lascia dietro di sé.
Oggi parliamo di Devil May Cry. Devil May Cry ricorre qui sin dagli inizi del blog, e ve ne ho parlato in maniera più specifica qui, in una sorta di post introduttivo sviluppato secondo un'idea che trovo ancora oggi carina. Allora, avevo pensato a un piano per i futuri post su questa serie, sarebbero stati tre o quattro, più uno a parte per il reboot, e avrebbero esplorato lati specifici della storia, abbracciando tutti gli episodi, soffermandosi sui riferimenti culturali -mitologici soprattutto- che compaiono nei titoli -perché l'Anima del Mostro è innanzitutto questo-, sull'evoluzione dei personaggi, sulla cosmologia, il bestiario, le possibilità di interpretazione della trama e varie altre meraviglie. L'annuncio di un quinto episodio, che aggiungerà, implementerà e cambierà ciò che sappiamo e ciò che è il mondo di Devil May Cry, ha comportato naturalmente la necessità di cambiare i piani, e di attendere che i nuovi elementi si aggiungano a quelli vecchi, per poter tracciare un quadro che vagli più elementi, e che però abbia dalla sua una completezza maggiore di quella che avrebbe avuto quello sui soli capitoli precedenti: Devil May Cry 5 è stato infatti presentato come conclusione della "saga dei figli di Sparda", dunque della storia di Dante e di Vergil, e se è già attualmente considerata la possibilità di una continuazione del franchise attraverso altri personaggi, dopo questo capitolo potremo, a quanto sembra, affrontare un discorso su una materia che, almeno in parte, sarà un insieme chiuso. E magari avremo qualche punto interrogativo in meno.

Ora, questo post, fino a ieri, avevo deciso che non l'avrei scritto.
Sulla pagina Facebook avevo affermato, diversi mesi fa, dopo una premessa simile a quella qui sopra, che avrei scritto un post prima dell'uscita di Devil May Cry 5, in modo da poter mettere insieme un po' degli elementi già rivelati, speculare e fantasticare liberamente sul contenuto, soprattutto scrivere in forma carina quanto diavolo sia bello che stia accadendo questa cosa, e poi un post post-uscita (chiedo venia) con qualche commento a caldo sul gioco e su in che misura rispecchiasse le mie aspettative e quello che avevo immaginato. Sapevo che quasi sicuramente sarei arrivato a febbraio, prima di poterlo fare, ma non immaginavo che Capcom avrebbe rivelato la mole ciclopica di informazioni che sono uscite nel frattempo, al cui confronto i pochi leak sembrano quasi innocui, sì da limitare enormemente la possibilità di supporre e di dire "spero che...": alcune cose ormai sono chiare. In tal senso, è opportuno mettere in chiaro che, da un certo momento in poi, il post conterrà spoiler per chi avesse deciso di non vedere trailer e avesse abilmente evitato tutte quelle anticipazioni.
Sta di fatto, dicevo, che a questo punto scrivere questo post ha perso molto del suo senso. 'Sì, facciamolo per salvare da qualche parte le cose che vorrei e le costruzioni mentali che queste anticipazioni hanno ispirato', ho anche pensato, ma non valeva ancora tutta la mole di lavoro richiesta. Finché non ho deciso di spingere verso un'altra direzione, e cioè, il sentimento.
Perché questi mesi, relativamente all'attesa di questo gioco, sono stati finora qualcosa di davvero inaudito, un periodo diverso da qualunque attesa di qualunque altra cosa, grazie all'ottima campagna di marketing portata avanti da Capcom, alla bellezza di ogni singolo contenuto del gioco, e anche alla meraviglia rappresentata dalla community di Devil May Cry, una community che ricalca lo spirito della saga: leggero, scanzonato, di un mondo dove si affrontano crisi che minacciano l'equilibrio del cosmo e la sorte dell'umanità, ma si sa quando prendersi sul serio e quando, invece, non farlo per nulla.


Dunque eccoci qua, dopo una premessa di una lunghezza che supera tutti i miei record precedenti, a fare il punto, qui sull'Anima del Mostro, su dove fosse rimasta la saga, l'ultima volta che si è mossa, e su cosa sia accaduto nell'ultimo anno.
Devil May Cry (デビルメイクライ Debiru Mei Kurai), saga costituita da un primo capitolo uscito nel 2001 e diretto da Hideki Kamiya, e i tre sequel di Hideaki Itsuno, più un anime, un manga, tutti canonici, diversi romanzi e light novel che invece non lo sono, alcuni giochi per cellulare basati su quelli per console, e un capitolo reboot che rappresenta un mondo a parte, ha portato i giocatori di PlayStation 2, e poi delle due generazioni successive di console, insieme a lettori, spettatori e curiosi, in una realtà nella quale sul mondo reale incombe un mondo demoniaco, i cui mostruosi abitanti vivono bramando la strage e il potere, domati dall'ombra e dalla leggenda del Cavaliere Nero Sparda, che ha sigillato il reame infernale e segnato un vero prima e dopo nella storia (per giunta due millenni prima del nostro tempo, come la venuta di Cristo; sarebbe carino se in Devil May Cry si segnassero gli anni in "avanti Sparda" e "dopo Sparda"), che di tanto in tanto riescono a entrare nel mondo umano e che vengono affrontati da una cerchia di persone, dalle doti straordinarie, che ruota intorno alla figura del figlio di Sparda, il mezzo-demone Dante, che nel corso della sua vita ha sventato numerose minacce provenienti da entrambi i mondi, fino a superare, a quanto si dice, il potere dello stesso padre, e che dimora nel "negozio" base della sua attività di ammazza-demoni, che si chiama Devil May Cry.
La vera essenza della straordinarietà dei personaggi di questa saga è espressa nel modo peculiare in cui essi si muovono nello spazio, soprattutto durante i combattimenti, alterando del tutto ogni tipo di legge fisica in modo tale che le loro azioni risultino le più fighe, stilose, esagerate e sexy possibili. Vi farete un'idea se guardate una qualunque cinematic del gioco, o se leggete l'articolo di Nonciclopedia sulla "Fisica in Devil May Cry". Un mix tra il supereroico, con sequenze in slow motion e scontri iperadrenalici, e gli anime, sia come tratto grafico che come ridondanza delle azioni, oltre che per tanti ingredienti tipici. Attraverso il gameplay, e in una maniera che si è molto evoluta nel corso degli anni, i giocatori fanno in modo che il combattimento dei personaggi abbia questa carica visiva, questo fascino e questa esagerazione, poiché non è superare il livello, sconfiggere il nemico, il vero punto dell'esperienza di Devil May Cry, ma farlo con stile. Soprattutto dal terzo capitolo in poi, quando questa stilosità è divenuta consapevole, ricercata, e resa bene attraverso le azioni del gameplay.

