Oltre che una storia di nani e di orchi, una caccia al tesoro, un racconto per i più piccoli, un maturo esempio di narrativa fantastica e un tassello del mosaico tolkieniano, Lo Hobbit è una storia di formazione, anzi, di riformazione: la storia di una persona che ha imparato a vivere in un modo, e che di punto in bianco si trova a vivere in un modo diverso, rendendosi conto di preferirlo. Ed è su questo che batteremo adesso.
Copertina integrale dell'edizione del 1937 de Lo Hobbit della George Allen & Undwin, di cui la Harper Collins ha fatto stampare un facsimile proprio quest'anno. |
Il signor Baggins viene dovutamente descritto come un Hobbit che rientra perfettamente nei canoni della società cui appartiene; una società che si presenta simile a quella di un moderno stato borghese, modellata su quella inglese del primo Novecento, tanto che, per questo e altri motivi, Lo Hobbit è stato associato spesso all'Alice di Lewis Carroll; si potrebbe, semplicisticamente, dire che, se Carroll mette in ridicolo quella società e quel modo di vivere con un mondo di personaggi e situazioni paradossali e caricaturali, Tolkien -il cui intento satirico è comunque secondario- lo pone a confronto del mondo antico degli eroi e delle leggende. Bilbo ha bisogno di ordine, precisione, eleganza, formalità, tutti requisiti su cui reggere l'idea di "rispettabilità", vale a dire, integrazione con la propria società. I nani che Gandalf gli porta in casa, al contrario, vivono all'aperto, sono rumorosi, sporchi, armati, e il loro fine è quello di raggiungere una terra lontana, uccidere un drago e possedere quella terra e il suo tesoro. Un mondo statico, quello degli Hobbit, per il quale si nasce entro dei parametri e si rimane entro quei parametri, contro un mondo in cui, se all'inizio non si ha molto, la vita e la sua condotta possono portare a prendere molto di più.
Vanno rilevate delle circostanze che fanno una differenza: innazitutto, i Nani che si uniscono a Bilbo, non sono i primi straccioni trovati nel quartiere: Thorin stesso -che meriterebbe un discorso a parte in quanto re decaduto- spiega che tutti loro, grazie al lavoro e all'adattabilità, sono riusciti a trovare un profitto e ritagliarsi una vita rispettabile -anche loro- anche in terra straniera, lontano dalla Montagna Solitaria che è stata loro sottratta dal drago. Inoltre, gli Hobbit sono quasi esplicitamente definiti come migliori rispetto agli esseri umani, dato che hanno un rapporto molto intenso con la natura -basti pensare che vivono in buche nel terreno e camminano a piedi scalzi- hanno una saggezza che, è l'autore stesso a dirlo, "gli Uomini non hanno mai avuto o hanno dimenticato", e non fanno rumore. Una comunità di Hobbit dediti a lavorare la terra, fumare placidamente, preparare e consumare il cibo in grandi quantità e accogliere rispettosamente qualunque ospite -anche sospetti vecchi erranti con la barba, se occorre- è sacra e pura come poche comunità di Uomini.
D'altra parte, l'utilizzo di uno stile ricco di ironia e che tende a filtrare il viaggio e l'avventura attraverso termini e attitudini vicine a quella della succitata, archetipica società benpensante, può smussare e appianare questo contrasto tra i due mondi.
Nel Signore degli Anelli, che rispetto a Lo Hobbit descrive molto più dettagliatamente gli usi degli Hobbit, le dimensioni che si contrappongono sono quella intima e familiare della Contea e quella smisurata e assoluta del mondo degli Uomini. La Contea è una comunità di persone che vivono secondo una ben determinata divisione ed amministrazione, molto legate alle loro tradizioni e a quell'idea di rispettabilità di cui sopra. Al tempo in cui inizia la narrazione del romanzo, ricordiamo, i Baggins -Bilbo e Frodo- sono visti quasi come dei "diversi", perché Bilbo, cosa assurda per un Baggins, ha vissuto qualcosa di "inaspettato", e, assurdo per qualsiasi Hobbit, è partito per un'avventura; Frodo, data la mentalità "paesana" degli Hobbit, è visto come un po' strano a sua volta, in quanto parente di Bilbo, nonché per il ben noto interesse che ha maturato verso i racconti dello zio sul mondo esterno, le storie antiche e materie affini. Non si dimentichi, comunque, che ciò non pregiudica il rispetto che gli Hobbit della Contea hanno per loro, semplicemente sono considerati pittoreschi, e questa caratteristica è per loro inusuale.