In termini di profondità narrativa, Devil May Cry non è certamente un Final Fantasy, o perlomeno non lo è stato finora. La preminenza su tutto ce l'hanno gli effetti e le manifestazioni estetiche, mentre la trama fa un po' da raccordo, e probabilmente è sempre a partire dal terzo episodio che le cose sono diventate un po' più complesse. I primi due sono incentrati sul presentare ed esaltare il profilo eroico di Dante, questo supereroe dal vestiario iconico, presentato come un mercenario che accetta "ogni genere di lavoretto" (ma mostrato spesso mentre li rifiuta puntualmente a meno che non li ritenga esaltanti, condizione che richiede la presenza di demoni) e che in realtà è profondamente umano, compassionevole e generoso. Ha un forte peso su di lui l'eredità della sua famiglia: la grande leggenda del padre, il suo compito, dovuto alla sua unicità di mezzo demone e alla sua discendenza, di proteggere il mondo umano dai demoni, ma anche il dolore per la perdita della madre, uccisa dai demoni quando lui era bambino, e del fratello, da cui è stato separato da giovane. Ha un desiderio bruciante di vendicarsi, camuffato dalla sua apparente leggerezza di spirito e l'aria da duro. Rispetto al primo DMC, dove si esprimono la sua vena ironica e il suo sostanziale buonumore, il secondo lo priva di quasi ogni complessità, e lo presenta come uno stereotipato guerriero taciturno, che finge di non interessarsi ai bisogni degli altri a meno che la monetina truccata cui affida le sue decisioni non dia testa, e che solo di tanto in tanto impiega qualche battuta graffiante.

Quando il terzo capitolo, tornando nel suo passato, ha raccontato il suo "risveglio", la storia della battaglia che lo ha portato, da un giovane privo di interessi al paladino della sua età matura, ha dato molta più linfa vitale a Dante, l'ha reso più complesso, e ha sapientemente elaborato uno spunto che il primo DMC presentava ma senza approfondire troppo, quello del fratello Vergil; la scena in cui Dante, dopo diverse battaglie contro il misterioso cavaliere Nelo Angelo, lo sconfigge e gli trova addosso il medaglione che lo identifica come il fratello perduto, mentre nei suoi ricordi riaffiora la voce della madre, Eva, che augura buon compleanno a entrambi i figli, gemelli, legati da qualcosa di ancora più potente del sangue demoniaco, è forse il momento più toccante del gioco. Le basi perché Devil May Cry divenisse la storia di un dramma familiare sovrannaturale c'erano, e sono state abilmente impiegate.
Devil May Cry 3 ha definito Vergil, opposto e speculare a Dante, che dalla morte della madre per causa dei demoni ha appreso la necessità del potere, e che l'ha ricercato, al prezzo di sacrificare ogni attenzione e misericordia verso il prossimo, ma non per questo un suo personale senso dell'onore, fino a legarsi sempre di più al potere demoniaco che Dante, inizialmente, non vuole usare, e che accetterà solo dopo il primo confronto col fratello. Alla fine del viaggio, Vergil, sconfitto nell'ultimo duello contro Dante, sceglie di rimanere nel mondo demoniaco alla ricerca di più potere, dove sarà soggiogato dal sovrano dei demoni, Mundus, e reso Nelo Angelo; questa ulteriore separazione, che durerà fino all'incontro tra i due nel primo gioco, segnerà Dante con altrettanta forza, probabilmente, dei colpi già subiti.
Importante è anche il fatto che, da questo momento in poi, le sorti di Dante si legano a quelle di un attore, Reuben Langdon, che lo interpreta grazie al motion capture e lo doppia. Reuben è tuttora adorato da molti appassionati della saga, me incluso, come se fosse veramente Dante.
Fino a questo punto, avevamo due capitoli in ordine e un prequel, più:
-un adattamento a fumetti del primo Devil May Cry, non canonico;
-due romanzi, non più canonici, che espandevano i primi due capitoli (il primo raccontava un'altra parte della giovinezza di Dante, in cui lui adoperava lo pseudonimo di Tony Redgrave e si scontrava con un uomo di nome Gilver, fino ad ucciderlo e scoprire che si trattava di Vergil; l'uscita di DMC3 lo ha reso non canonico);
-il manga di Devil May Cry 3, che racconta un incontro tra Dante e Vergil accaduto un anno prima del gioco, e che, anche se c'è poca chiarezza al riguardo, non contraddice il canone. Inoltre qui Dante ha un assistente di nome Enzo.

Con Devil May Cry 4, nel 2008, le cose si complicano.
Il secondo capitolo, il meno riuscito -e io sono tra i pochi che lo gradiscono lo stesso, che vedono la sua importanza, e che si innervosiscono non poco quando vedono gli altri che cercano di fingere che non esista- presentava non pochi problemi come continuità, in primo luogo il mutamento repentino del carattere di Dante, poi la mancanza di personaggi del terzo capitolo, che lo rendeva un po' difficile da legare al resto, e infine, la decisione di lasciare il finale aperto: dopo la vittoria contro il potente principe demoniaco Argosax, Dante decide di andare da solo sulla sua moto nel mondo demoniaco, e l'ultima scena mostra la sua ultima "partner", Lucia, che attende nel suo negozio, sente il rumore di una moto che si spegne nelle vicinanze e corre ad aprire alla porta. Per qualche motivo, questa ambiguità, un'ambiguità voluta forse più dai giocatori, per il fascino della possibilità che Dante non tornasse, è stata preservata fino a tempi recentissimi, e anzi, se il post l'avessi fatto qualche settimana fa, sarebbe rimasta aperta.
Sta di fatto che, forse per evitare le complicazioni che comportava DMC2 per la continuity, Devil May Cry 4 è stato ambientato prima, tra il primo e il secondo, e riprende gli elementi del primo e del terzo, praticamente ignorando il fratellino più sfortunato.
Devil May Cry 4 ha introdotto Nero, un ragazzo con i capelli bianchi e un braccio mostruoso, sede dei suoi poteri di demone, un vero mistero, visto che finora gli unici ad unire qualità umane e demoniache sono stati Dante e Vergil. Nel corso della storia, Nero, che vive nella città europea di Fortuna, dove vige un culto molto simile al Cristianesimo intorno alla figura di Sparda, l'Ordine della Spada, i cui vertici stanno cercando di trascendere la condizione umana e diventare demoni, parte per investigare sul misterioso superumano che ha apparentemente ucciso il capo dell'Ordine, cioè Dante, e poi per salvare la ragazza che ama, Kyrie, rapita dall'Ordine, e rivela di possedere la capacità di evocare una forma di demone che ricorda molto quella di Vergil, per non parlare della sua affinità all'arma del gemello di Dante, la katana Yamato. È nel graphic novel in due volumi "Devil May Cry 4: Deadly Fortune" (credo) che viene svelato che Nero è figlio di Vergil, e di una donna non meglio identificata, abbandonato in un orfanotrofio avvolto in delle fasce nere, da cui il suo nome.
Dante, quando lo vede, non sa chi sia -anche se l'aver incontrato, per la prima volta, qualcun altro come lui, dev'essere stato significativo- ma deve aver realizzato ben presto l'identità di Nero, dato che nel gioco mostra un certo riguardo e un opportunamente celato affetto nei suoi riguardi, fino al punto di lasciargli tenere Yamato, oggetto che gli ricorda una delle persone che ama di più.
L'uscita del nuovo capitolo videoludico viene accompagnata, inoltre, da un adattamento anime, canonico, che vede la luce nel 2007, e che sicuramente non rende più chiare le cose: è ambientato dopo il primo gioco e prima del quarto, compaiono le sue partner nella caccia ai demoni Trish, conosciuta nel primo Devil May Cry, e Lady, incontrata nel terzo, a loro volta entrambe presenti nel quarto. L'anime presenta poi Dante in un "quadro familiare" inedito, in cui ha un assistente, Morrison, mai visto prima (ma non è la prima volta che ne ha uno) e ospita per qualche tempo una bambina di nome Patty. Sia in DMC4 che nel doppiaggio inglese dell'anime, Dante è ancora Reuben Langdon.


Quello che farò adesso è un bilancio della situazione di Devil May Cry, diciamo, nel 2012, quando ho iniziato a giocare la saga, e anche nel 2013, quando ho finito il quarto.
Un grande cambiamento, Nero, un personaggio che pare destinato a prendere sulle sue spalle l'eredità di Dante, che in Devil May Cry 4 compare ed è giocabile, ma certamente con meno spazio rispetto a lui, e che sembra prossimo a intraprendere una nuova via, che gli darà meno spazio: nel gioco mostra chiaramente di poter affrontare tutto da solo il problema dell'Ordine, della sua brama di usare il potere di Sparda e creare demoni, e anche con ridicola facilità, ma lascia fare diverse cose a Nero, e appare spesso come una guida che sta in seconda fila, che può intervenire, ma il cui scopo è farlo il meno che può.
Un grande interrogativo, Vergil: che diavolo è successo a Vergil? La sua ultima apparizione, cronologicamente, è quella nel primo Devil May Cry, come Nero Angelo: nei sottotitoli dell'edizione italiana Mundus afferma, dopo la battaglia, «Vergil è morto», ma in realtà le sue parole sono «Vergil has been defeated». Non sappiamo cosa voglia dire questa sconfitta, possiamo immaginare che si sia liberato del controllo di Mundus, ma non abbiamo altro.
Nel 2015 è uscita la Devil May Cry 4 Special Edition, una Remastered per le console di nuova generazione, che aggiungeva all'esperienza del gioco base, oltre a nuove difficoltà e costumi, la possibilità di giocare nei panni di Lady, Trish e Vergil, e l'aggiunta di video cinematic introduttivi e conclusivi per le rispettive storie. In quello di Vergil, vediamo il mezzo-demone entrare a Fortuna coperto da un mantello da viaggiatore, con una nota temporale che riporta "Alcuni decenni fa", interessato a scoprire qualcosa di più sull'Ordine della Spada, e vediamo anche che, mentre incrocia un gruppo di passanti, accoliti dell'Ordine, una donna si ferma e lo osserva mentre prosegue: dunque quello della scena è il Vergil giunto a Fortuna nel periodo in cui ha generato Nero, almeno sedici anni prima di Devil May Cry 4 e prima dell'incontro col fratello in Devil May Cry 3. E il fatto che per tanti anni i fan abbiano continuato a parlare di Vergil, a chiedersi "e adesso?" dopo la sua sconfitta, dopo che DMC4 aveva parlato indirettamente di lui e non l'aveva mostrato, ha lasciato nell'aria la possibilità che di lui si parlasse ancora.
È sempre rimasto aperto l'interrogativo su Sparda: il Leggendario Cavaliere Nero che duemila anni fa ha sigillato il mondo demoniaco, attraverso armi e oggetti e rituali che sono stati usati e profanati infinite volte nel corso di questa saga, dove uno dei pochi fattori comuni tra le trame è sempre stata l'ossessione verso Sparda, il bisogno di confrontarsi con questo essere straordinario, un'eredità indesiderata e poi accolta e onorata, per Dante, un termine da eguagliare, per Vergil, un'onta da vendicare, per Mundus, un potere senza eguali da ottenere per Arkham e Sanctus (antagonisti di DMC3 e DMC4), persino il garante di un antico patto per due personaggi dell'anime, i fratelli Baul e Modeus, e anche l'immagine del destino per Dante in Devil May Cry 2, dove davanti al portale per il mondo demoniaco viene ricordato come le azioni del figlio stessero rispecchiando quelle del padre, ebbene, questa leggenda, profondamente vitale anche senza apparire mai, che ne è adesso?
Viene detto che Sparda lasciò la famiglia e morì, forse di cause naturali. Può davvero un demone, uno così potente, morire di morte naturale? Rimanere per duemila anni sulla Terra e sposarsi e avere figli solo alla fine, e per giunta morire naturalmente poco dopo, senza neanche vederli crescere? Forse può, ma questa risposta non ci è mai bastata, non è mai stato detto con chiarezza che Sparda fosse definitivamente finito, né mostrata una tomba o un ricordo.
Anche Mundus è un capitolo aperto: unico tra gli antagonisti già visti, escluso Vergil, lui non è stato ucciso, ma sigillato una seconda volta da Dante, e ha minacciato di tornare.
Rimaneva anche da conciliare le parti in disaccordo della storia già vista, provare ad armonizzare Devil May Cry 2 con gli altri, magari, e recuperare Lucia, sua co-protagonista.
In tutto questo, in quegli anni, c'ero io, nella mia piccola stanza, che trascorrevo ore e ore a immaginare come avrei voluto che fosse quello che si sarebbe dovuto chiamare Devil May Cry 5, che finalmente avrebbe portato avanti la saga anziché tornare sempre indietro. Volevo che ci fosse ciò che più mi piaceva e mi è sempre piaciuto di Devil May Cry, cioè Dante, il suo stile, i mostri grotteschi contro i quali combatte e le ambientazioni cupe in cui lo fa. DMC4, dovete sapere, non mi è mai andato molto a genio in termini estetici: il barocco che sostituisce il gotico e la patina di antichità dei luoghi, design basati sulle linee, molti colori e una certa pomposità, e anche lo stesso Dante, che come caratterizzazione coniuga felicemente l'esuberanza del terzo capitolo, divenuta ormai il suo tratto più riconoscibile, con una maggiore attenzione e un certo senso di responsabilità, ha un costume un po' troppo vistoso ed un fisico molto più imponente del passato.
Volevo una storia in cui avesse il suo spazio -anche se era chiaro che Nero non ne avrebbe mai avuto di meno-, con una direzione visiva che mi piacesse, che rispondesse ad alcuni dei quesiti ancora aperti, e magari riunisse un po' di personaggi sparsi in giochi diversi.