Se solo si pensa -questo il potere visivo del film lo facilita- alla differenza fra gli indumenti dei Mezzuomini, con giacche, camicie e panciotti, e gli Uomini delle Terre Libere nelle loro tuniche e mantelli, l'idea che ci si fa è che gli Hobbit sono più vicini al mondo dei lettori rispetto agli stessi Uomini. Certo, la nostra è una società dall'impronta innanzitutto urbanistica, mentre gli Hobbit incarnano il paradigma della vita rurale, ma le loro abitudini (salvo qualche colazione di troppo) le ritroviamo più o meno simili nelle usanze odierne, come le ritrovava Tolkien sessant'anni fa; del pari, più lontana da noi è la società dei Rohirrim, con la "sala dell'idromele", il comitatus del re e dei suoi feudatari più devoti e tutte quelle usanze anglosassoni che il Professore ha rinarrato per parlare di loro; lo è anche Minas Tirith, che vive del culto dei re del passato e dell'annalistica. La finestra che apre l'autore dà sui re, i principi e i nobili di questi paesi, non ci viene detto granché sul popolo e sulle "persone comuni", ma possiamo bene intendere che il popolo di Rohan, quello di Gondor, quello di Esgaroth e tutti gli altri, vivevano press'a poco nello stesso modo in cui vivevano i popoli dell'Europa medievale.
Perché questo Medioevo? Detta così questa domanda dovrebbe contenere tutto quello che ho scritto finora in questo sito, e non le potrei neanche rispondere. Riformuliamo: perché Tolkien (e prima e dopo di lui, tantissimi narratori, poeti ed artisti) sceglie il Medioevo come base storica -cioè in termini di strutture politiche, rapporti sociali, usanze, tecnologia e costumi- su cui edificare una storia di popoli che esprimono la libertà?
Perché è Tolkien per primo ad essere insofferente ai vincoli del mondo moderno. Non in maniera passatistica o per l'idea di passato in sé, ma per dati che, condivisibili o meno, non si possono non vedere: la macchina, l'industria, i processi automatizzati che violano il rapporto dell'uomo e della natura, l'atto creativo dell'artigiano sostituito da quello sprovvisto di anima della catena di montaggio. I vincoli degli assetti burocratici e istituzionali moderni, il controllo di grandi entità -individuali o meno- sulla vita dei singoli fin nella sua dimensione più privata. La logica dell'acquisto e della concretezza che getta la sua ombra su tutto quello che è astratto. Sono questi, i grandi sconvolgimenti della modernità, il male che si sta insinuando nella Terra di Mezzo, l'antagonista del romanzo di Tolkien, Sauron "che offre doni". La risposta è l'affresco di un mondo senza tutto ciò, un mondo che appartiene, vorrei ricordare il sito dove ho visto questa definizione, a persone che amano la poesia, la musica, la natura, nonché il buon cibo, e aggiungerei l'amicizia e la comunione delle esperienze e dei sentimenti; e un mondo in cui, quando esso viene minacciato, queste persone possono partire per salvarlo e cambiarne le sorti senza avere vincoli a limitare le loro azioni, vincoli di stati, di leggi e di cose scritte da sconosciuti. Il nome "Popoli Liberi" indica solo il loro non asservimento a Sauron e all'Anello, ma in quest'ottica sembra ancora più azzeccato.
Diviene chiaro a questo punto che vi sia un cambiamento di prospettiva fra Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, tanto più che il primo è un romanzo d'avventura incentrato su un solo (anti)eroe, mentre il secondo è un grande èpos moderno, non esattamente corale, ma incentrato sulle sorti di interi popoli molto lontani fra loro.