Ma torniamo alla storia.
Con tante questioni aperte, e soprattutto con una saga ancora dotata di pochi capitoli, sviluppatasi nel corso di sette anni, c'era ragione di aspettarsi un buon proseguimento per altro tempo.
Ecco perché la notizia di un reboot, intorno al 2011, fece arrabbiare tutti.
A che serviva il reboot di una serie a tutti gli effetti ancora in corso?
La decisione derivava dalla volontà di fare un capitolo prima di Devil May Cry 3, che come continuità avrebbe creato non pochi problemi. Cosa volevano raccontare, la storia di Dante a undici anni? A sette? Prima di accedere ai suoi pieni poteri, prima della Devil May Cry? È comprensibile che si sia preferito scollegare tutto dalla storia, e se vogliamo, è comprensibile perché qualcuno potesse voler ambientare un gioco prima di DMC3: come avrete capito, la continuity è una matassa bell'e fatta. E la colpa è sicuramente di DMC2, e, volendo, di aver ambientato il 4 prima del 2, in modo da tamponare il problema anziché risolverlo, aggravandolo invece.
Il primo trailer mostrava un giovane tossico ridotto proprio male che affrontava con una spada e delle pistole dei grotteschi manichini e concludeva fumando al chiaro di luna, e rispetto a questo il gioco definitivo è riuscito molto meglio.
DmC: Devil May Cry, sviluppato dal team Ninja Theory, team che proprio per questo è poco gradito ai fan di Devil May Cry (ma i Ninja hanno sviluppato Hellblade, l'opera d'arte del millennio, e quindi non li dovrebbe insultare nessuno), ha inserito Dante, Vergil, Sparda, Eva e Mundus in un contesto post-moderno puramente occidentale, astraendoli dalla patina di anime giapponese, e ha puntato verso il realismo e una reinterpretazione dei demoni secondo la chiave di un discorso di denuncia dei mali della società contemporanea. Lo spirito "ribelle" di Dante (del giovane Dante di DMC3) lo porta ad essere reinterpretato qui come un ragazzo di strada in conflitto con le autorità e dalle tendenze autodistruttive, in una realtà, quella di Limbo City, dove gli esseri umani sono completamente in balia dei demoni, che esercitano subdolamente il loro controllo attraverso media corrotti, bevande che limitano le facoltà intellettive, e vere e proprie manipolazioni di massa del pensiero. Avvicinato da Vergil, a capo di un'organizzazione terroristica che mira a rovesciare i demoni, Dante scopre il proprio retaggio di nephilim, cioè mezzo demone e mezzo angelo,  amplia i suoi poteri, rovescia il sistema dei demoni smascherandone la presenza agli occhi dell'umanità e sconfigge Mundus insieme al fratello, per poi scontrarsi con lui quando egli manifesta l'intenzione di tiranneggiare a sua volta sugli umani, e intraprendere, infine, strade diverse. A conti fatti, il finale di DmC permetterebbe a questo di ricollegarsi a Devil May Cry 3, non fosse per il contrasto in termini di lore (angeli, nephilim), la morte di Mundus e altri dettagli.
DmC ha dimostrato, qualora servisse, quanto i giocatori fossero affezionati a Dante e alla sua storia, ma ha anche rappresentato dei passi avanti per il gameplay e la ricerca di combo sempre più scatenate e scenografiche, vera anima del tutto.
Quando nel 2015 è uscita la nuova versione di DMC4, si è sentito il ritorno di ciò che più la community amava e la possibilità che venisse ripreso. È stata una mossa che continuava una direzione già presa, visto che anche di DMC3 era uscita una Special Edition dopo quella standard, ed era anche il progetto che Itsuno voleva portare avanti.
A quel punto, e questo lo sappiamo grazie alle sue ultime dichiarazioni, sembra che bollisse in pentola l'idea di sviluppare DmC 2. Ma, fortunatamente, altre forze hanno portato i nostri a scegliere diversamente.


10 giugno 2018, E3, conferenza Microsoft: esce il trailer di Devil May Cry 5.
In realtà, nel corso dell'inverno precedente, erano uscite notizie che dichiaravano che il gioco fosse in sviluppo, un capitolo con tre personaggi giocabili e un maggior spazio dato alla narrazione, tutte cose che adesso sappiamo essere presenti nel gioco in attesa...ma raccontare questo non sarebbe esaltante. Torniamo alla conferenza.
È la prima volta che vado a cercare lo streaming dell'E3, ho appena visto il trailer di Sekiro: Shadows Die Twice, dunque voglio vedere se riesco ad assistere a qualche bell'annuncio in diretta: apro il video, e vedo che stanno effettivamente trasmettendo un altro trailer, un'ambientazione urbana dove si allungano strani tentacoli.
Poi vedo questo ragazzo vestito di blu scuro, con i capelli bianchi e un braccio meccanico, eseguire acrobazia in aria che mi ricordano molto quelli della famiglia di ammazza-demoni. Il trailer lo mostra accanto a un gigantesco essere bestiale, e poi vari altri orrori. In tutto questo, un'inquietante prospettiva si apre davanti ai miei occhi: che questo possa essere DmC 2, il sequel del reboot.
E già montava la disperazione: tutta questa attesa, queste speranze rinvigorite da tanti annunci, solo per vedere la saga continuare nella direzione che non voglio? E se esiste ancora la speranza che il vero Devil May Cry continui, quanto dovremmo aspettare?
Anzi, confesso che, quando è apparso il titolo "Devil May Cry 5", non ho tirato un sospiro di sollievo, ma temuto, per via della mia costitutiva inclinazione al pessimismo, che il reboot stesse in qualche modo assorbendo la saga canonica, che non sarebbe continuata se non per suo tramite.
E POI...
dopo il titolo appare questa scena: una moto, un uomo in sella a una moto demoniaca, ha un cappotto di un rosso molto scuro e capelli che sembrano più grigi che bianchi. Lo vediamo in volto: è chiaramente un uomo adulto, anzi, ben maturo. Lo schermo diventa nero, e si sente la sua voce, un fischio e uno «YEAAAAHHHHHHHHHHHHH».


E questo, amici miei, è stato il ritorno di Dante, figlio di Sparda.
Quella sera ero abbastanza confuso, e la prima impressione negativa incideva sulla mia valutazione. Il trailer mostrava Nero perdere il braccio demoniaco a causa di un misterioso personaggio incappucciato, già allora chiaramente identificabile con Vergil (su cui da allora girano meme per elogiarne il meraviglioso spirito di paternità), e la sua sostituzione con un arto di metallo mi sembrava un'eco di una delle forze negative che mi triggerano di più: il tecnologico che sostituisce il magico, persino in un contesto dove il magico è di casa. Non aprirò quest'altra monumentale parentesi, ma se volete c'è sempre il vecchio articolo sull'inferno di metallo.
Ad ogni modo, tra ulteriori visioni del video e le prime dichiarazioni,  molte cose sono andate al loro posto, e la dimostrazione di come il nuovo braccio meccanico, un supporto capace di equipaggiare diversi tipi di protesi chiamate Devil Breaker, ognuna dotata di poteri diversi, renda il gameplay di Nero, in DMC4 limitato a spada, pistola e braccio, vario quasi come quello di Dante, che in ogni capitolo sfodera molte armi diverse, mi ha reso molto più bendisposto verso questa novità. Anche perché, se il braccio di Nero ha questa particolarità -in un periodo culturale in cui sembra andar molto di moda- il mondo di gioco è assolutamente quello di Devil May Cry.
Ci troviamo a Redgrave City, una metropoli di gusto londinese che ha lo stesso nome adoperato in gioventù da Dante, dove ha luogo un'invasione demoniaca di proporzioni inedite: se prima, il più delle volte, i demoni li avevano incontrati soltanto Dante e i suoi, oppure le singole vittime che si erano rivolte a lui e che per qualche motivo avevano tenuto il segreto, e in caso di fenomeni di distruzione di massa, come l'emersione della babelica torre Temen-ni-gru in DMC3, nessuno tranne i nostri eroi era stato coinvolto o si era avvicinato al fenomeno, qui i demoni uccidono le persone e lo vediamo accadere, come vediamo un intervento di veri ordini militari ufficiali.
L'invasione è dovuta a un misterioso albero demoniaco che si staglia in cielo, e fin dal primo trailer vediamo colui che sarà il nuovo grande antagonista, un grande demone avvolto da radici rosse in qualche modo legato all'albero. Nella primissima inquadratura, inoltre, vediamo un uomo di età avanzata, di colore, apparentemente uno sconosciuto, che afferma, rivolto a un interlocutore misterioso che "conosce da molto tempo", che questo interlocutore non si è mai trovato in una situazione così pericolosa; e più avanti facciamo la conoscenza di Nico, una ragazza che viaggia insieme a Nero su un camper ornato da un'insegna al neon che riporta "Devil May Cry", e che è la persona che si occupa dei Devil Breaker.
Insieme al trailer è uscita la prima immagine ufficiale, la cover art dell'edizione standard del gioco, che mostra tre personaggi di spalle avanzare verso l'albero. Al centro Nero. A sinistra Dante, con la sua Rebellion. A destra, un misterioso individuo vestito di nero e con le braccia tatuate, armato di bastone, che rompeva qualunque certezza che il terzo personaggio sarebbe stato Vergil.


La seconda metà di giugno è stata l'inizio di un periodo incredibile, che ha visto, non dico tornare alla vita, perché molti erano sempre rimasti attivi, ma certamente un grande rinvigorimento delle numerose pagine social, community e gruppi vari di appassionati di Devil May Cry, ridestati dal letargo, liberati dalla polvere, con gli animi accesi dalla realizzazione di un desiderio rimasto nell'aria per tanti anni. Un periodo dominato dal primo dei tre temi musicali dei personaggi principali, divenuto una vera hit in pochi giorni: Devil Trigger, di Casey e Ali Edwards, tema da combattimento di Nero, di cui qui accanto potete vedere il video ufficiale. Presente nel trailer, è un brano fresco, energico, dinamico, sprizzante tutto l'entusiasmo per il ritorno di Devil May Cry, l'entusiasmo di Nero, il giovane cacciatore ora nel pieno della crescita e delle potenzialità fisiche. Interessante il fatto che Nero, perso il suo braccio, non sembra più grado di ricorrere all'abilità chiamata, appunto, Devil Trigger, altro tratto iconico della saga, mediante la quale i personaggi assumono la propria forma demoniaca. Che la traccia di Nero sia un semplice riferimento al grilletto della sua pistola? Che un generico rimando alla sua saga? Che un nome messo a caso? Lo scopriremo quando avremo il gioco.
È stato rivelato che l'uomo di colore del trailer è nientepopodimeno che Morrison, l'assistente di Dante presente nell'anime, e questa l'ho trovata una notizia straordinaria, perché l'unico gioco ambientato dopo l'anime, DMC4, non ne teneva conto e non aveva motivo di farlo, così come non ne ha il 5. Legare l'anime al gioco significa aumentare la coesione narrativa, piuttosto che avere il primo come un supplemento slegato, una ruota di scorta del secondo.
Nel mese di luglio, è stato trasmesso il primo gameplay, con i primi dettagli sui Devil Breaker di Nero, capaci di essere sparati contro i nemici, esplodere, emettere raggi, rallentare il tempo; sui Devil Breaker mi faccio e vi faccio uno sconto, e ne parlerò per esteso quando li avrò visti tutti, nel post sul gioco. Il trailer ha mostrato poi un altro dettaglio strepitoso, il ritorno di nemici storici da affrontare, non solo quelli ricorrenti, come il demoni-uomini lucertola Blade, comparsi sia in DMC che in DMC4, ma anche più specifici, come i Sin Scissor, fantasmi muniti di cesoie visti solo nel primo gioco. E in effetti sembra proprio che sia il capostipite quello più ripreso in questo gioco, come vedremo tra poco.
Nel gameplay, apprendiamo anche qualcosa di più su Goliath, il boss mostrato anche nel trailer, un demone enorme che senza spiccare per qualche ragione in particolare, fa innamorare gli amanti dei mostri come me per il realismo conferitogli dal motore grafico e la giustapposizione di dettagli: gigantesco uomo bestia ricoperto di pelliccia, con una grande bocca nello stomaco, mi ricorda tantissimi demoni dell'arte medievale.
Poco dopo, un nuovo trailer sempre incentrato su Nero si è concluso mostrando qualcosa di più su Dante, e quei pochi secondi sono divenuti una nuova ossessione: la moto che guidava nell'altro trailer è infatti in grado di scomporsi in due grosse motoseghe, abbattute con nonchalance dal sempre divertito Dante su file infinite di demoni.