La società degli Hobbit non solo non è minimamente intesa come negativa, ma, semmai, portatrice di valori fra i più positivi, risolutivi per tutte le storie che vedono Mezzuomini tra i protagonisti: è la loro umiltà, semplicità, unita alla loro tenacia e determinazione, a permettere ai Nani di Thorin Scudodiquercia e ai Popoli Liberi di trionfare contro i loro nemici. Nella Terra di Mezzo i mali sono l'avidità, la prepotenza (Smaug), la volontà di dominio (Saruman), e tutte quelle altre brame egoistiche -perché il male, nella maggior parte dei casi, deriva da là- che, insieme a quelle già dette, sono prerogative di Sauron, nonché di Morgoth prima di lui.
La società degli Hobbit, però, non è conciliabile con quella degli Uomini. L'avventura e la battaglia affascinano alcuni Hobbit, un po' strani e diversi dagli altri, ma per la maggior parte degli abitanti della Contea non avrebbero nessuna attrattiva. Ed è giusto così: se la guerra e la violenza degli uomini contagiassero la Contea, essa cesserebbe di essere quello che è. Alla fine del Signore degli Anelli, del resto, la Contea cambia e non tornerà mai più quella di un tempo.
Se l'idea iniziale, dunque, era dimostrare come il mondo da saga norrena di Gandalf e Aragorn sia un mondo irresistibile che scalda il sangue finché qualunque piccolo Mezzuomo provinciale non trattiene il desiderio di partire, è stata mitigata da un accorgimento che mi hanno insegnato questi ultimi mesi, e cioè che nella grande diversità che esiste fra gli uomini ve ne sono molti che bramano due tipi diversi di fuoco, alcuni il grande braciere del furore e dell'avventura, altri il caldo focolare che raduna intorno a sé i membri di un gruppo e rinforza il loro vincolo. La vita è fatta di un tempo per riposare e un tempo per agire, di azioni pacifiche e azioni intensive, e molti alternano l'un fuoco all'altro; l'animo che desidera l'ardore non può essere forzato alla pace e alla quiete, e così, l'animo mite non dovrebbe mai, per nessun motivo, essere costretto alla forza.
Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli sono così, raccontano tempi di pace e tempi di guerra e fanno respirare l'aria dell'uno e l'aria dell'altro. Per quelli che, insofferenti come Tolkien ai ritmi di un mondo che non sentono più come il loro, laddove, nelle pagine dei suoi romanzi, con altri nomi e altre lingue, scorgono quello stesso mondo risplendere di gloria e di bellezza, i due romanzi sono una campana che chiama i guerrieri alle armi per riprenderselo.
Giunge così alla fine l'ultimo post dell'anno, iniziato pensando a una canzone di Bilbo, che ricorda il passato e si proietta sul futuro "seduto accanto al fuoco". Anche se la mia presente contingenza non mi permette di stare seduto accanto al fuoco, a meno di uscire di casa e cercare un posto dove ci sia un camino, l'atmosfera invernale, o l'idea che ne ho, mi ispira un momento del genere. Così, pensando a quanto fatto quest'anno, a quanto ancora da fare, e soprattutto alla storia di Bilbo e di Frodo, chiudiamo il discorso con i versi della poesia e la sua splendida versione musicale a opera degli italianissimi Lingalad. Namárië!
D'altra parte, l'utilizzo di uno stile ricco di ironia e che tende a filtrare il viaggio e l'avventura attraverso termini e attitudini vicine a quella della succitata, archetipica società benpensante, può smussare e appianare questo contrasto tra i due mondi.
Nel Signore degli Anelli, che rispetto a Lo Hobbit descrive molto più dettagliatamente gli usi degli Hobbit, le dimensioni che si contrappongono sono quella intima e familiare della Contea e quella smisurata e assoluta del mondo degli Uomini. La Contea è una comunità di persone che vivono secondo una ben determinata divisione ed amministrazione, molto legate alle loro tradizioni e a quell'idea di rispettabilità di cui sopra. Al tempo in cui inizia la narrazione del romanzo, ricordiamo, i Baggins -Bilbo e Frodo- sono visti quasi come dei "diversi", perché Bilbo, cosa assurda per un Baggins, ha vissuto qualcosa di "inaspettato", e, assurdo per qualsiasi Hobbit, è partito per un'avventura; Frodo, data la mentalità "paesana" degli Hobbit, è visto come un po' strano a sua volta, in quanto parente di Bilbo, nonché per il ben noto interesse che ha maturato verso i racconti dello zio sul mondo esterno, le storie antiche e materie affini. Non si dimentichi, comunque, che ciò non pregiudica il rispetto che gli Hobbit della Contea hanno per loro, semplicemente sono considerati pittoreschi, e questa caratteristica è per loro inusuale.