Qualche tempo dopo compare in rete un leak, che mostra per esteso due scene: quella in cui Nero perde il braccio, e un'altra, estremamente importante, che ha naturalmente alimentato molte domande e molte speculazioni che prontamente i video successivi hanno mostrato ufficialmente quasi tutta. La scena sarebbe sempre spoiler, ma ormai è stata rivelata per intero, e da questo punto in poi ogni informazione è qualcosa che toglie un po' di sorpresa. La scena mostra Dante, Nero, Trish, Lady, e il terzo protagonista misterioso, alle prese con il grande antagonista del gioco, o per meglio dire mostra Dante e le due cacciatrici privi di sensi, Nero che tenta di affrontare il gigantesco nemico da solo e in punto di essere ucciso viene salvato da Dante, che si trasforma in demone con il suo Devil Trigger e tenta un nuovo attacco: questo, per la prima volta nella saga, si rivela insufficiente, e, sempre per la prima volta, Dante sembra davvero in difficoltà: il tirannico avversario, con un solo colpo, riesce non solo a interrompere la trasformazione di Dante, ma a spezzare Rebellion. Prima di questa sconfitta, Dante intima al "terzo protagonista", chiamandolo V, di portare Nero fuori di lì. Mentre Nero oppone resistenza, V nomina, forse per la prima volta nel corso della storia, il mostro demoniaco, e lo chiama con un nome che mai mi sarei aspettato di trovare, da cui deriva molta della mia attesa per il gioco: il suo antagonista si chiama Urizen.
Devil May Cry ha omaggiato molte mitologie, strizzato l'occhio al mondo della musica, ed è sempre stato legato alla letteratura, dalla Commedia che ne fornisce le basi, a Goethe e Shakespeare citati in DMC4, per certi versi a Milton, ma quello che accade qui va più in profondità, poiché Urizen è una delle figure che costituiscono la mitologia creata nel primo Ottocento da William Blake. Una scelta migliore non poteva esserci, anche perché appropriata, con Blake che ha dato grande spazio alle vicende di Inferno e Paradiso. Urizen è il demiurgo, il dio tirannico ispirato all'Antico Testamento, che rappresenta la tradizione, la fredda razionalità che non lascia spazio all'amore e all'immaginazione. Ho sperato in quel punto che Urizen, uno dei quattro esseri chiamati Zoa da Blake, potesse non essere l'unico riferimento blakeano, ma era un bell'azzardare.
A parte questo, il leak mi ha dato l'emozione di vedere il Devil Trigger, per giunta in una cutscene (di solito lo si vede solo durante il gameplay) -anche se un Devil Trigger abbastanza umano, simile a quello di DMC4, cui preferisco la Majin Form, molto meno umana, di Devil May Cry 2- e quella, più forte ancora, ma terribile, di vedere Dante, il mio alter ego videoludico principale, connotato dall'assoluta invincibilità, messo in difficoltà e addirittura perdere -a meno di riforgiarla- la sua iconica arma. Sul terzo protagonista torniamo tra poco.
Il 19 settembre esce il tema musicale di Dante, e le cose prendono una piega fantastica: il brano, Subhuman, frutto della collaborazione di Matthew Johnson con la band Deathcore Suicide Silence, non piace quasi a nessuno. Al primo ascolto neanche a me, in effetti, anche se a furia di risentirlo l'ho apprezzato di più. È un brano figlio del suo genere, chiaramente, il cui vocalist, Eddie Hermida, non ha convinto con la sua performance neanche molti amanti del genere -in realtà non piace così tanto neanche a me, ma l'idea di avere un po' di scream in Devil May Cry, quantunque non della miglior categoria, aveva un suo fascino.
Sta di fatto che il giorno dopo, giorno in cui è uscito, finalmente, il trailer personale di Dante, è saltato fuori che proprio Hermida aveva a carico accuse di molestie sessuali, di cui Capcom si è dichiarata assolutamente ignara al momento della scelta, ma che sono risultate, nella crudele logica del mercato, provvidenziali: interrotta la collaborazione, è stato dopo qualche mese dichiarato che nel gioco finale sarà presente Subhuman, cantata però da Michael Barr. In video recenti si possono udire stralci della nuova versione, e se smanettate su YouTube troverete anche video in cui questi pezzi sono assemblati per dare idea di quello che dovrebbe trovarsi nel gioco finale.
In tutto questo, la canzone, nel cui ritornello Hermida ripete "You cannot kill me" (semplice, ma molto calzante quando si parla di Dante), e che dopo un giorno è stata bloccata, e lui cacciato fuori, è diventata un meme, come un po' tutto quello che piace molto o affatto tende a fare oggigiorno.

Il trailer di Dante del Tokyo Game Show, 20 settembre, ha dominato le mie giornate per un bel po', non solo perché è il trailer di Dante, ma perché è davvero bello e tocca le corde giuste. A cominciare dal fatto che si apre con una scena perfetta per i nostalgici: Morrison davanti all'insegna della Devil May Cry, e poi, l'interno della stessa, un po' revisionato come sempre, ma assolutamente riconoscibile, con Morrison insieme a Dante e quest'ultimo che risponde al telefono, esattamente come all'inizio del primo gioco, del terzo e in molte altre scene iconiche, pronunciando il nome della sua agenzia.
Il gameplay di Dante, finalmente lo vediamo, riprende le sue mosse tipiche elevandole a nuova dignità visiva grazie allo stile del gioco, accompagnandole con l'incazzosa Subhuman e aggiungendo vitale novità grazie ad alcune armi nuove. L'arsenale di Dante era già perfetto in quel trailer: all'immancabile spada Rebellion si aggiungeva un quasi altrettanto immancabile set di guanti e gambali, come nel primo, nel terzo e nel quarto capitolo, infuso di fuoco, e la strepitosa moto trasformabile già menzionata, le cui lame sono elettrificate, mentre come armi da fuoco Ebony e Ivory erano affiancate dal fucile Coyote A. Soprattutto, ritorno atteso da sempre, Dante nel trailer adoperava anche la spada Sparda, l'arma del padre, utilizzata finora solo nel primo DMC, alla fine del quale la donava a Trish, e solo lei, come personaggio giocabile, l'aveva più usata. Sparda, ovvero la Soul Edge di Soul Calibur con qualche ritocco -la vedete nelle prime immagini di questo articolo- è sempre stata una delle mie armi videoludiche preferite, uno spadone di carne e ossa esagerato come ci si aspetta da questa saga, ma dotato di una sua eleganza e perfettamente in linea con lo stile gotico del resto dell'ambientazione (anche se nel nuovo redesign la carne e l'esagerazione sembrano aver prevalso sullo stile). In quanto arma più potente che esista nella saga, molti ne aspettavano il ritorno, e io stesso, tra le cose che speravo di vedere quando mi immaginavo "il mio Devil May Cry 5", avevo in testa Dante che riprendeva a usare Sparda, magari a causa di una situazione di difficoltà inaudita. Il trailer rivela ufficialmente l'aspetto del Devil Trigger di Dante, e mostra come, nel gameplay, le scaglie che sostituiscono il cappotto di Dante possano trasformarsi in ali e farlo volare liberamente nell'ambiente di gioco, proprio come in DMC2.

Le avevamo viste distese a terra nel leak, e finalmente le abbiamo ammirate in via ufficiale, nel pieno della forma: sono tornate Trish e Lady, le cacciatrici di demoni che DMC4 e l'anime hanno reso una presenza fissa.
Alla fine del trailer, come quello di Nero mostrava alcuni secondi di Dante, si vede, rivelato per la prima volta in un video ufficiale, il misterioso V. Che dimostra che anche in un altro senso ciò che speravo si realizzerà, poiché nella sua prima scena, mentre cammina appoggiandosi al suo elegante bastone, legge da un libro su cui campeggia una grande V dorata uno dei Proverbs of Hell di Blake:
«He who desires but acts not breeds pestilence.»
Da quel momento, trovo che l'attesa sia entrata in una fase che mi ha emozionato ancora di più, perché avevo la conferma che Dante è ancora il mio Dante, reso ottimamente come aspetto e assolutamente riconoscibile come carattere, avevo grande desiderio di vederne di più, mi conciliavo meglio con lo spazio dato a Nero e nutrivo una curiosità sana e tranquilla verso V, dovuta anche al fatto che tanti mesi prima era stato detto che il terzo personaggio sarebbe stato caratterizzato dalla capacità di evocare demoni.
Circa una settimana dopo il TGS Trailer è uscito il gameplay di Dante. Come anche quello di Nero, mostrava quanto fosse avanzato il gioco come tipologia, oltre che come motore grafico e velocità delle azioni: scenari molto più grandi che in passato, esplorabili in buona parte, e anche il dettaglio dei personaggi che parlano in tempo reale durante le esplorazioni e anche le boss fight, tutti quanti elementi che rendono quest'opera più raffinata. Il boss affrontato da Dante, Cavaliere Angelo, richiama con insistenza il Nelo Angelo del primo gioco, è un boss dal design splendido e in perfetto accordo ai miei gusti, con uno dei temi musicali più belli che si siano mai sentiti nella saga.


Le informazioni su Dante sono state notevolmente espanse il 6 ottobre, quando al New York Comic-Con è stato mostrato un video con le sue altre armi. Oltre a Rebellion, Sparda e il set di guanti, che questa volta si chiama Balrog (si è detto in riferimento a un personaggio di Street Fighter, ma quando questi oggetti sono infuocati e hanno le corna non ci sono molti dubbi sulla vera origine), Dante torna a usare una vecchia arma, il nunchaku di ghiaccio Cerberus, in una forma più avanzata chiamata King Cerberus che alterna alla forma già conosciuta quelle di bastone bo e sansetsukon con gli elementi, rispettivamente, di fuoco e fulmine, e una novità che ha fatto esagitare la community, il cappello di Faust, un cappello da cowboy con una sciarpa demoniaca, il cui uso prevede di investire le sfere rosse, cioè i punti spendibili, in attacchi contro il nemico che, se riusciti, permettono di recuperare quanto speso e ottenere molto di più, sempre all'insegna dell'azione e dello stile. Sul versante delle armi da fuoco, torna il bazooka di Lady da DMC3, Kalina Ann, questa volta una copia in più costruita per Dante. È stata mostrata anche la scena iniziale del gioco.
Già a questo punto avevamo un bel po' di armi in mano a Dante, e la mia speranza in tal senso è che non siano state rivelate tutte.

Concludo con rapidi cenni, perché soffermarsi così tanto su questi dettagli appesantisce l'articolo e rende meno entusiasta l'attesa: il 6 dicembre abbiamo avuto una sorta di trailer principale, o di terzo trailer rispetto a quello iniziale e quello di Dante. Questo ha mostrato finalmente in azione V, lasciando tutti di stucco: non solo perché evoca i demoni, ma perché quelli che evoca sono restyling di nemici e addirittura boss del primo Devil May Cry! Per gli attacchi a distanza si avvale di un uccello scuro, delle dimensioni di un grosso falco, dai poteri elettrici, che si chiama Griffon ed è una versione miniaturizzata di un gigantesco boss dorato aviforme; Griffon sembra essere anche la spalla comica di V e forse del gioco, dato che parla in continuazione in un mondo di eroi taciturni.
Per il combattimento ravvicinato V ricorre a Shadow, uno dei demoni più odiati della serie, un felino oscuro in grado di trasformare il suo corpo in ogni genere di oggetto appuntito e mortale; diciotto anni fa era avvolto da un alone che ne rendeva poco chiare le forme, qui invece è un'elegante pantera nera. V dispone di un potere ancora più grande che sembra fungere da Devil Trigger: quando lo attiva subisce un misterioso cambiamento, poiché i suoi tatuaggi scompaiono e i suoi capelli diventano bianchi come quelli dei mezzi-demoni, ed evoca nientepopodimeno che Nightmare, il boss che infesta gli ultimi livelli del gioco originale, e che qui abbandona la forma di massa organica informe per avanzare come un gigante antropomorfo acefalo, che mi ricorda molto i demoni similmente privi di testa che impugnavano Agni e Rudra in DMC3. Entra in campo come un meteorite e poi devasta ogni cosa grazie anche al suo raggio che è ancora oggi un vero incubo. Che effetto strano dovrà fare avere le risorse diaboliche di Mundus, tanto odiate, ma anche ricordate con nostalgia, dalla nostra parte durante il gioco?
Per giunta, il gameplay di V ha una complicazione aggiuntiva, e cioè, malgrado la potenza di cui dispongono i suoi famigli, tocca sempre a lui sferrare il colpo di grazia ai demoni, che altrimenti non muoiono. Per farlo, si teletrasporta attraverso il campo e li colpisce con il suo bastone. Il teletrasporto, e quelle che sembrano spade eteree che gli volteggiano intorno sono abilità tipiche di Vergil, e i misteri su questo personaggio non fanno che aumentare.
Come lo fa il suo fascino: il richiamo a Blake è costante, dato che V lo cita ancora una volta nel nuovo trailer: alla domanda su quale sia il suo nome risponde con i primi due versi di Infant Joy:
«I have no name / I am but two days old.»
Il 17 dicembre è uscito un trailer di gameplay solo per lui, mentre un video gameplay più esteso è stato mostrato solo da pochi mesi, e a quel punto avevo smesso di vedere altre anticipazioni. Sempre dicembre è stata pubblicata la traccia che fa da battle theme per V, Crimson Cloud di Jeff Rona feat. Rachel Fannan. Come V è molto diverso dai cacciatori di demoni già visti, anche il suo tema è qualcosa di inedito per la saga, e pur senza ottenere l'immediato successo di Devil Trigger e l'altrettanto immediato sdegno di Subhuman si è conquistato un buon posto nelle playlist dei fan. Una canzone oscura e, parola appropriata, evocativa.
Così si è compiuto questo sistema di pubblicità tripartita, che ha orientato la campagna di marketing di Devil May Cry 5 in tre fasi volte a mostrare i tre protagonisti (senza che di volta in volta non si aggiungesse nulla a quelli già mostrati).
Quel trailer è stato importante per aver mostrato anche un'altra cosa, una di quelle cui tenevo di più, di cui però non metto l'immagine, la ritengo una cosa che sarebbe stato meglio non far vedere, e la menziono lo stesso perché questo spazio di scrittura rimane pur sempre una cosa personale: il ritorno, da Devil May Cry 2, di una forma di Devil Trigger per Dante ancora più potente della prima, meno umana e più mostruosa, proprio come volevo che fosse. La cosiddetta Majin Form di DMC2 è una delle cose che preferisco nell'intera saga, mi dispiaceva non ci fosse più stata e speravo tornasse. Sembra che sia stato accontentato.