"The anger of the Mountain", illustrazione di Ted Nasmith che raffigura l'episodio del passo di Caradhras. |
Se solo si pensa -questo il potere visivo del film lo facilita- alla differenza fra gli indumenti dei Mezzuomini, con giacche, camicie e panciotti, e gli Uomini delle Terre Libere nelle loro tuniche e mantelli, l'idea che ci si fa è che gli Hobbit sono più vicini al mondo dei lettori rispetto agli stessi Uomini. Certo, la nostra è una società dall'impronta innanzitutto urbanistica, mentre gli Hobbit incarnano il paradigma della vita rurale, ma le loro abitudini (salvo qualche colazione di troppo) le ritroviamo più o meno simili nelle usanze odierne, come le ritrovava Tolkien sessant'anni fa; del pari, più lontana da noi è la società dei Rohirrim, con la "sala dell'idromele", il comitatus del re e dei suoi feudatari più devoti e tutte quelle usanze anglosassoni che il Professore ha rinarrato per parlare di loro; lo è anche Minas Tirith, che vive del culto dei re del passato e dell'annalistica. La finestra che apre l'autore dà sui re, i principi e i nobili di questi paesi, non ci viene detto granché sul popolo e sulle "persone comuni", ma possiamo bene intendere che il popolo di Rohan, quello di Gondor, quello di Esgaroth e tutti gli altri, vivevano press'a poco nello stesso modo in cui vivevano i popoli dell'Europa medievale.
Perché questo Medioevo? Detta così questa domanda dovrebbe contenere tutto quello che ho scritto finora in questo sito, e non le potrei neanche rispondere. Riformuliamo: perché Tolkien (e prima e dopo di lui, tantissimi narratori, poeti ed artisti) sceglie il Medioevo come base storica -cioè in termini di strutture politiche, rapporti sociali, usanze, tecnologia e costumi- su cui edificare una storia di popoli che esprimono la libertà?
Perché è Tolkien per primo ad essere insofferente ai vincoli del mondo moderno. Non in maniera passatistica o per l'idea di passato in sé, ma per dati che, condivisibili o meno, non si possono non vedere: la macchina, l'industria, i processi automatizzati che violano il rapporto dell'uomo e della natura, l'atto creativo dell'artigiano sostituito da quello sprovvisto di anima della catena di montaggio. I vincoli degli assetti burocratici e istituzionali moderni, il controllo di grandi entità -individuali o meno- sulla vita dei singoli fin nella sua dimensione più privata. La logica dell'acquisto e della concretezza che getta la sua ombra su tutto quello che è astratto. Sono questi, i grandi sconvolgimenti della modernità, il male che si sta insinuando nella Terra di Mezzo, l'antagonista del romanzo di Tolkien, Sauron "che offre doni". La risposta è l'affresco di un mondo senza tutto ciò, un mondo che appartiene, vorrei ricordare il sito dove ho visto questa definizione, a persone che amano la poesia, la musica, la natura, nonché il buon cibo, e aggiungerei l'amicizia e la comunione delle esperienze e dei sentimenti; e un mondo in cui, quando esso viene minacciato, queste persone possono partire per salvarlo e cambiarne le sorti senza avere vincoli a limitare le loro azioni, vincoli di stati, di leggi e di cose scritte da sconosciuti. Il nome "Popoli Liberi" indica solo il loro non asservimento a Sauron e all'Anello, ma in quest'ottica sembra ancora più azzeccato.
La cavalcata dei Rohirrim in uno dei momenti più emblematici della battaglia dei Campi del Pelennor. |
Diviene chiaro a questo punto che vi sia un cambiamento di prospettiva fra Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, tanto più che il primo è un romanzo d'avventura incentrato su un solo (anti)eroe, mentre il secondo è un grande èpos moderno, non esattamente corale, ma incentrato sulle sorti di interi popoli molto lontani fra loro.