Eccoci infine prossimi al fatidico giorno, l'8 marzo.
Uscirà probabilmente altro, prima di allora, ma quello che sappiamo già è più che sufficiente.
Le cose che desideravo di più, un Dante che fosse Dante, con un outfit che mi piacesse, il ritorno della spada Sparda, una nuova "Majin Form", e rivedere Vergil, sono tutte cose già confermate, ma c'è molto di più, perché le ambientazioni del gioco sono lugubri e surreali come non mi sarei neanche sognato, dei demoni presentati finora non ce n'è neanche uno che non mi piaccia, musicalmente sembra già una rock opera straordinaria anche senza avere un gioco annesso -e non mi riferisco solo ai tre battle theme-, e la narrazione ha chiaramente un peso superiore al passato.
Lo stile da anime è stato sostituito da un realismo espressamente ispirato ai film d'azione hollywoodiani, e se lo strapotere di questi ultimi sulla cultura mondiale non è certamente qualcosa di positivo, per un gioco come Devil May Cry che ha sempre ricercato effetti simili è un ottimo sviluppo evolutivo. Chi potrà mai desiderare ancora un film in live action su DMC, con un gioco che lo contiene già?
La possibilità che l'opera di Blake abbia un peso effettivo nell'opera, al di là del puro citazionismo, è una delle cose che mi allettano di più. Perché ritornare su di lui così spesso, tra Urizen e le frasi di V, e anche un tatuaggio di Nico che contiene alcuni versi di Eternity, se da lui non fosse stato preso qualcosa di più vasto di un nome? Dubito che l'Urizen del gioco sia uno di quattro esseri eterni che costituivano l'uomo originario e si sono separati provocandone la caduta, o che le azioni degli eroi daranno vita a una nuova dimensione spirituale per l'umanità; ma è anche vero che Blake è stato definito da molti 'poeta ribelle' o 'della ribellione', e cos'è Devil May Cry se non la storia di persone che si ribellano? Da Sparda che si ribella alla tirannia dei demoni di Mundus, a Dante che porta una spada di nome Rebellion e si mostra anti-autoritario ogni volta che ne ha l'occasione, fino a Nero che è cresciuto nella solitudine e nel disprezzo e che ha cambiato vita quando ha accettato il suo potere e combattuto contro l'ordine. Non è per nulla che il tema principale del primo DMC si intitola Public Enemy. E se guardiamo la forma del logo di DMC5, una V simile a un paio di ali, che ci porta a domandarci anche se questa volta nella saga entreranno gli angeli, il ruolo di Blake, autore del Matrimonio del Cielo e dell'Inferno, potrebbe essere quello di aprire la porta a un grande cambiamento della saga.

Saga che, sembra, per Dante e per Vergil finirà. Sembra sicuro che continuerà con Nero, cui sia Devil May Cry 4 che il suo seguito danno un ruolo centrale, per favorire il passaggio da Dante a lui, probabilmente anche con V, e magari con altri personaggi ancora da vedere. Negli anni, Devil May Cry ha assunto sempre di più una dimensione corale, rispetto al carattere individuale del primo gioco. Lì Dante compiva i passaggi di una sorta di viaggio sacro, che spettava solo a lui, accompagnato da Trish che però fungeva semplicemente da guida (come Beatrice nella Commedia, se vogliamo), mentre in Devil May Cry 2 Dante è affiancato da Lucia, che ha una campagna parallela alla sua, nel 3 il viaggio di Dante si intreccia a quello di Lady, benché questa non sia giocabile, e con la Special Edition lo possiamo vivere con Vergil. Il quarto ha portato la cosa a un nuovo stadio, prima facendo alternare Dante e Nero, quindi, con la sua Special Edition, permettendo di arrivare a ben cinque personaggi giocabili. Quella di Devil May Cry 5 sembra allora un'evoluzione naturale, in cui la trama è divisa tra ben tre personaggi, che sembra si alterneranno in maniera più fluida che in DMC4, e se, come non è da escludere, contenuti o edizioni successive dovessero rendere giocabili anche Trish, Lady e Vergil, come già accaduto, e addirittura qualcun altro, arriveremmo ad almeno sei personaggi giocabili. La realtà di Devil May Cry si è evoluta, secondo la legge cui tutto è soggetto, e l'agenzia di Dante è il centro di una vera e propria famiglia. Il che è sicuramente molto bello. L'evoluzione di cui parlavo potrebbe essere tale non solo per la saga particolare, ma per gli action game in generale, i cui sviluppatore guardano con attesa e speranza all'esito di Devil May Cry 5, poiché il suo successo potrebbe significare una nuova stagione di questo genere che negli ultimi anni è stato fortemente surclassato dai multiplayer, dalle contaminazioni con i giochi di ruolo e altri generi che hanno avuto un periodo di maggiore fortuna.
Come dicevo, per Dante e per Vergil sembra che le cose finiranno. È vero che apprezzo l'idea che la cosa raggiunga un compimento e che la si possa così, non per forza valutare, ma almeno concepire e osservare nella sua interezza, ma lo è altrettanto, inutile dirlo, che mi dà un po' di paura, sia per il pensiero che l'eroe cui sono così legato muoia alla fine della storia, sia per quello di andare avanti, nei miei futuri "rapporti videoludici", sapendo che con lui è finita. Certo, se la fine non significasse morte sarebbe un pensiero più accettabile. E che ironia sarebbe, per uno che ha una canzone che ripete ossessivamente "You cannot kill me". Qualunque sia l'epilogo di Devil May Cry 5, e di Devil May Cry tutto, lo seguirò e voglio farlo con il joypad in mano fino all'ultima scena, ma è soprattutto per l'epilogo dei figli di Sparda, e soprattutto per quello di Dante, il mio altro io, che voglio esserci fino alla fine, oltre l'inferno e le lacrime.