La società degli Hobbit non solo non è minimamente intesa come negativa, ma, semmai, portatrice di valori fra i più positivi, risolutivi per tutte le storie che vedono Mezzuomini tra i protagonisti: è la loro umiltà, semplicità, unita alla loro tenacia e determinazione, a permettere ai Nani di Thorin Scudodiquercia e ai Popoli Liberi di trionfare contro i loro nemici. Nella Terra di Mezzo i mali sono l'avidità, la prepotenza (Smaug), la volontà di dominio (Saruman), e tutte quelle altre brame egoistiche -perché il male, nella maggior parte dei casi, deriva da là- che, insieme a quelle già dette, sono prerogative di Sauron, nonché di Morgoth prima di lui.
"Dol Amroth", di John Howe. |
Se l'idea iniziale, dunque, era dimostrare come il mondo da saga norrena di Gandalf e Aragorn sia un mondo irresistibile che scalda il sangue finché qualunque piccolo Mezzuomo provinciale non trattiene il desiderio di partire, è stata mitigata da un accorgimento che mi hanno insegnato questi ultimi mesi, e cioè che nella grande diversità che esiste fra gli uomini ve ne sono molti che bramano due tipi diversi di fuoco, alcuni il grande braciere del furore e dell'avventura, altri il caldo focolare che raduna intorno a sé i membri di un gruppo e rinforza il loro vincolo. La vita è fatta di un tempo per riposare e un tempo per agire, di azioni pacifiche e azioni intensive, e molti alternano l'un fuoco all'altro; l'animo che desidera l'ardore non può essere forzato alla pace e alla quiete, e così, l'animo mite non dovrebbe mai, per nessun motivo, essere costretto alla forza.
Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli sono così, raccontano tempi di pace e tempi di guerra e fanno respirare l'aria dell'uno e l'aria dell'altro. Per quelli che, insofferenti come Tolkien ai ritmi di un mondo che non sentono più come il loro, laddove, nelle pagine dei suoi romanzi, con altri nomi e altre lingue, scorgono quello stesso mondo risplendere di gloria e di bellezza, i due romanzi sono una campana che chiama i guerrieri alle armi per riprenderselo.
Giunge così alla fine l'ultimo post dell'anno, iniziato pensando a una canzone di Bilbo, che ricorda il passato e si proietta sul futuro "seduto accanto al fuoco". Anche se la mia presente contingenza non mi permette di stare seduto accanto al fuoco, a meno di uscire di casa e cercare un posto dove ci sia un camino, l'atmosfera invernale, o l'idea che ne ho, mi ispira un momento del genere. Così, pensando a quanto fatto quest'anno, a quanto ancora da fare, e soprattutto alla storia di Bilbo e di Frodo, chiudiamo il discorso con i versi della poesia e la sua splendida versione musicale a opera degli italianissimi Lingalad. Namárië!
"Seduto accanto al fuoco, rifletto
Su tutto quel che ho visto
Sulle farfalle ed i fiori dei campi
In estati ormai da me distanti
Penso a foglie gialle e a tele di ragno
In autunni che più non torneranno
Alle nebbiose mattine, e al sole d'argento,
E ai miei capelli agitati dal vento.
Seduto accanto al fuoco, rifletto
Al mondo che sarà,
Quando l'inverno un giorno giungerà,
Ma della primavera io non vedrò l'aspetto.
Vi sono infatti tante e tante cose
Che io purtroppo ancora non conosco:
Diversi in ogni prato ed in ogni bosco
Il verde ed il profumo delle rose.
Seduto accanto al fuoco, rifletto
Ai popoli vissuti tanto tempo fa,
Ed a coloro che vedranno un mondo
Che a me per sempre ignoto resterà
Ma mentre lì seduto rifletto
Sui tempi che fuggiron veloci
Ascolto in ansia ed aspetto
Il ritorno di passi e di voci."
Bilbo a Gran Burrone Fonte: http://cg-warrior.deviantart.com/art/Bilbo-in-Rivendell-333595026 |
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